«Non me ne importa un accidenti», dissi con rabbia. Ma non era vero. Deploravo la mia avventatezza, anche se non facevo nulla per correggerla. Ebbene, dovevo cambiare. Quella notte, avevo forse fatto di meglio? Mi sembrava vile addurre scuse per il mio comportamento.
David mi stava osservando con attenzione. Se c’era una caratteristica dominante in lui, era la sua prontezza. «Non è da escludere una tua eventuale cattura», disse.
Mi abbandonai a una risata sprezzante.
«Potrebbero anche rinchiuderti in un laboratorio e metterti in un’avveniristica gabbia di vetro, per studiarti.»
«È impossibile. Ma è una considerazione davvero interessante.»
«Lo sapevo! Tu vuoi che accada.»
Alzai le spalle. «Potrebbe essere divertente per un po’… Ma no, dai, è davvero impossibile. La notte della mia unica esibizione come cantante rock è accaduta una marea di cose strane. Eppure, il mondo mortale ha semplicemente chiuso il caso. Quanto alla vecchia di Miami, si è trattato di un orribile incidente che non sarebbe mai dovuto accadere…» Mi fermai. Che ne era stato di quelli che erano morti a Londra proprio quella notte?
«Ma a te piace uccidere», replicò. «Mi hai detto che è divertente.»
Fui colto da un tale tormento che, all’improvviso, avvertii l’impulso di andarmene. Tuttavia avevo promesso di non farlo. Mi limitai quindi a rimanere lì, a fissare il fuoco, pensando al deserto dei Gobi, agli scheletri delle grandi lucertole e al modo in cui il sole aveva colmato di luce il mondo intero. E a Claudia. Sentii l’odore dello stoppino della lampada.
«Mi dispiace. Non volevo essere crudele con te», disse David.
«E perché no? Non riesco a immaginare una forma di crudeltà più sottile. Inoltre, io non sono sempre così gentile nei tuoi confronti.»
«Che cosa vuoi veramente? Quale passione ti tiene in suo potere?»
Pensai a Marius e a Louis: entrambi mi avevano rivolto molte volte la stessa domanda.
«Cosa potrebbe redimere ciò che ho fatto?» chiesi. «Volevo fermare quell’assassino. Era una tigre mangiatrice di uomini, era mio fratello, e io gli ho teso un’imboscata. Ma la vecchia, lei era una bambina nella foresta, niente di più. Che importa, ormai?» Pensai alle infelici creature che avevo preso quella sera stessa: nei vicoli bui di Londra, mi ero lasciato alle spalle un vero massacro. «Vorrei poter credere che non avesse la minima importanza», ripresi. «II fatto di salvare quella vecchia, intendo. Ma quale beneficio può portare un unico atto di pietà di fronte a tutto ciò che ho fatto? Se esistono un Dio o un Diavolo, io sono comunque dannato. Ora, perché non vai avanti col tuo discorso sulla religione? La cosa strana è che trovo molto consolante parlare di Dio e del Diavolo. Anzi raccontami qualcosa di più sul Diavolo. Lui di certo è mutevole e scaltro. Deve inoltre provare qualche sensazione. Perché mai dovrebbe rimanere immobile?»
«Già. Tu sai che cosa si dice nella Bibbia a proposito di Giobbe?»
«Rinfrescami la memoria.»
«Ebbene, Satana è lassù, in paradiso insieme con Dio che gli chiede: ‘Dove sei stato?’ E Satana risponde: ‘In giro, sulla terra’.
È una normale conversazione. Cominciano quindi a parlare di Giobbe. Satana è convinto che la bontà di Giobbe sia fondata interamente sulla sua buona sorte, e Dio acconsente affinché Satana tormenti quell’uomo. Ecco la descrizione più vicina alla verità che possediamo. Dio non è a conoscenza di tutto e il Diavolo è un suo buon amico. È tutto un esperimento. E quel Satana è ben lontano dall’essere il Diavolo che noi universalmente riconosciamo come tale.»
