La porta a zanzariera fece un lieve tonfo dietro di lui quando uscì, strascicando i piedi.
Lei si trovava in piedi nella vaga oscurità. Com’erano belli i suoi capelli ondulati, tirati indietro a scoprire la fronte liscia e i grandi occhi fermi. Prima di vedermi per intero, scorse le mie scarpe. Ed ebbe l’improvvisa consapevolezza che, nell’assoluta immobilità della notte, c’era un estraneo, una pallida figura immobile silenziosa (da me non usciva nemmeno un respiro). Qualcuno là dove invece non doveva esserci nessuno.
Il medico era svanito. Sembrava che le ombre lo avessero inghiottito, ma di certo si trovava da qualche parte, nell’oscurità.
Rimasi del tutto immobile, stagliandomi contro la luce che veniva dall’ufficio. Il suo odore mi stava travolgendo: era l’odore del sangue misto al profumo pulito di un essere vivente. Mio Dio, vederla coi miei occhi, vedere la bellezza lucente delle sue gote. Ma stavo schermando la luce, vero? La porta infatti era molto piccola. Riusciva a distinguere abbastanza chiaramente i tratti del mio volto? Riusciva a scorgere lo strano colore innaturale dei miei occhi?
«Chi è lei?» Era un sussurro basso, stanco. Se ne stava discosta, ferma in mezzo alla corsia, guardandomi da sotto le folte ciglia castane.
«Gretchen», dissi. «Sono Lestat. Sono venuto, come avevo promesso.»
Nella lunga, stretta corsia tutto era immobile. I letti sembravano congelati dietro i veli di rete. Eppure la luce si muoveva nei luccicanti sacchetti di fluido, simili a lampadine d’argento scintillanti nell’oscurità chiusa e opaca. Udivo il respiro debole e regolare dei piccoli corpi addormentati. E un sordo rumore ritmico, come se una bambina stesse colpendo la gamba di una sedia col suo piccolo tallone.
Gretchen alzò la mano destra e, d’istinto, portò le dita alla base della gola, per proteggersi. Il suo polso accelerò. Vidi le sue dita chiudersi come su un medaglione, e allora scorsi la luce brillare sulla sottile catenina d’oro.
«Cos’hai al collo?»
«Chi è lei?» chiese di nuovo, mentre il sussurro si arrochiva e le labbra tremavano. La debole luce dall’ufficio alle mie spalle brillò nei suoi occhi. Fissò il mio volto, le mie mani.
«Sono io, Gretchen. Non voglio farti del male. Farti del male è l’ultima cosa al mondo che vorrei. Sono venuto perché lo avevo promesso.»
«Io… non le credo.» Indietreggiò sul pavimento di legno, coi tacchi di gomma che si udivano appena.
«Gretchen, non avere paura di me. Volevo che sapessi che ti ho detto la verità.» Parlavo così piano. Riusciva a sentirmi?
Tentava di scrutare nel buio, come avevo cercato di fare io pochi secondi prima. Il suo cuore batteva selvaggiamente, mentre i bellissimi seni si muovevano sotto il cotone bianco inamidato e il sangue le saliva al volto.
«Sono qui, Gretchen. Sono venuto a ringraziarti. Ecco, lascia che ti dia questo per la missione.»
Frugai nelle tasche e ne estrassi i ricchi guadagni del Ladro di Corpi. Poi con le dita che mi tremavano come le sue, le porsi il denaro, quel denaro che appariva sporco e assurdo, come spazzatura.
«Prendilo, Gretchen. Ecco. Aiuterà i bambini.» Mi girai e rividi la candela, la stessa candela! Perché la candela? Misi accanto a lei il denaro, sentendo le assi scricchiolare sotto il mio peso mentre mi avvicinavo al tavolino.
Quando mi voltai per guardarla, lei venne verso di me, timorosa, con gli occhi spalancati.
«Chi è lei?» sussurrò per la terza volta. Com’erano grandi i suoi occhi, com’erano scure le pupille che danzavano su di me come dita attratte da qualcosa che le avrebbe scottate. «Le chiedo di dirmi la verità!»
«Sono Lestat, quello che hai curato in casa tua. Gretchen, ho riacquistato la mia vera forma. Sono venuto perché te lo avevo promesso.»
