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Intendiamoci: non abbiamo a che fare con creazioni di alto livello architettonico come il ponte di Brooklyn, che suscitò la devozione del poeta Hart Grane, né con la solenne magnificenza del Golden Gate di San Francisco. Ma si tratta comunque di ponti e tutti i ponti, oltre a essere belli, stimolano la riflessione. Quando poi sono illuminati come quelli, le loro innumerevoli travi e nervature assumono un grande alone di mistero.

Lo stesso grande miracolo di luce si verifica di notte, nella campagna meridionale, dove le grandi raffinerie di petrolio e le centrali di energia elettrica si elevano con sorprendente fulgore dal terreno piatto e invisibile. Lì, poi, ci sono anche le magnifiche ciminiere fumanti e le fiamme perenni di gas metano. In fondo, la Tour Eiffel non è più solo una possente impalcatura di ferro, ma anche una scultura di abbacinante luce elettrica.

Ma stavamo parlando di New Orleans. Mi stavo dunque dirigendo alla volta di quel campo incolto sul lungofiume, chiuso da tetri cottage su un lato, sull’altro da magazzini deserti e, lungo l’estremità settentrionale, da splendidi depositi di macchinari abbandonati e da recinti ricoperti dall’inevitabile profusione di splendidi rampicanti in fiore.

Ah, campi del pensiero e campi della disperazione! Amavo passeggiare lì, su quel terreno molle e sterile, tra le alte macchie di erbacce e i vetri rotti, ascoltando il sordo sciabordio del fiume — peraltro invisibile da lì —, e osservando in lontananza la rosata luminescenza del centro città.

Sembrava l’essenza stessa del mondo moderno, quell’angolo dimenticato e assolutamente terrificante, quel grande vuoto in mezzo a vecchi edifici pittoreschi, dove solo di tanto in tanto una macchina avanzava lenta, su strade deserte e forse pericolose.

E lasciatemi dire che quell’area, a dispetto degli oscuri sentieri che conducevano a essa, in realtà non era mai molto buia. Un profluvio di luce intenso e costante si riversava dai lampioni e dalle luci della superstrada, creando quel chiarore così tipicamente moderno nella sua uniformità e nell’apparente mancanza di una vera sorgente di luce.

Vorreste correre lì, non è vero? Non state morendo dalla voglia di aggirarvi in cerca di prede proprio in quel fango?

No, davvero: vi è una sorta di divina tristezza nello stare lì, nel sentirsi una minuscola figura nel cosmo, che rabbrividisce ai rumori attutiti della città, dei terrificanti macchinali che gemono nei recinti delle fabbriche lontane o dei camion che passano rombando sulla superstrada sovrastante.

A un tiro di schioppo da lì sorgeva una casa abbandonata, nei cui locali disseminati di rifiuti trovai un paio di assassini febbricitanti col cervello istupidito dai narcotici. Mi cibai di loro con assoluta tranquillità, lasciandoli entrambi in stato d’incoscienza, ma vivi.

Tornai quindi al campo aperto e selvaggio, vagando con le mani in tasca, prendendo a calci le lattine che trovavo e gironzolando per parecchio tempo proprio sotto la superstrada, finché, con un salto, non mi portai verso la parte settentrionale del più vicino dei ponti gemelli.

Com’era profondo e scuro il mio fiume. Lì sopra l’aria era sempre fresca e, benché si fosse diffusa una cupa foschia, riuscivo ancora a distinguere una miriade di minuscole stelle.

Rimasi lì a lungo, soppesando ogni parola di Louis e David, ancora eccitato in modo incontenibile per l’incontro che avrei avuto la notte seguente con quel singolare individuo di nome Raglan James.

Alla fine mi stancai anche dei grande fiume. Passai al setaccio la città, in cerca di quel pazzo spione mortale, ma non mi riuscì di trovarlo. Esaminai attentamente anche i quartieri alti, ma senza risultato. Tuttavia non ero sicuro.

Sul finire della notte, mi spinsi verso la casa di Louis, che trovai buia e deserta. Presi quindi a vagare per le stradine, sempre in guardia, attento a intercettare la spia mortale. Certamente Louis era al sicuro, nella bara in cui era solito ritirarsi assai prima del sorgere del sole.

M’incamminai allora di nuovo verso il campo, canticchiando tra me. Le Porte del Sud ricordavano, con tutte le loro luci, le navi a vapore del XIX secolo, che scivolavano placide sul fiume come grandi torte nuziali addobbate di candelaie. È una metafora confusa? Non importa. Nella mia testa, sentivo soltanto la musica delle navi a vapore.

