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Udii un altro rumore. Come odiavo quella sensazione di paura!

Molto lentamente mi girai: vidi emergere dall’ombra l’inconfondibile figura di Louis. Era soltanto lui. La luce delle candele rivelò a poco a poco il suo volto placido e un po’ scarno.

Indossava un misero cappotto polveroso e una camicia logora col colletto sbottonato: sembrava che avesse un po’ freddo. Mi si avvicinò senza fretta e mi strinse la spalla con mano ferma.

«Ancora una volta sta per accaderti qualcosa di tremendo», disse, mentre la luce delle candele giocava coi suoi occhi verde scuro. «Sta per succedere, lo so.»

«Ce la farò», ribattei con una risatina, rivelando un po’ della felicità che provavo nel vederlo. Quindi alzai le spalle. «Ormai dovresti saperlo: io me la cavo sempre.»

Ero tuttavia stupito del fatto che lui mi avesse trovato lì e che mi avesse raggiunto proprio quando l’alba stava ormai per sorgere. Inoltre ero ancora scosso dalle mie fantasticherie, dal fatto che lei era stata lì, che era venuta in quel luogo proprio come era venuta nei miei sogni. Perché mai l’ha fatto? mi chiedevo.

Poi divenni inquieto: ero preoccupato per Louis. Appariva estremamente fragile e pallido, e le sue lunghe mani mi parevano così delicate… Eppure, come sempre, percepivo la sua energia, la forza dell’individuo che non agisce mai d’impulso, che esamina ogni cosa da ogni angolazione, che sceglie le parole con cura. L’essere che non gioca mai con l’arrivo del sole.

Louis prese ad allontanarsi da me e scivolò in silenzio fuori della chiesa. Io gli andai dietro, dimenticando di chiudermi il portone alle spalle, il che fu imperdonabile, suppongo, poiché non si dovrebbe mai disturbare la pace di un luogo consacrato. Guardai Louis che camminava nella fredda mattina scura, lungo il marciapiede vicino al Residence Pontalba, dall’altra parte della piazza.

Avanzava rapido, eppure in modo sottilmente elegante, con lunghe e disinvolte falcate. La luce stava arrivando, grigia e letale, conferendo un fosco riflesso alle vetrine sotto i tetti spioventi. Io potevo sopportarla forse ancora per mezz’ora. Lui no.

Mi resi conto di non sapere dove fosse nascosta la sua bara e quanto lui dovesse camminare per raggiungerla. Non ne avevo la minima idea.

Prima di raggiungere l’angolo più vicino al fiume, si girò e mi fece un piccolo cenno: c’era più affetto in quel gesto che in qualsiasi altra cosa mi avesse mai detto.

Tornai indietro a chiudere il portone della chiesa.

8

La notte seguente mi recai subito a Jackson Square.

Il terribile vento di tramontana era infine calato su New Orleans, e l’aria era davvero gelida. È una cosa che può accadere in qualsiasi momento, durante i mesi invernali, sebbene ci siano anni in cui non accade affatto. Ero passato dal mio attico per indossare un pesante cappotto di lana, deliziato come già in precedenza per le sensazioni che mi trasmetteva la mia pelle abbronzata di fresco.

Sebbene fossero pochi i turisti che avevano sfidato il brutto tempo per recarsi nelle pasticcerie e nei caffè ancora aperti nei dintorni della cattedrale, il traffico serale era assordante e frenetico. Oltre le porte chiuse, il vecchio e sudicio Café du Monde era affollatissimo.

Lo vidi subito. Che fortuna.

Come sempre accadeva all’ora del tramonto, i cancelli della piazza erano stati legati con catene: una terribile seccatura. Lui si trovava lì, davanti alla cattedrale, e si guardava intorno con ansia.

Mi concessi qualche istante per studiarlo, prima che lui si accorgesse della mia presenza. Era poco più alto di me, quasi un metro e novanta, calcolai, e aveva un fisico assai prestante, come già avevo notato. Quanto all’età, non poteva avere più di venticinque anni. Vestiva abiti molto costosi: un impermeabile foderato di pelliccia, di alta sartoria, e una grossa sciarpa in cachemire color porpora.

