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«Di che accidenti si tratta?» chiesi.

«Lo sai. L’hai capito. Io non sono molto affezionato a questo corpo, Monsieur de Lioncourt. Un ladro di corpi ha le sue piccole difficoltà, tu comprendi.»

«Sei dunque un ladro di corpi?»

«Sì, e di prim’ordine. Ma tu lo sapevi quando hai acconsentito a incontrarmi, no? E ti prego di perdonare la mia occasionale goffaggine. Per la maggior parte della mia vita sono stato un uomo magro, se non addirittura emaciato, e non ho mai goduto di una salute così buona.» Emise un sospiro e sul suo viso calò un velo di tristezza. «Ma quello è un capitolo chiuso, ormai», riprese con un improvviso moto di sconforto. «Lasciami venire subito al sodo, per il rispetto che devo alla tua smisurata intelligenza soprannaturale e alla tua vasta esperienza…»

«Non mi provocare, piccolo buono a nulla!» sibilai sottovoce. «Se ti prendi gioco di me, ti strazierò lentamente, pezzo dopo pezzo. Ti ho detto che non mi piaci, né mi piace il nomignolo che ti sei dato.»

Quell’ultima minaccia lo zittì. Sembrò anche calmarsi. Forse aveva perso la sua vivacità, o era paralizzato dal terrore, oppure la sua paura aveva ceduto il posto a una fredda rabbia.

«D’accordo», disse in tono calmo e conciliante. «Io voglio fare uno scambio di corpi: tu mi darai il tuo per una settimana, mentre io farò in modo che tu abbia il mio. È giovane, perfettamente in salute, e il suo aspetto ti piace, è ovvio. Posso mostrarti svariati certificati di sana costituzione, se lo desideri. Questo corpo è stato testato a fondo ed esaminato proprio prima che io ne prendessi possesso. O che lo rubassi. È molto forte, come puoi vedere. È forte, davvero molto forte…»

«Come puoi farlo?»

«Lo facciamo insieme, Monsieur de Lioncourt», rispose con molto garbo, con un tono che, frase dopo frase, diventava sempre più civile e cortese. «Trattando con una creatura come tu sei, non si parla di un vero e proprio furto di corpi…»

«Però tu ci hai provato, vero?»

Lui mi studiò per un momento, esitando sulla risposta più opportuna da darmi. «Non puoi biasimarmi per quello, non trovi?» chiese con fare supplichevole. «Non più di quanto io possa biasimare te per il fatto di bere sangue.» Sorrise nel pronunciare la parola sangue. «In realtà, stavo cercando di catturare la tua attenzione, il che non è facile.» Appariva pensieroso e del tutto sincero. «Inoltre, un rapporto di collaborazione coinvolge sempre a un certo livello, più o meno profondo.»

«E sia. Ma qual è la meccanica, se mi passi il termine un po’ crudo? Come collaboreremo, noi due? Devi essere preciso. Io non credo che sia possibile.»

«Oh, ma andiamo! Certo che ci credi», suggerì, con il tono di un maestro paziente. Anzi sembrava quasi l’imitazione di David, ma senza la sua energia. «In quale altro modo sarei riuscito ad appropriarmi di questo corpo?» chiese, indicando se stesso. Poi continuò: «C’incontreremo in un luogo adatto, usciremo fuori dei nostri corpi, cosa che tu sai fare molto bene e che hai illustrato in modo così eloquente nei tuoi scritti, quindi prenderemo possesso l’uno del corpo dell’altro. Non ci vuole nulla, in effetti, se non un assoluto coraggio e un atto di volontà». Sollevò la tazza — notai che la mano gli tremava con violenza —, e bevve un sorso di caffè caldo. «Per quanto ti riguarda, il tutto consisterà in una prova di coraggio, niente di più.»

«Che cosa mi terrà ancorato al nuovo corpo?»

«Non ci sarà nessuno lì dentro, Monsieur de Lioncourt, a spingerti fuori. È una cosa molto diversa dalla possessione, lo capisci bene, no? La possessione è una battaglia. Invece, quando entrerai in questo corpo, tu non incontrerai da parte sua la minima resistenza. Puoi rimanervi finché non deciderai di liberarti.»