Mi sforzai d’immaginare il prossimo secolo, chiedendomi con quali forme ci avrebbe travolto, come sarebbe riuscito a mescolare turpitudine e bellezza con rinnovata violenza, cosa che ogni secolo deve fare. Studiai i piloni della superstrada, eleganti e vertiginosi archi di acciaio e cemento armato, levigati come sculture, semplici e mostruosi, che piegavano incolori fili d’erba.

A quel punto arrivò il treno, sferragliando in lontananza lungo i binari davanti ai magazzini, con la sua tediosa fila di carri merci nerastri, coi suoi penetranti e striduli fischi di allarme, dirompenti e odiosi per la mia anima troppo umana.

La notte si ritirò all’improvviso, lasciando un senso assoluto di vuoto giacché i rumori di ferraglia erano scomparsi insieme con l’ultimo ronzio. Non c’erano auto sui ponti, mentre una pesante foschia viaggiava silenziosamente sul fiume, oscurando le stelle sbiadite.

Stavo ancora piangendo. Pensavo a Louis e ai suoi avvertimenti. Ma cosa potevo fare? Io non conoscevo la rassegnazione, né mai l’avrei conosciuta. Se quel miserabile di Raglan James l’indomani notte non si fosse presentato, sarei andato a cercarlo anche in capo al mondo. Non volevo più parlare con David, né sentire i suoi avvertimenti, non potevo ascoltarli. Sapevo che sarei arrivato sino in fondo.

Rimasi a fissare le Porte del Sud. Non riuscivo a togliermi dalla testa la bellezza di quelle luci sfavillanti. Volevo vedere una chiesa con le candele, file e file di piccole fiamme tremolanti, simili a quelle che avevo visto a Notre-Dame, coi fili di fumo che s’innalzavano dai loro stoppini come preghiere.

Mancava un’ora all’alba: c’era abbastanza tempo. Mi diressi verso il centro della città.

La cattedrale di St. Louis era stata chiusa per la notte, ma i suoi chiavistelli erano uno scherzo per me.

Mi fermai proprio all’ingresso della chiesa, e fissai le file di candele che ardevano sotto la statua della Vergine. Prima di accenderle, i fedeli deponevano le loro offerte in una cassetta di ottone. Le «luci della vigilia», così loro le chiamavano.

Certe sere mi ero seduto nella piazza, ascoltando la gente che andava e veniva. Mi piaceva l’odore della cera; e mi piaceva anche la piccola chiesa oscura che, in oltre un secolo, sembrava non essere cambiata affatto.

Trattenni il respiro e mi misi le mani in tasca: tirai fuori un paio di dollari spiegazzati e li introdussi nella fessura d’ottone.

Raddrizzai il lungo stoppino di cera, lo tuffai in una vecchia fiamma e trasferii il fuoco su una nuova candela, rimanendo a osservare la piccola lingua che s’illuminava, prendendo una sfumatura arancio.

Che miracolo, pensai. Un’unica, minuscola fiamma riusciva a creare tante altre fiamme, poteva appiccare il fuoco al mondo intero. In fondo, con quel semplice gesto, avevo in realtà aumentato la quantità totale di luce nell’universo, no?

È un tale miracolo… E per esso non ci sarà mai una spiegazione, nessun Dio e nessun Diavolo che discorrono in un caffè di Parigi. Trovavo tuttavia consolanti le folli teorie di David, quando ci ripensavo. «Crescete e moltiplicatevi», aveva detto il Signore: una moltitudine di bambini dalla carne di due soli individui, come un grande fuoco da due sole piccole fiamme…

All’improvviso ci fu un rumore, acuto e distinto, che riecheggiò nella chiesa come se qualcuno, muovendosi, avesse voluto far notare la sua presenza. M’irrigidii, sorpreso per non essermi reso conto che lì c’era qualcuno. Poi ricordai Notre-Dame e il rumore dei passi della bambina sul pavimento di pietra. Un’improvvisa paura mi travolse. Lei si trovava lì? Se avessi guardato dietro l’angolo, quella volta l’avrei vista: forse aveva il cappellino in testa, i riccioli spettinati dal vento e le mani serrate nelle manopole di lana. Forse lei mi avrebbe guardato coi suoi occhi immensi. Capelli d’oro e splendidi occhi…