«Tu citi a me le parole di quell’idiota? Annientalo. Fermalo. Trovalo stanotte, se puoi, e falla finita con lui.» «Louis, per amor del ciclo…»
«Lestat, quella creatura è in grado di trovarti quando e come vuole? Ciò significa che lui sa dove stai. Dunque ora l’hai condotto qui. Lui sa dove mi trovo io. Lui è il peggior nemico che si possa immaginare. Mon Dieu, perché vai in giro a cercar rogne? Niente sulla terra adesso ti può distruggere, neppure i Figli dei Millenni se riunissero le loro forze, nemmeno il sole a mezzogiorno nel deserto dei Gobi. E tu vai a cercare l’unico nemico che ha un potere su di te? Un mortale che può camminare alla luce del giorno, un uomo che ti può avere in pugno proprio quando sei privo di conoscenza o senza volontà. No, annientalo. È davvero troppo pericoloso. Se lo vedo, lo uccido.»
«Louis, quell’uomo mi può dare un corpo umano. Hai ascoltato quello che ho detto?»
«Un corpo umano! Lestat, tu non puoi diventare umano semplicemente appropriandoti di un corpo! Tu non eri umano da vivo! Tu sei nato mostro, e lo sai. Come puoi illuderti?» «Mi metto a piangere se non la smetti.» «Piangere! Mi piacerebbe vederti. Ho letto molto sulle lacrime nelle pagine dei tuoi libri, ma coi miei occhi non ti ho mai visto piangere.»
«E ciò fa capire che sei un perfetto bugiardo», replicai, furioso. «Nelle tue miserabili memorie hai descritto il mio pianto in una scena che entrambi sappiamo non aver mai avuto luogo!»
«Lestat, uccidi quella creatura ! Sei pazzo se lasci che si avvicini abbastanza da dirti anche solo due parole.»
Ero confuso, perso. Mi lasciai andare di nuovo sulla poltrona e mi misi a fissare il vuoto. Fuori la notte sembrava respirare con un ritmo dolce e soave, mentre il profumo dei fiori aleggiava nell’aria fresca e umida. Una vaga incandescenza sembrava provenire dal viso di Louis e dalle sue mani posate sulla scrivania. Lui se ne stava lì, sotto un velo di silenzio, in attesa di una mia replica, suppongo. «Non mi sarei mai aspettato questo da te», dissi mestamente. «Piuttosto una sorta di lunga diatriba filosofica, tipo quella robaccia che hai scritto nelle tue memorie… Ma questo?»
Lui sedeva in silenzio, scrutandomi, mentre la luce gli infiammava per un istante i verdi occhi meditabondi. Sembrava in qualche modo tormentato nel profondo, come se le mie parole lo avessero addolorato. Non era certo colpa dei miei commenti poco lusinghieri sul suo scritto: era una cosa che facevo sempre ed era uno scherzo, o quasi.
Non sapevo che cosa dire o fare. Lui stava conducendo una guerra di nervi. Tuttavia, quando parlò, la sua voce era molto dolce. «Tu non vuoi essere davvero umano», disse. «Tu non ci credi, giusto?»
«Sì, che ci credo!» risposi, umiliato dall’emozione che traspariva dalla mia voce. «Come puoi dubitarne?» Mi alzai e ripresi a camminare per la casa, poi uscii in quella giungla che era il suo giardino, facendomi strada tra i fitti tralci di rampicanti. Ero in un tale stato di confusione che non potevo più parlare con lui.
Pensavo alla mia vita mortale, cercando invano di non mitizzarla, ma non riuscivo ad allontanare quelle memorie: l’ultima caccia al lupo, i miei cani che morivano nella neve, Parigi, i teatri sul boulevard du Terapie. Una vita incompiuta! Tu non vuoi essere davvero umano. Come poteva dire una cosa del genere?
Mi sembrava di essere in giardino da un secolo, ma alla fine decisi di rientrare. Lo trovai ancora alla sua scrivania: mi guardava nel modo più disperato, quasi straziato.
«Stammi a sentire», dissi. «Ci sono soltanto due cose in cui credo. La prima è che nessun mortale può rinunciare al Dono Tenebroso una volta che abbia saputo davvero cos’è. E non mi parlare del rifiuto di David Talbot: lui non è un uomo comune. La seconda cosa di cui sono convinto è che tutti noi, se potessimo, torneremmo a essere umani. Questo è il mio credo.»