Non riuscivo quasi a sopportarlo: la mia antica rabbia s’infiammava a mano a mano che la paura cresceva in lei, mentre le sue spalle s’irrigidivano, le sue braccia si contraevano e la mano che afferrava la catena al collo cominciava a tremare. «Non ti credo», disse, con lo stesso sussurro soffocato, con l’intero corpo che si ritraeva, sebbene lei non avesse fatto nemmeno un passo.
«No, Gretchen. Non guardarmi con quell’aria di terrore o come se mi disprezzassi. Cosa ti ho fatto per essere guardato in questo modo? Tu conosci la mia voce. Tu sai cos’hai fatto per me. Sono venuto a ringraziarti…»
«Bugiardo!»
«No, non è vero. Sono venuto perché… volevo rivederti.»
Signore Iddio, stavo piangendo? Le mie emozioni erano diventate volubili quanto il mio potere? Senza contare che avrebbe visto il sangue rigarmi il volto e ciò l’avrebbe spaventata ancora di più. Non potevo sopportare oltre il suo sguardo.
Mi voltai e fissai la piccola candela. Toccai lo stoppino con la mia invisibile forza di volontà e vidi la fiamma guizzare, una minuscola lingua gialla. Mon Dieu, lo stesso gioco di ombre sul muro. Lei rimase a bocca aperta, fissando prima la fiamma e poi me, mentre la luminosità si diffondeva intorno a noi e lei vedeva per la prima volta chiaramente, inequivocabilmente, i miei occhi appuntati su di lei, i capelli che incorniciavano il mio volto, le unghie lucenti delle mie mani, i denti bianchi forse appena visibili tra le labbra dischiuse.
«Gretchen, non aver paura di me. In nome della verità, guardami. Mi hai fatto promettere che sarei venuto, Gretchen, non ti ho mentito. Tu mi hai salvato. Io sono qui e Dio non esiste, Gretchen, me lo hai detto tu. Detto da chiunque altro non avrebbe avuto importanza, ma lo hai dichiarato tu stessa.»
Portò le mani alle labbra mentre si ritraeva. La catenina ricadde e io vidi la croce d’oro alla luce della candela. Oh, grazie a Dio era una croce, non un medaglione! Arretrò ancora. Non riusciva a contrastare quel movimento istintivo.
Le sue parole giunsero in un sussurro basso e incerto: «Allontanati da me, spirito immondo! Vattene da questa casa di Dio!»
«Non voglio farti del male !»
«Allontanati da questi bambini!»
«Gretchen, non voglio fare del male ai bambini.»
«In nome di Dio, allontanati da me… Vattene.» La mano destra cercò di nuovo la croce e la trovò. Quindi lei protese quel simbolo verso di me. Si trattava di un crocifisso sul quale c’era il minuscolo corpo incurvato del Cristo morto. Lei aveva il viso arrossato, le labbra umide, aperte e tremanti, e gli occhi lampeggianti di follia quando parlò di nuovo. «Vattene da questa casa», mormorò. «Dio la protegge. Lui protegge i bambini. Vattene.»
«In nome della verità, Gretchen», replicai, a voce bassa come la sua e altrettanto piena di emozione. «Ho dormito con te! Sono qui.»
«Bugiardo», sibilò. «Bugiardo!» II suo corpo tremava con tale violenza da dare l’impressione che, da un momento all’altro, lei avrebbe perso l’equilibrio.
«No, è la verità. Non c’è mai stato nulla di più vero. Gretchen, non voglio fare del male ai bambini. Non voglio fare del male a te.»
Di lì a poco, non c’erano dubbi, sarebbe uscita di senno, avrebbe cominciato a gridare, la notte intera l’avrebbe udita, e ogni povera anima dei dintorni forse l’avrebbe imitata.
Invece lei rimase lì, tutta tremante, e dalla sua bocca aperta uscì solo un singhiozzo.
«Gretchen, ora vado via, ti lascio se è davvero ciò che vuoi. Ma ho mantenuto la mia promessa! C’è nient’altro che posso fare?»
Da uno dei letti dietro di lei giunse un debole grido, poi un gemito da un altro, e lei si voltò freneticamente di qua e di là.
Allora si lanciò verso di me, passandomi accanto, attraversando il piccolo ufficio e facendo volare numerose carte al suo passaggio. La porta a zanzariera sbatté dietro di lei quando prese a correre fuori nella notte.