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«Sono riusciti a esorcizzare i demoni?»

«No, ma dopo circa una settimana d’intensi studi nella biblioteca della Casa Madre e lunghi colloqui coi pochi membri che erano stati a Rio, sono stato in grado di dominare gli spiriti da solo. Sono rimasti davvero tutti molto sorpresi, soprattutto quando ho annunciato che intendevo tornare in Brasile. Mi hanno messo in guardia sui poteri di quella sacerdotessa, poteri abbastanza forti da uccidermi. ‘È proprio questo’, ho spiegato allora.  ‘Io voglio quei poteri. Diventerò suo allievo e lei m’insegnerà.’ Mi hanno supplicato di non andare. Mi sono limitato a promettere che, al mio ritorno, avrei consegnato loro una relazione scritta. Tu puoi capire come mi sentivo: avevo visto quelle entità invisibili all’opera, le avevo sentite toccarmi, scagliare oggetti in aria. Pensavo che il grande mondo dell’invisibile mi si stesse per schiudere davanti. Dovevo andare e nulla avrebbe potuto distogliermi. Nulla.»

«Sì, capisco», dissi. «Era eccitante come una caccia grossa.» «Già.» Lui scosse la testa. «Erano giorni così. Forse ho pensato che, se non mi aveva ucciso la guerra, niente avrebbe potuto farlo.» D’un tratto si abbandonò al flusso dei ricordi, escludendomi.

«Hai poi affrontato quella donna?»

Assentì. «L’ho affrontata, riuscendo a fare su di lei una certa impressione, e infine l’ho convinta, dicendole che volevo diventare suo apprendista. Le ho giurato in ginocchio che volevo imparare, che non sarei partito finché non avessi penetrato il mistero e appreso tutto quello che potevo.» Rise. «Non sono sicuro che quella donna avesse mai incontrato un antropologo, anche se dilettante, come suppongo mi si potesse definire allora. Comunque sia, sono rimasto a Rio un anno. E, credimi, quello è stato l’anno più straordinario della mia vita. Alla fine ho lasciato quella città soltanto perché sapevo che, se non fossi partito, non l’avrei fatto mai più. L’inglese David Talbot non sarebbe esistito più.»

«Dunque hai imparato a invocare gli spiriti?» Annuì. Era tornato con la mente ai suoi ricordi e vedeva immagini che a me erano precluse. Appariva turbato, un po’ triste. «Ho raccontato tutta la storia», disse infine. «È conservata negli archivi della Casa Madre, e in molti l’hanno letta nel corso degli anni.»

«Non ti è mai venuta la tentazione di pubblicarla?» «Non posso farlo. Fa parte della filosofia del Talamasca: non divulghiamo mai nulla all’esterno.»

«Tu hai paura di aver sprecato la tua vita, dico bene?»

«No, davvero… Anche se quello che ho detto prima corrisponde a verità: non sono riuscito a svelare i segreti dell’universo e neppure a oltrepassare il grado di conoscenza raggiunto in Brasile. Certo, in seguito ci sono state rivelazioni sconvolgenti. Ricordo la notte in cui ho letto per la prima volta il contenuto degli archivi sui vampiri; rammento come fossi incredulo… E poi quegli strani momenti, quando scendevo nei sotterranei a frugare tra le testimonianze… Ma alla fine è stato come col Candomblé, non sono riuscito ad andare oltre quel punto.»

«Lo so, credimi. David, il mondo è destinato a rimanere un mistero. Se anche una spiegazione esiste, non saremo certo noi a trovarla, ne sono sicuro.»

«Penso che tu abbia ragione», disse tristemente.

«Credo anche che tu sia spaventato dalla morte più di quanto non voglia ammettere. Con me, hai deciso di mantenere un’inflessibile linea di condotta, compiendo una scelta morale, e non ti biasimo. Forse sei abbastanza vecchio e saggio da poter decidere, in piena consapevolezza, che non vuoi essere uno di noi. Ma non parlare della morte come se dovesse darti qualche risposta. Sospetto che la morte sia terribile: si cessa di esistere e viene a mancare la possibilità di conoscere.»

