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Non dissi nulla.

«Inoltre, per quello che offro, dieci milioni sono un affare. Chi altri ti ha mai fatto un’offerta così? Non c’è nessun altro, in questo momento cioè, che possa o intenda farlo.»

«Supponi invece che io non voglia ripetere lo scambio alla fine della settimana», replicai. «Supponi che io voglia rimanere umano per sempre.»

«Per me va benissimo», disse con condiscendenza. «Io posso disfarmi del tuo corpo in qualunque momento lo desideri. Ci sono molti altri che me lo toglieranno di mano.» Mi rivolse un deferente e ammirato sorriso.

«Che cosa farai col mio corpo?»

«Mi ci divertirò. Mi godrò la forza, il potere! Ho avuto ogni cosa il corpo umano possa offrire, giovinezza, bellezza, resistenza. Sono anche stato nel corpo di una donna, sai. Un’esperienza che, tra l’altro, non consiglio affatto. Ora voglio quello che tu hai da offrire.» Socchiuse gli occhi, raddrizzando il capo. «Se ci fosse un angelo incarnato, qui intorno, potrei benissimo avvicinarlo e…»

«II Talamasca non possiede testimonianze di angeli?»

Lui ebbe un’esitazione, poi ridacchiò. «Gli angeli sono puro spirito, Monsieur de Lioncourt, mentre noi stiamo parlando di corpi. Io sono dedito ai piaceri della carne. E i vampiri sono mostri carnali, o no? Loro prosperano sul sangue.» Ancora una volta, nel pronunciare la parola sangue, gli si accese una luce negli occhi.

«Qual è il tuo gioco?» chiesi. «Quello vero, intendo. Qual è la tua passione? Non può essere il denaro. A cosa ti serve? Che cosa comprerai? Quelle esperienze che non hai avuto, forse?»

«Sì, direi che si tratta di questo: delle esperienze che non ho avuto. Io sono ovviamente un voluttuoso, mancando un termine migliore, ma se tu vuoi proprio sapere la verità, e non vedo perché dovrebbero esserci menzogne tra noi, allora ecco qua: sono un ladro sotto ogni aspetto. Non traggo godimento da nulla per cui non abbia dovuto mercanteggiare, ingannare o rubare. È il mio modo di creare qualcosa dal nulla, si può dire, il mio modo di essere simile a Dio!»

Si fermò, come se fosse così impressionato da quello che aveva appena detto da essere costretto a trattenere il respiro. Abbassò lo sguardo sulla tazza di caffè mezza vuota e sorrise: un lungo sorriso rivolto unicamente a se stesso. «Hai capito, no?» chiese poi. «Io questi abiti li ho rubati, al pari di ogni cosa nella mia casa di Georgetown: ogni mobile, ogni quadro, ogni piccolo oggetto artistico. Persino la casa è rubata o, meglio, mi è stata ceduta, una cessione determinata da una vera congerie di false idee e di ancor più false speranze. Credo che il termine esatto sia truffa, ma non importa.» Sorrise di nuovo con una punta di orgoglio e con una tale intensità da lasciarmi stupefatto. «Tutto il denaro che possiedo è rubato, come l’auto che guido a Georgetown e i biglietti aerei che ho usato per rincorrerti da un capo all’altro del mondo.»

Che essere strano, pensai. M’incuriosiva e nel contempo provocava in me un senso di ripugnanza, per tutta quella sua condiscendenza e per la sua apparente sincerità. Era una recita, però era quasi perfetta. E poi c’era quel suo volto affascinante, che a ogni nuova rivelazione appariva più docile, mutevole ed espressivo. Mi scossi. Dovevo saperne di più. «Come ci sei riuscito, a seguirmi? Come facevi a sapere sempre dov’ero?»