Fece uno stanco, breve cenno di consenso e si lasciò andare indietro sulla sedia. Il legno scricchiolò leggermente sotto il suo peso. Sollevò in modo fiacco la mano destra, del tutto inconsapevole del potere seduttivo di quel semplice gesto, e fece scorrere le dita tra gli scuri capelli sciolti.
Il ricordo della notte in cui gli avevo fatto dono del sangue mi ferì all’improvviso: lui che prima di cedere mi chiedeva all’ultimo momento di non farlo, io che gli spiegavo tutto in anticipo, quando lui era ancora un giovane colono, ubriaco e febbricitante nel suo giaciglio d’ammalato, col rosario avvolto alla colonna del letto. E come si può spiegare una cosa del genere? Ma lui era così deciso a venire con me, così sicuro che la vita mortale non avesse nulla da offrirgli, così amaro e corrotto. Ed era così giovane!
Che cosa gliene era venuto, poi? Aveva mai letto una poesia di Milton o ascoltato una sonata di Mozart? Il nome di Marco Aurelio avrebbe significato qualcosa per lui? Con ogni probabilità, avrebbe pensato che si trattava di un nome di fantasia per uno schiavo nero. Ah, quei proprietari terrieri selvaggi e sbruffoni, con le spade e le pistole dall’impugnatura in madreperla! Loro apprezzavano certo l’eccesso e, da un certo punto di vista, io avrei dato loro proprio questo.
Ma era passato molto tempo da allora, vero, Louis? L’autore di Intervista col vampiro e di tutti quegli altri titoli assurdi. Tentai di calmarmi. Lo amavo troppo per non portare pazienza, per non attendere che lui riprendesse la parola. Lo avevo fatto di sangue e carne perché diventasse il mio torturatore soprannaturale, o no?
«La cosa non si può risolvere così», disse, scuotendomi dai miei ricordi e riportandomi nella sua stanza polverosa. La sua voce suonava gentile, quasi conciliante, se non supplichevole. «Non può essere così semplice. Tu non puoi scambiare il corpo con un uomo mortale. A essere sincero, non penso nemmeno che sia possibile, ma anche se lo fosse…»
Io non risposi, ma avrei voluto dire: e se invece fosse possibile? Se io potessi nuovamente sapere che cosa significa essere vivo?
«E poi che cosa ne sarebbe del tuo corpo?» aggiunse con fare supplichevole, tenendo sotto controllo con grande abilità l’intensa collera. «Di certo tu non puoi mettere tutti i tuoi poteri a disposizione di quella creatura, di quello stregone, o di quello che è. Gli altri mi hanno riferito di non essere nemmeno in grado di prevedere i limiti della tua forza. Ah, no, è una pessima idea. E poi dimmi: come sa dove trovarti? Questa è la parte più importante.»
«Questa è la parte meno importante», replicai. «Ma senza dubbio, se quell’uomo può realizzare lo scambio, allora può lasciare il proprio corpo. Lui può fluttuare come uno spirito abbastanza a lungo da seguire le mie tracce e trovarmi. Quando è in tale stato, io devo essere per lui molto visibile, considerato quello che sono. Questo non è un miracolo di per sé, capisci…»
«Lo so, almeno stando a quello che si dice. Sono convinto che tu abbia trovato un essere davvero pericoloso, la cui natura è peggiore della nostra.»
«Perché peggiore?»
«Perché implica un altro, disperato tentativo d’immortalità: lo scambio di corpi! Credi forse che quel mortale, chiunque sia, abbia intenzione d’invecchiare in quel corpo o in qualche altro, lasciandosi morire?»
Avevo afferrato il senso del discorso. Poi gli descrissi la voce dell’uomo, assai insolita per un giovane, e con quel distinto accento inglese dal suono modulato.
Lui rabbrividì. «Probabilmente viene dal Talamasca», commentò. «Avrà trovato là le informazioni su di te.»
«Per avere informazioni su di me gli bastava comprare un romanzo in edizione economica.»
«Ma non sarebbe stato certo sufficiente per crederci, Lestat, non per credere che si trattasse della verità.»
Gli raccontai di aver parlato con David: lui avrebbe scoperto se quell’uomo proveniva dal suo ordine, anche se, in fondo, io già non lo credevo. Quegli studiosi non avrebbero mai fatto una cosa del genere. E in quel mortale c’era qualcosa di sinistro, mentre i membri del Talamasca erano piuttosto noiosi, con la loro moralità. Inoltre, non aveva importanza. Avrei parlato con quell’uomo e scoperto ogni cosa da solo.