«No, non posso essere d’accordo con te su questo punto, Lestat», mormorò. «Davvero non posso.» Si volse di nuovo verso la tigre, poi continuò: «Qualcuno ha dato forma a questa ‘spaventosa simmetria’, come la definisce Blake, Lestat. Qualcuno deve averlo fatto. La tigre e l’agnello… Non può essere successo tutto così, da solo».

Scossi il capo. «C’è più intelligenza nel poema di Blake di quanta non ve ne sia stata nella creazione del mondo. Ma ti capisco. Anch’io ho avuto pensieri del genere, di tanto in tanto. In fondo è molto banale: ci dev’essere qualcosa che sovrintende a tutto ciò. Ci deve essere! Ma che dire degli innumerevoli pezzi mancanti? Quanto più si considera la questione, tanto meno gli atei più incalliti si differenziano dai fanatici religiosi. Io sono convinto che sia tutto un’illusione. Si tratta di un processo evolutivo e niente di più.»

«Pezzi mancanti? Ma naturalmente, Lestat! Immagina per un momento che io crei un robot, una perfetta riproduzione di me stesso. Immagina che gli fornisca tutto il sapere enciclopedico possibile, programmandolo nel computer del suo cervello. Ebbene, sarebbe solo una questione di tempo prima che lui venga da me dicendo: ‘David, dov’è il resto? Voglio una spiegazione! Com’è cominciato tutto? Perché hai tralasciato le informazioni sul motivo per cui all’inizio c’è stato il Big Bang? Cos’è accaduto allorché i minerali e gli altri elementi inerti si sono evoluti all’improvviso in cellule organiche? E che mi dici riguardo alla grande lacuna nella documentazione dei fossili?’»

Risi, estasiato.

«Sarei costretto a troncare sul nascere le richieste di quel poveretto, facendogli presente che non esistono spiegazioni e che io i pezzi mancanti non li ho», completò lui.

«David, nessuno ha i pezzi mancanti. Né mai li avrà.»

«Non esserne così sicuro.»

«Che cos’è che speri, dunque? È per questo che stai leggendo la Bibbia? Non sei riuscito a penetrare i segreti occulti dell’universo, e quindi torni a rivolgerti a Dio?»

«Dio è il segreto occulto dell’universo», replicò David con fare meditabondo, quasi come se ci stesse riflettendo. Coi tratti del volto distesi e quasi ringiovaniti, fissava il bicchiere che teneva in mano, forse apprezzando il modo in cui la luce si rifrangeva nel cristallo, non saprei. Dovetti aspettare che riprendesse a parlare.

«Credo che la risposta possa trovarsi nella Genesi. Lo penso davvero», disse infine.

«David, mi sorprendi. Stiamo parlando di pezzi mancanti, e la Genesi non è altro che un pugno di frammenti.»

«Sì, ma parlare di frammenti è tutto quello che ci rimane, Lestat. Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, e io ho il sospetto che la chiave sia qui. Nessuno sa che cosa ciò significhi davvero, lo sai. Gli ebrei ritenevano che Dio non fosse un uomo.»

«E come può essere questa, la chiave?»

«Dio è una forza creativa, Lestat, come lo siamo noi. Lui ha detto a Adamo: ‘Crescete e moltiplicatevi’. E questo è proprio ciò che hanno fatto le prime cellule: sono cresciute, moltiplicandosi. Non hanno soltanto cambiato forma: sono riuscite a replicare se stesse. Dio è una forza creativa. Lui ha creato l’intero universo come sua diretta emanazione, servendosi della divisione cellulare. Ecco perché i diavoli — gli angeli malvagi, intendo — sono così pieni d’invidia. Loro non sono creativi, non possiedono né corpo né cellule: sono spiriti. Anzi credo che non si sia trattato solo d’invidia, ma di una sorta di diffidenza… I demoni hanno ritenuto che Dio stesse facendo un errore nel creare, con Adamo, un altro organismo creativo così simile a lui. A mio parere, quegli angeli nutrivano già qualche perplessità nei confronti dell’universo fisico e delle sue cellule replicanti… E dunque hanno visto come un vero oltraggio la presenza di esseri, dotati di ragione e di parola, che potevano crescere e moltiplicarsi. È stata quella, la loro colpa.»

«Così tu stai dicendo che Dio non è puro spirito.»