In realtà, non avevo tempo per leggere. Dietro il pesante ciclo grigio, il giorno stava sopraggiungendo e la neve cadeva ancora in grandi, soffici fiocchi. Chiusi tutte le tende, eccetto una, in modo da poter guardare il ciclo. Rimasi lì, rivolto verso la facciata dell’albergo, in attesa dello spettacolo della luce. Ancora un po’ spaventato per la sua furia, sentivo intensificarsi nella pelle il dolore, dovuto soprattutto alla paura.
Continuavo a tornare con la mente a David: da quando l’avevo lasciato non avevo smesso neppure per un secondo di pensare alla nostra conversazione. Seguitavo a sentire la sua voce e a immaginare la visione frammentaria di Dio e del Diavolo che gli era apparsa nel caffè. La mia posizione riguardo a tutto ciò era comunque semplice e scontata. Pensavo che David si abbandonasse alle illusioni più confortanti, che ben presto lui mi avrebbe lasciato, che la morte me lo avrebbe portato via e che non mi sarebbe rimasto altro di lui se non i manoscritti che mi aveva dato. Non riuscivo a credere che lui avrebbe saputo qualcosa di più, una volta morto.
Ma tutto era stato davvero molto sorprendente: la piega che aveva preso la conversazione, la sua energia e la particolarità di quello che aveva detto.
Mi stavo piacevolmente cullando in tali riflessioni, con lo sguardo rivolto al ciclo plumbeo e alla neve che si accumulava sui marciapiedi sottostanti, quando all’improvviso fui colpito da un attacco di vertigini. Fu un attimo di disorientamento totale, analogo a quegli istanti che precedono il sonno. Si trattò in realtà di una sensazione molto piacevole, sottile e vibrante, accompagnata da un senso di mancanza di peso, come se davvero fossi uscito dal mio stato fisico per fluttuare all’interno dei miei sogni. Poi subentrò di nuovo quel senso di oppressione che a Miami avevo avvertito in modo fugace: le membra compresse, l’intera mia figura schiacciata dall’alto, il mio essere sempre più contratto, e l’immagine improvvisa e spaventosa di me stesso sospinto a forza attraverso il punto più alto della mia testa!
Perché stava succedendo tutto ciò? Rabbrividii come avevo fatto su quella buia e deserta spiaggia della Florida la prima volta che era accaduto. E subito la sensazione sparì. Ero di nuovo me stesso. Provavo solo un vago senso di fastidio.
C’era qualcosa che non andava nel mio avvenente corpo, così simile a quello di un dio? Impossibile. Non avevo bisogno che gli anziani mi rassicurassero di una cosa così evidente. E non avevo ancora deciso se dovevo preoccuparmi, dimenticarmene, o addirittura tentare di provocare il fenomeno io stesso, quando fui distolto dai miei pensieri da qualcuno che bussava alla porta.
Davvero molto irritante.
«Un messaggio per lei, signore. La persona che lo manda ha chiesto che le venisse consegnato personalmente.»
Ci doveva essere un errore. Aprii comunque la porta.
Il giovane mi porse un involucro. Era voluminoso. Per un istante riuscii soltanto a fissarlo. Avevo in tasca ancora la moneta da una sterlina rubata al ladruncolo che mi ero gustato poco prima: la diedi al ragazzo e richiusi la porta.
Era lo stesso tipo d’involucro che mi era stato consegnato a Miami da quel folle mortale che mi era corso incontro sulla spiaggia. E quella bizzarra sensazione! Era la stessa che avevo provato nel preciso istante in cui i miei occhi si erano posati su quella creatura! Oh, ma ciò non era possibile…
Lacerai l’involucro. Improvvisamente presero a tremarmi le mani. Si trattava di un altro piccolo racconto stampato, ritagliato da un libro analogo al primo, e trattenuto da punti metallici nell’angolo in alto a sinistra nell’identico modo!
Ero senza parole! Come aveva fatto quell’essere a seguirmi fin lì? Nessuno sapeva dov’ero, nemmeno David! C’era il numero della carta di credito, era vero, però, mio Dio, qualunque mortale avrebbe impiegato ore nel tentativo di localizzarmi in quel modo, sempre ammesso che fosse possibile, cosa che in realtà non era.