«Lo trovo a dir poco sconcertante!» esclamai, con evidente fastidio. «So che sono stati scritti fiumi di parole riguardo a tali problemi, ma qualcosa non…»

«Permettimi di presentarti la cosa in questi termini», replicò accomodante, con voce pacata. «Qui parliamo di scienza, ma di una scienza che non è stata ancora codificata dalle menti scientifiche. Abbiamo soltanto le memorie di alcuni poeti e di certi misteriosi avventurieri, piuttosto incapaci di analizzare quello che succedeva loro.»

«Proprio così. Come tu hai sottolineato, io stesso l’ho fatto, ho viaggiato fuori del corpo. Tuttavia non so cosa accade. Perché il corpo non muore una volta abbandonato? Non capisco.»

«L’anima non è formata di un’unica parte, come il cervello. Di certo tu sai che un bambino può nascere senza cervelletto, ma che il suo corpo può rimanere in vita se possiede quello che viene chiamato sistema neurovegetativo.» «Che pensiero spaventoso!»

«Succede di continuo, te l’assicuro. Vittime d’incidenti, il cui cervello è stato danneggiato in modo irreversibile, possono ancora respirare, e anche sbadigliare, sebbene siano in coma. Il livello più elementare delle loro funzioni cerebrali continua a sopravvivere.»

«E tu puoi impadronirti di quei corpi?» «Oh, no. Per prendere il pieno controllo ho bisogno di un cervello sano, che abbia tutte le cellule funzionanti e capaci di trattenere la mente dell’occupante. Fa’ attenzione a quello che dico, Monsieur de Lioncourt: il cervello non è la mente. Ancora una volta, non stiamo parlando di possessione, ma di qualcosa di assai più sottile. Permettimi di continuare, per favore.» «Va’ avanti.»

«Come stavo dicendo, l’anima non è costituita da un blocco unico, allo stesso modo del cervello. La sua parte maggiore, che comprende elementi come l’identità, la personalità, la coscienza, è quella che riesce a liberarsi e a viaggiare fuori del corpo. Ciò che rimane invece è la sua parte minore, l’anima residuale, che continua ad animare il corpo vuoto, per così dire, poiché altrimenti l’inattività porterebbe alla morte.»

«Capisco. La parte che rimane… anima il sistema neurovegetativo, è questo che intendi.»

«Già. Quando uscirai dal tuo corpo, tu lascerai lì un’anima residuale. In modo analogo, quando entrerai nel mio, troverai un’altra anima residuale, proprio la stessa che io ho incontrato allorché ne ho preso possesso. Questa porzione di anima non vede l’ora di saldarsi con un’altra parte più elevata e lo farà in modo automatico, poiché, senza di essa, si sente incompleta.»

«E quando sopraggiunge la morte, entrambe le anime abbandonano il corpo?»

«Sì. Entrambe le anime, l’anima maggiore e l’anima residuale, se ne vanno, con una violenta… espulsione. Rimane dunque solo una carcassa senza vita e di lì ha inizio la decomposizione del corpo.» Fece una pausa, continuando a osservarmi in quel modo apparentemente sincero, poi aggiunse: «Credimi, la potenza della vera morte è molto più forte. Non vi è pericolo in quello che ci proponiamo di fare».

«Ma se la piccola anima residuale è così maledettamente ricettiva, perché io, con tutto il mio potere, non posso far uscire dall’ ‘involucro’ qualche piccola anima mortale, ed entrarci dentro?»

«Perché l’anima maggiore tenterebbe di riscattare il proprio corpo, Monsieur de Lioncourt, e lo farebbe più e più volte. Le anime non vogliono stare senza un corpo. E anche se l’anima residuale accoglie di buon grado l’invasore, qualcosa in lei riconosce sempre l’anima particolare di cui un tempo faceva parte e, in caso di conflitto, sarà proprio quella che andrà a scegliere. Un’anima, anche se disorientata, può agire in modo assai efficace per recuperare la propria forma mortale.»

Non dissi nulla. Tuttavia, per quanto sospettassi di lui, e mi ripetessi di stare in guardia, trovavo che ci fosse una logica in quello che diceva.