«Che cos’è accaduto davvero fra te e il Talamasca?» chiesi. «Te l’ho detto», rispose. «II Talamasca mi ha buttato fuori. Mi hanno accusato di usare le mie doti per ottenere informazioni a uso personale, oltre che di frode e di furto, ovvio. Sono stati molto stupidi e poco previdenti, i tuoi amici del Talamasca. Mi hanno sottovalutato, mentre avrebbero dovuto tenermi in gran conto, studiarmi e implorarmi d’insegnar loro le cose che so. Invece mi hanno licenziato. Sei mesi di buonuscita. Una miseria. E hanno rifiutato la mia ultima richiesta: un biglietto di prima classe per l’America sulla Queen Elizabeth 2. Sarebbe stato così semplice esaudire il mio desiderio. Me lo dovevano, dopo tutto ciò che avevo rivelato loro. Avrebbero dovuto farlo.» Sospirò, mi lanciò un’occhiata e poi guardò il caffè. «Particolari del genere sono importanti in questo mondo, molto importanti.»
Non replicai. Guardai di nuovo la fotografia, la figura sul ponte della nave, anche se lui probabilmente non lo notò. Osservava il locale chiassoso, con lo sguardo che si spostava in continuazione dai muri al soffitto ai turisti. In realtà, però, sembrava che non vedesse nulla.
«Ho tentato di mercanteggiare con loro», riprese, sempre in tono misurato. «Ho chiesto se, per caso, volessero indietro un po’ di cose, o desiderassero qualche risposta alle loro domande. Ma non mi hanno dato retta: il denaro per loro non significa niente, non più di quanto significhi per te. Sono troppo miopi, anche soltanto per prenderlo in considerazione. Sono stato congedato con un biglietto aereo di classe turistica e un assegno pari a sei mesi di paga. Sei mesi di paga! Oh, sono così stanco di tutti questi miseri alti e bassi!»
«Che cosa ti ha fatto pensare di poterli mettere nel sacco?» «Io li ho messi nel sacco», rispose, mentre un lieve sorriso accendeva un bagliore nei suoi occhi. «Non sono molto accorti coi loro inventar!: non hanno un’idea realistica della quantità dei piccoli tesori di cui sono riuscito ad appropriarmi. Non lo indovineranno mai. Naturalmente il vero furto sei stato tu, è stato il segreto della tua esistenza. Ah, scoprire quella piccola stanza piena di cimeli è stato un vero colpo di fortuna. Sia chiaro, non ho preso nulla dei tuoi averi, finanziere marcite che provenivano dai tuoi armadi di New Orleans, pergamene con la tua firma stravagante… Ah, già, c’era anche un medaglione con la miniatura dipinta di quella detestabile bambinetta…»
«Tieni a freno la lingua!» sibilai.
«Mi dispiace. Non intendevo offenderti, davvero.»
«Quale medaglione?» chiesi. Riusciva a udire l’accelerazione improvvisa del mio cuore? Provai a calmarmi, cercando di non avvampare di nuovo.
Mi rispose con assoluta umiltà. «Un medaglione d’oro attaccato a una catena, con dentro una piccola miniatura ovale. Te lo giuro, non l’ho rubato. L’ho lasciato lì. Chiedi al tuo amico Talbot. È ancora nella segreta.»
Non ribattei, cercando di controllare il battito del mio cuore e cacciando tutte le immagini di quel medaglione dalla mia mente. Poi ripresi: «In sostanza, quelli del Talamasca ti hanno pizzicato e quindi sbattuto fuori».
^«Non continuare a insultarmi», ribatté con assoluta calma. «È possibile chiudere il nostro piccolo affare senza malintesi. Sono molto dispiaciuto di avere citato quel medaglione, io non…»
«Voglio riflettere sulla tua proposta», mormorai.
«Potrebbe essere un errore.»
«Perché?»
«Cogli la possibilità! Agisci velocemente. Agisci subito. E, per favore, ricorda: se mi farai del male, getterai via questa opportunità per sempre. Io rappresento l’unica chiave di accesso a una simile esperienza. Serviti di me, o non saprai mai che cosa vuoi dire essere di nuovo umano.» Si avvicinò al punto che potevo sentire il suo respiro sulla mia guancia. «Tu non saprai mai che cosa vuoi dire camminare alla luce del sole, goderti un intero pasto di vero cibo, fare l’amore con una donna o un uomo…»
«Adesso voglio che tu te ne vada di qui. Lascia questa città e non tornare indietro. Quando sarò pronto, verrò io da te all’indirizzo di Georgetown. Lo scambio poi non sarà di una settimana, e comunque non la prima volta. Sarà…»
«Posso suggerire due giorni?» Non risposi.