«Tu tratti queste teorie come se avessimo a che fare con esseri reali…»
«Io penso che siano reali», disse con un filo di voce. Ripiombò nei suoi pensieri, poi si scosse. «Voglio raccontarti una cosa, anche se in realtà avrei dovuto confessarlo prima. Sono superstizioso e religioso come chiunque altro. Perché tutto questo si basa su una sorta di visione, su quel tipo di rivelazioni che vanno a influire sul pensiero. Capisci cosa intendo?»
«No. Io faccio sogni, ma senza rivelazioni… Spiegati, per favore.»
Sprofondò di nuovo nelle sue fantasticherie, mentre guardava il fuoco.
«Non escludermi dai tuoi pensieri», mormorai.
«No, certo. Stavo solo pensando al modo in cui parlartene. Ebbene, tu sai che sono ancora un sacerdote del Candomblé, ho la capacità cioè d’invocare forze invisibili: spiriti malefici, vagabondi astrali, i poltergeist, comunque li si voglia chiamare… Ciò significa che da sempre ho avuto una predisposizione a vedere gli spiriti.»
«Suppongo di sì…»
«Ebbene, una volta ho visto qualcosa, qualcosa d’inspiegabile. E non ero ancora andato in Brasile.»
«Dimmi…»
«Prima del Brasile, ne avevo quasi sminuito l’importanza. In effetti, si trattava di una cosa così sconvolgente, così inspiegabile, che ai tempi di Rio l’avevo ormai allontanata dalla mia mente. Tuttavia adesso ci penso in continuazione. Non riesco a impedirmi di farlo. Ed è per questo che mi sono rivolto alla Bibbia, quasi per cercarvi un po’ di saggezza…»
«Su, racconta.»
«È successo a Parigi proprio prima della guerra. Mi trovavo lì con mia madre, seduto in un caffè della rive gauche. Non ricordo il nome del locale… So soltanto che era un incantevole giorno di primavera e che starsene a Parigi era un vero spasso, come dicono tutte le canzoni. Stavo bevendo una birra, intento alla lettura dei giornali inglesi, quando mi sono reso conto di aver intercettato una conversazione.» Si lasciò andare di nuovo ai suoi pensieri. «Vorrei sapere che cos’è davvero accaduto», mormorò. Si spinse in avanti sulla poltrona, raccolse l’attizzatoio e si mise a pungolare i ceppi, sollevando un pennacchio di scintille ardenti sui mattoni anneriti.
Volevo disperatamente che riprendesse la storia, ma rimasi in attesa.
Alla fine continuò: «Ero in quel caffè, come ho detto…»
«Ti ascolto.»
«… quando mi sono reso conto di aver colto quello strano dialogo… che non si stava svolgendo né in inglese né in francese né in nessun’altra lingua, come in realtà ho compreso a poco a poco. Eppure si trattava di una lingua per me comprensibile. Ho ripiegato il giornale, cominciando a concentrarmi. Si trattava di una sorta di discussione che si protraeva. D’un tratto non sono più riuscito a capire se le voci fossero intelligibili nel senso convenzionale del termine, non ero sicuro cioè che gli altri fossero in grado di udirle! Ho alzato gli occhi e lentamente mi sono girato. Loro erano lì… Due individui seduti a un tavolo che parlavano. Per un attimo mi è sembrata una normale conversazione. Allora sono tornato al mio giornale, ma quasi subito sono stato colto da un senso di vertigine. Ho dovuto fermare la mia attenzione su qualcosa, fissare prima il quotidiano poi il piano del tavolo, cercando di far cessare quel capogiro. Il frastuono del caffè rimbombava come un’orchestra intera, quando mi sono girato di nuovo verso i due individui. È stato allora che ho capito: quelli non erano esseri umani. Con uno sforzo, ho cercato di mettere a fuoco la situazione. Li avevo guardati. Erano ancora lì e, con una certa angoscia, ho dovuto ammettere che erano illusori, che non erano della stessa consistenza di ogni altra cosa. Capisci? Non erano esseri illuminati dalla stessa luce, per esempio: si trovavano in una dimensione rischiarata da un’altra fonte luminosa.»
«Come la luce nei quadri di Rembrandt.»
«Sì, proprio così. I loro abiti e i loro volti apparivano più uniformi di quelli degli esseri umani. E questo perché la visione nel suo insieme aveva una consistenza diversa, omogenea in tutti i suoi dettagli.»
«Loro ti hanno visto?»