«Va bene», rispose. «Hai segnato un punto a tuo favore e io lo riconosco. Quando ti ho avvicinato, anni fa, nel teatro in cui cantavi, quando ti ho visto, la prima volta che sei venuto da me… Tutto ciò aveva l’oscuro richiamo del pericolo, come l’offerta con cui sei solito indurmi in tentazione. Poiché io sono soltanto umano, come entrambi sappiamo.»
Un po’ più sollevato, mi lasciai andare sulla vecchia poltrona, alzando una gamba e affondando il tallone nell’ampio sedile di cuoio. «Mi piace che la gente abbia un po’ paura di me», dissi con un’alzata di spalle. «Ma cos’è accaduto a Rio?»
«Mi trovai coinvolto nella religione degli spiriti, il Candomblé. Conosci il termine?»
Di nuovo scossi le spalle. «L’ho sentito un paio di volte… Ci andrò, a Rio, prima o poi. Forse presto.» Mi balenarono nella mente le grandi città del Sudamerica, le foreste tropicali e l’Amazzonia. Sì, nutrivo un certo appetito per avventure di quel genere, mentre la disperazione che mi aveva portato nel deserto dei Gobi sembrava molto lontana. Ero felice di essere ancora vivo e, in tutta tranquillità, rifiutai di vergognarmene.
«Oh, se potessi rivedere Rio», disse sommessamente, rivolto più a se stesso che a me. «Certo, non è più quella di allora. Ormai è un mondo di grattacieli e di grandi alberghi di lusso. Ma mi piacerebbe rivedere la curva del litorale, il Pan di Zucchero e la statua di Cristo in cima al Corcovado. Non credo che sulla terra esista un angolo più abbagliante. Perché ho lasciato passare tanti anni senza tornare a Rio?»
«Non puoi forse andarci ogni volta che lo desideri?» chiesi. Improvvisamente sentii per lui un forte istinto di protezione. «Quel gruppo di monaci a Londra non può certo trattenerti. Inoltre, tu sei il capo.»
Si abbandonò alla più signorile delle risate. «No, loro non mi possono fermare», ammise. «Dipende solo da me, dal fatto che io abbia sufficiente energia, fisica e mentale. Ma con questo ci avviciniamo abbastanza al cuore della faccenda. Volevo raccontarti che cosa è accaduto. O forse il punto è proprio questo, non so.»
«Tu possiedi i mezzi per andare in Brasile, se lo desideri, no?»
«Oh, sì, i soldi non sono mai stati un problema. Mio padre ha gestito in modo accorto il denaro ricevuto in eredità. Di conseguenza non ho mai dovuto preoccuparmene troppo.»
«Se ne avessi bisogno, ti procurerei io il denaro.»
Mi rivolse uno dei suoi sorrisi più caldi e indulgenti. «Io sono vecchio, solo e un po’ folle… come dovrebbe essere ogni uomo con appena un po’ di buonsenso. Ma grazie al ciclo non sono povero.»
«Cosa ti è successo in Brasile?»
Iniziò a parlare, poi si zittì. «Intendi davvero rimanere qui ad ascoltare quello che ho da dire?»
«Sì», dissi subito. «Per favore.» Mi resi conto che non volevo nient’altro al mondo. Nel mio cuore non nutrivo piani, ambizioni o pensieri rivolti a qualcosa che non fosse stare lì con lui. Un desiderio di una tale semplicità da lasciarmi quasi stordito.
Sembrava ancora riluttante a confidarsi. Ma poi intervenne in lui un sottile cambiamento, una sorta di distensione, forse di arrendevolezza.
Infine cominciò. «È accaduto dopo la seconda guerra mondiale. L’India della mia adolescenza era finita, non esisteva più. Inoltre, ero ansioso di vedere nuovi posti. Avevo organizzato con alcuni amici una spedizione di caccia nella giungla amazzonica, una meta che era diventata la mia ossessione. Il nostro obiettivo era il grande giaguaro sudamericano.» Indicò la pelle maculata di un felino che non avevo notato prima, sistemata su un cavalletto in un angolo della stanza. «Come volevo inseguire quell’animale!»
«Pare che tu l’abbia fatto.»