«In due modi, per essere franco con te. Il primo è ovvio. Io sono in grado di lasciare il mio corpo per brevi periodi, nel corso dei quali posso cercarti anche se ti trovi molto distante da me. Tuttavia quel tipo di viaggio incorporeo non mi piace affatto e tu non sei facile da trovare. Ti nascondi a lungo e poi, d’un tratto, ti mostri con assoluta, e sconsiderata, evidenza. Te ne vai in giro senza un disegno preciso: spesso non faccio in tempo a localizzarti, e a trasferire il mio corpo in quel luogo, che tu te ne sei già andato. Poi c’è un altro modo, quasi altrettanto magico: i canali informatici. Tu usi molti pseudonimi: io sono riuscito a scoprirne quattro. Spesso non sono abbastanza veloce da raggiungerti via computer, eppure posso studiare il tuo percorso. E quando torni di nuovo indietro, so dove trovarti.»

Non dissi nulla. Ero sempre più sorpreso dal lampante piacere che lui ricavava dalla faccenda.

«Mi piace il gusto che dimostri per le città», riprese, «oltre che le tue scelte degli alberghi: l’Hassler a Roma, il Ritz a Parigi, lo Stanhope a New York. E naturalmente il Park Central a Miami, un delizioso alberghetto. Oh, non essere così sospettoso. Non ci vuole nulla a inseguire le persone grazie ai canali informatici, né a corrompere i commessi perché ti mostrino una ricevuta della carta di credito, né a costringere i funzionari di banca a rivelarti cose per le quali sarebbero tenuti al segreto professionale. Gli inganni di solito sortiscono un buon effetto. E non occorre davvero essere assassini soprannaturali.»

«Tu rubi attraverso i canali informatici?»

«Quando posso», rispose storcendo leggermente la bocca. «Io rubo con ogni mezzo. Nulla è indegno di me. Ma non sono capace di sottrarre dieci milioni di dollari. Se lo fossi, ora non sarei qui… Non sono così bravo. Sono stato preso due volte: mi hanno anche messo in prigione. È stato là che ho perfezionato le tecniche per viaggiare fuori del mio corpo, giacché non c’era altro sistema.» Accennò un sorriso amaro e sarcastico.

«Perché mi stai dicendo tutto questo?»

«Perché il tuo amico David Talbot te lo verrà a raccontare. E perché credo che noi dovremmo comprenderci. Sono stanco di correre rischi. Questo è il mio colpo definitivo: il tuo corpo, oltre ai dieci milioni di dollari che ne ricaverò nel momento in cui lo lascerò.»

«Che cosa significa tutto ciò per te?» chiesi. «A me l’intera questione suona così meschina e frivola.»

«Dieci milioni di dollari sono una cosa frivola?»

«Sì. Tu hai barattato un vecchio corpo per uno nuovo. Sei di nuovo giovane! E il prossimo passo, se io acconsentirò, saranno Il mio corpo e i miei poteri. Ma è il denaro che t’interessa, solo ed esclusivamente quello.»

«M’interessano entrambi!» replicò con tono acido e provocatorio. «Si tratta di due cose molto simili.» Con palese sforzo riguadagnò la propria compostezza. «Non te ne rendi conto perché tu hai acquisito la ricchezza e il potere simultaneamente. L’immortalità e una grande bara piena di oro e gioielli. Non è andata così? Te ne sei uscito dalla torre di Magnus da immortale e con un mucchio di soldi. Oppure il racconto è una menzogna? Tu sei reale, questo è evidente, ma non so se lo sia anche tutto ciò che hai scritto. Ma dovresti capire quello che sto dicendo, giacché anche tu sei un ladro.»

Sentii un impeto di rabbia. D’un tratto quell’individuo mi parve assai più ripugnante di quanto non mi fosse apparso prima, quando si era seduto davanti a me, in preda al nervosismo e all’ansia.

«Io non sono un ladro», dissi con calma. «Sì, che lo sei», ribatté lui in tono sorprendentemente comprensivo. «Tu derubi sempre le tue vittime. Lo sai benissimo.» «No, non lo faccio mai, a meno che… non vi sia costretto.» «Mettila come vuoi. Io penso che tu sia un ladro.» Si sporse in avanti, con gli occhi che ancora una volta gli brillavano, mentre continuava a parlare in modo pacato: «Tu rubi il sangue che bevi: su questo non puoi ribattere».