E cosa aveva a che fare tutto ciò con la curiosa sensazione vibrante e con quel senso di oppressione che sembrava pervadere le mie membra?
Ma non c’era più tempo per quelle considerazioni. Era quasi mattina!
Il pericolo insito nella situazione mi fu subito evidente. Perché non me ne ero reso conto prima? Era più che certo che quell’essere conosceva il modo per seguire i miei spostamenti, compresi i miei nascondigli che usavo durante il giorno! Dovevo andarmene. Che imperdonabile oltraggio!
Fremendo per l’irritazione, mi sforzai di dare un’occhiata al racconto. Era breve. S’intitolava Gli occhi della mummia e Robert Bloch era l’autore. Un’ingegnosa storiella, ma che significato poteva avere per me? Pensai a quella di Lovecraft, molto più lunga e a prima vista assai differente. Cosa accidenti significava tutto ciò? L’inconsistenza del racconto m’irritò oltre misura.
Ma era troppo tardi per riflettere. Raccolsi i manoscritti di David e lasciai l’appartamento. Mi precipitai fuori dall’uscita antincendio e salii sul tetto. Scrutai la notte in tutte le direzioni. Non mi riuscì di vedere il piccolo bastardo, per sua fortuna. L’avrei di certo annientato a vista. Quando si tratta di proteggere il mio nascondiglio diurno, non conosco pazienza né inibizioni.
Mi spinsi verso l’alto, il più rapidamente possibile. Alla fine discesi in un bosco ricoperto di neve dell’estremo nord di Londra e lì mi scavai una fossa nella terra gelata, come avevo fatto tante volte in passato.
Ero infuriato per essere stato costretto a comportarmi così. Infuriato, certo, ma con le idee molto chiare. Ucciderò quel figlio di puttana, pensai, chiunque egli sia. Come osa avvicinarmi e gettarmi in faccia queste storie! Sì, lo farò, lo ammazzerò non appena riuscirò a prenderlo.
Ma poi subentrarono sonnolenza e torpore, e ben presto nulla ebbe più importanza…
Ancora una volta stavo sognando. Lei era lì, accendeva la lampada a olio e diceva: «Ah, la fiamma non ti spaventa più…»
«Ti stai facendo beffe di me», singhiozzai. Stavo piangendo.
«Ah, Lestat, ma tu hai un modo assai rapido per guarire da questi attacchi cosmici di disperazione. Suvvia! Tu danzavi sotto i lampioni delle strade di Londra. Davvero!»
Volevo protestare, ma stavo piangendo, e non riuscivo a parlare. In un ultimo sussulto di coscienza, vidi quel mortale a Venezia, sotto i portici di San Marco, dove l’avevo notato la prima volta. Osservai gli occhi marroni e la bocca giovane e levigata.
Che cosa vuoi? chiesi.
Quello che vuoi tu, sembrò rispondere.
6
Quando mi svegliai non mi sentivo più così in collera con quell’impudente, anzi ne ero assai incuriosito. Il sole, poi, era tramontato e io mi sentivo il più forte.
Decisi di fare un piccolo esperimento: andai a Parigi, attraversando il mare a tutta velocità.
Concedetemi ora una piccola digressione, solo per spiegare come negli ultimi anni avessi evitato Parigi al punto che, come città del XX secolo, non la conoscevo affatto. Le ragioni sono forse ovvie. In passato, Parigi era stata per me un luogo di grande dolore e provavo diffidenza per i moderni edifici che sorgevano intorno al cimitero del Père-Lachaise o per le ruote panoramiche illuminate che compivano le loro evoluzioni nelle Tuileries. In segreto tuttavia avevo sempre desiderato tornarvi. Era naturale, come avrebbe potuto essere diversamente?
Quel piccolo esperimento mi diede coraggio e un ottimo pretesto per andare a Parigi. Il fatto di avere uno scopo deviò infatti l’inevitabile sofferenza che scaturiva dalle mie considerazioni. Dopo pochi momenti dal mio arrivo, mi resi conto di essere davvero a Parigi, un luogo che non è simile a nessun altro. E traboccavo di felicità mentre camminavo lungo i grandi viali e, inevitabilmente, accanto al luogo dove, un tempo, sorgeva il Teatro dei Vampiri.