«Che cosa ne dici di cominciare con un giorno?» chiese. «Se ti piacerà, allora ci potremo accordare per un periodo più lungo.»
«Un giorno», ripetei, con una voce che persino a me stesso risuonò assai strana. «Un periodo di ventiquattr’ore… come prima volta.»
«Un giorno e due notti», disse calmo. «Permettimi di suggerire il prossimo mercoledì, all’ora che preferisci, dopo il tramonto. Faremo il secondo scambio venerdì sul presto, prima dell’alba.»
Rimasi in silenzio.
«Tra oggi e domani, hai due sere a disposizione per i preparativi», continuò, suadente. «Dopo lo scambio, avrai tutta la notte di mercoledì e tutto giovedì, compresa la notte fino a… due ore prima dell’alba di venerdì, diciamo? Sì, dovrebbe andare abbastanza bene.» Mi scrutò, poi si fece prendere da una certa ansia: «E porta uno dei tuoi passaporti con te. Non m’interessa quale. Ma ne voglio uno, oltre a uno straccio di carta di credito e a un po’ di contanti in aggiunta ai dieci milioni. D’accordo?» Non dissi nulla. «Tu sai che funzionerà.» Ancora una volta non risposi.
«Credimi, tutto quello che ti ho detto è vero. Chiedi a Talbot. In origine non ero l’avvenente individuo che adesso vedi davanti a te. E questo corpo ti sta aspettando, in questo preciso momento.»
Rimasi in silenzio.
«Vieni da me mercoledì», aggiunse. «Sarai molto felice di averlo fatto.» Fece una pausa, poi i suoi modi diventarono ancora più suadenti. «Ascoltami, io… Sento di conoscerti…» La sua voce declinò in un sussurro. «Io so che cosa vuoi! È terribile volere qualcosa e non averlo, ma sapere poi che è a portata di mano…»
Posai lo sguardo sul suo bel viso: appariva tranquillo, privo di espressione. Gli occhi mostravano un che di straordinario nella loro delicatezza, mentre la pelle appariva compatta, dalla consistenza quasi serica.
Riprese a parlare, con un seducente bisbiglio velato di tristezza. «Soltanto tu e io possiamo farlo. Da un certo punto di vista, è un miracolo che solo noi riusciamo a capire.»
II volto apparve d’un tratto mostruoso nella sua placida bellezza e anche l’eloquenza e la soavità della voce, così carica di affetto, se non di amore, mi apparvero raccapriccianti.
Avvertii l’impulso di afferrare quella creatura per la gola, di scuoterla sino a farle perdere quella compostezza, quella sua aria d’intensa partecipazione, ma non mi sarei mai sognato di agire davvero così. Mi lasciavo incantare dai suoi occhi e dalla sua voce. Era una concessione che stavo facendo a me stesso, proprio come, in precedenza, avevo acconsentito a essere sopraffatto dalle sensazioni fisiche. E lasciavo fare perché quell’essere sembrava così fragile e stupido, mentre io ero sicuro della mia forza.
Ma quella era una menzogna. Io volevo farlo! Volevo fare quello scambio.
Solo dopo un bel po’, lui si ritrasse, lasciando che il suo sguardo indugiasse ancora una volta sul locale. Stava aspettando il momento opportuno? Che cosa accadeva nel segreto della sua anima astuta e cospiratrice? Era un essere che poteva rubare i corpi, che poteva vivere nella carne di un altro!
Prese una penna dalla tasca, strappò un tovagliolino di carta e trascrisse il nome e l’indirizzo di una banca. Me lo diede. Io lo presi e lo feci scivolare in tasca senza aggiungere niente.
«Prima che lo scambio avvenga, ti darò il mio passaporto», disse, studiandomi a ogni parola. «Quello con sopra la faccia giusta, è ovvio. Potrai usufruire comodamente di casa mia. Presumo che avrai del denaro in tasca, dal momento che ne tieni sempre. Troverai il mio alloggio abbastanza accogliente e Georgetown ti piacerà.» Come morbide dita che tamburellano sul dorso della mano, le sue parole mi procuravano un senso di fastidio, ma anche una vaga eccitazione che mi faceva rabbrividire. «È un posto abbastanza civile, un luogo ricco di memorie. Là sta nevicando, è ovvio. Ti rendi conto, fa molto freddo. Se proprio non vuoi fare lo scambio in un clima freddo…»