Quando mi vide, venne colto da un’incontenibile ansia, mista però a un evidente moto di piacere. Con quel suo terribile e scintillante sorriso stampato in volto, cercava invano di nascondere il panico e teneva gli occhi fissi su di me, mentre io mi avvicinavo a poco a poco, come un umano.

«Ah, ma voi sembrate proprio un angelo, Monsieur de Lioncourt», mormorò d’un fiato. «E che splendore la vostra pelle scura, che incanto! Davvero un bel passo avanti. Perdonatemi per non averlo detto prima.»

«Così voi siete qui, Mister James», dissi, inarcando le sopracciglia. «Qual è la proposta? Voi non mi piacete. Fate in fretta.»

«Non siate così scortese, Monsieur de Lioncourt», replicò. «Sarebbe un terribile errore offendermi, davvero.» Sì, la sua voce era proprio come quella di David. Apparteneva alla stessa generazione, molto probabilmente, e rivelava anche le tracce di una permanenza in India, non c’erano dubbi.

«Siete nel giusto», disse. «Ho trascorso molti anni anche in India, oltre che un po’ di tempo in Australia e in Africa.»

«Ah, così voi riuscite a leggere i miei pensieri con grande facilità.»

«Non con la facilità che potreste pensare, e adesso forse non ci riuscirei affatto.»

«Se non mi dici come sei riuscito a seguirmi e che cosa vuoi, ti ammazzo.»

«Tu sai cosa voglio», rispose, ridendo piano, senza gioia e con una nota di ansia nella voce, mentre mi fissava per un istante e distoglieva poi subito lo sguardo. «Ti racconterò le varie storie, dall’inizio alla fine, ma non posso parlare qui: fa troppo freddo. Questo luogo è peggiore di Georgetown, il quartiere di Washington in cui vivo. Speravo di scampare a un tal genere di tempo. E perché mai mi trascini a Londra e a Parigi in questo periodo dell’anno?» Rise ancora, con rinnovata ansia. Era chiaro che non riusciva a fissarmi per più di un minuto: dopo, doveva distogliere gli occhi, neanche fossi una luce accecante. «C’era un freddo pungente a Londra, e io detesto il freddo. Non siamo ai tropici, qui? Ah, tu e i tuoi sentimentali sogni di neve!»

Quell’ultima osservazione mi provocò uno sbalordimento che non feci in tempo a nascondere. Per un istante rimasi in silenzio, lasciandomi invadere dalla rabbia, poi però ripresi il controllo.

«Andiamo! Quel caffè», dissi, indicando il vecchio mercato francese dall’altra parte della piazza. Mi affrettai in quella direzione, precedendolo. Ero troppo confuso ed eccitato per aggiungere altro.

Il caffè era assai rumoroso ma caldo. Feci strada fino a un tavolo nell’angolo più lontano dalla porta, ordinai per entrambi il tanto decantato café au lait e mi sedetti, chiuso in un ostinato silenzio. Seppur vagamente distratto dal piano appiccicoso del tavolino, osservavo come rabbrividiva, come svolgeva e riavvolgeva la sua sciarpa rossa, come si sfilava i raffinati guanti di pelle, se li metteva in tasca e poi li tirava di nuovo fuori, ne infilava uno e posava l’altro sul tavolo, per poi riafferrarlo ancora e rimettersi anche quello.

C’era qualcosa di davvero orribile in lui, nel modo in cui il suo affascinante e magnifico corpo era animato da un ardore subdolo e nervoso, dagli scoppi convulsi di riso. Tuttavia non riuscivo a smettere di fissarlo. In qualche diabolica forma, traevo un grande godimento nel guardarlo. E credo che lui lo sapesse.

Dietro quel volto splendido si nascondeva un’intelligenza stimolante. Improvvisamente mi resi conto di come fossi diventato intollerante nei confronti di coloro che erano davvero giovani.

Ci fu servito il caffè. Presi la tazza calda, lasciando che il vapore mi lambisse il viso: lui mi osservava, coi suoi ampi e limpidi occhi marroni, come se fosse affascinato dai miei gesti. Si sforzava di sostenere il mio sguardo con calma e decisione, ma la cosa gli risultava assai ardua. Aveva una bocca deliziosa, ciglia aggraziate, denti perfetti.