«Non subito», mi corresse con una breve e ironica risata. «Avevamo deciso di far precedere la nostra spedizione con una vacanza a Rio all’insegna del piacere: un paio di settimane per girovagare sulla spiaggia di Copacabana e per visitare gli antichi insediamenti coloniali tipo monasteri, chiese, e così via. Cerca di capire, il centro della città allora era diverso, era un luogo sovraffollato con piccole strade strette e meravigliosi edifici antichi. Ero così ansioso di vedere quei luoghi esotici e affascinanti! Ecco ciò che spinge noi inglesi ai tropici: dobbiamo fuggire dalle convenzioni, da tutto ciò che è tradizionale, e immergerci in culture in apparenza selvagge che non potremo mai domare o comprendere davvero.»
Mentre parlava, il suo atteggiamento stava cambiando: da esso trasparivano più vigore ed energia, gli occhi brillavano e le parole fluivano più velocemente in quel vivace accento inglese che tanto amavo.
«La città stessa aveva superato tutte le aspettative, certo, anche se nulla era più incantevole della gente. Non ho mai incontrato persone come quelle viste in Brasile. E per una ragione: godono di un’eccezionale bellezza e, sebbene tutti concordino su questo punto, nessuno ne sa spiegare il motivo. No, sto parlando seriamente», mormorò, quando mi vide sorridere. «Forse è la mescolanza di sangue portoghese e africano, senza contare l’apporto di quello indio… In tutta onestà, non saprei dirlo. Il fatto è che le persone sono assai attraenti e hanno voci davvero sensuali. Motivo per cui puoi innamorarti della loro voce e baciarne il semplice suono. E poi la musica, la bossa nova, quello è proprio il loro linguaggio.»
«Avresti dovuto fermarti là.»
«Oh, no!» esclamò, bevendo un altro sorso di scotch. «Lasciami continuare il racconto. Durante la prima settimana, sono stato preso, per così dire, da una grande passione per un ragazzo, Carlos. Ne sono stato travolto. Non facevamo altro che bere e fare l’amore senza posa per giorni e notti nel mio appartamento del Palace Hotel. Una cosa oscena davvero.»
«I tuoi amici ti hanno aspettato?»
«Al contrario, hanno minacciato di abbandonarmi se non fossi partito subito con loro. Tuttavia si sono dichiarati disposti a prendere Carlos con noi.» Fece un piccolo gesto con la mano destra. «Si trattava naturalmente di persone molto sofisticate.»
«Naturalmente.»
«Ma la decisione di prendere Carlos si è dimostrata un terribile errore. Sua madre era una sacerdotessa del Candomblé, sebbene io non lo sospettassi neppure. Non voleva che il figlio partisse per la giungla amazzonica: desiderava che andasse a scuola, invece. E così mi ha scatenato contro gli spiriti.» Fece una pausa e mi guardò, forse tentando di valutare la mia reazione.
«Dev’essere stato molto divertente», dissi.
«Di notte, al buio, mi riempivano di pugni. Sollevavano il letto dal pavimento e mi scaraventavano fuori. Giravano i rubinetti nella doccia in modo tale da ustionarmi. Riempivano di orina le mie tazze da tè. Dopo sette giorni, stavo per uscire di senno. Oscillavo tra un sentimento misto d’irritazione e incredulità e il terrore vero e proprio. I piatti volavano via dal tavolo di fronte a me. Le campane mi risuonavano nelle orecchie. Le bottiglie cadevano dagli scaffali, fracassandosi al suolo. Ovunque andassi, vedevo individui dalle facce scure che mi guardavano.»
«Sapevi che la responsabile era quella donna?»
«Non all’inizio. Ma Carlos alla fine è crollato, confessando ogni cosa. La madre non intendeva togliere la maledizione finché io non fossi partito. Ebbene, sono partito subito, quella notte stessa, tornando a Londra, prostrato e quasi in preda alla follia. Ma non è servito a nulla, perché quegli spiriti mi sono venuti dietro. Tutte quelle cose hanno cominciato ad accadere proprio qui, a Villa Talbot. Porte che sbattevano, mobili che si muovevano, campane che suonavano all’impazzata nella dispensa dei domestici, nel seminterrato… Stavamo diventando tutti pazzi. Mia madre, che era stata più o meno una spiritista e comunque conosceva un sacco di medium a Londra, mi ha portato al Talamasca. Io ho raccontato la mia storia e loro mi hanno spiegato il Candomblé e lo spiritismo.»