Выбрать главу

«Va bene.»

«Ebbene, se io aggredissi il tuo corpo mortale, tu potresti uscirne. Ti ho già spiegato che la tua collaborazione nella faccenda è indispensabile.»

«E se tu fossi troppo veloce?»

«Questa è una possibilità puramente teorica. Io non potrei mai farti del male: se lo facessi, i tuoi amici verrebbero a saperlo. Per tutto il tempo in cui tu, Lestat, rimanessi dentro un corpo umano in buona salute, i tuoi compagni non potrebbero pensare di distruggere il tuo corpo soprannaturale, sebbene comandato da me. Non ti farebbero una cosa del genere, vero? Ammettiamo poi che io ti uccida, magari fracassandoti la testa prima che tu possa liberarti… e questa è una possibilità, ne sono del tutto consapevole, te lo assicuro! Ebbene: i tuoi compagni prima o poi mi smaschererebbero come un impostore e si sbarazzerebbero di me in modo assai rapido. Sono certo che loro avvertirebbero la tua morte. Non credi?»

«Non so. Comunque alla fine scoprirebbero ogni cosa.»

«È ovvio ! È essenziale che tu stia lontano da loro mentre ti trovi nel mio corpo, che non ti avvicini a New Orleans, che ti tenga alla larga da tutti i bevitori di sangue, nessuno escluso, anche dal più inoffensivo. Devi far ricorso alla tua abilità nel nasconderti… Ho valutato attentamente l’intera operazione, puoi starne certo. Se io mi trovassi in procinto di dar fuoco al tuo meraviglioso Louis de Pointe du Lac, gli altri lo saprebbero subito, no? Anzi proprio io potrei essere la prossima torcia le cui fiamme risplenderebbero nel cuore della notte.»

Non replicai. Sentii la rabbia scorrermi dentro come un liquido gelido, spazzando via la mia capacità di prevedere gli eventi e il mio coraggio. Ma io lo volevo! Lo volevo, ed era a portata di mano.

«Non continuare a tormentarti con simili assurdità», supplicò. I suoi modi ricordavano davvero quelli di David Talbot. Forse lo faceva deliberatamente, forse David era il suo modello. Ma io pensai che quell’atteggiamento fosse piuttosto radicato nel loro comune ceto sociale nonché in una certa attitudine naturale alla persuasione che neppure David possedeva. «Non sono un vero assassino, lo sai», riprese con improvvisa veemenza. «Il possesso significa tutto, per me: voglio il comfort, la bellezza intorno a me, ogni immaginabile lusso, la facoltà di viaggiare e di vivere dove voglio.»

«Vuoi qualche istruzione?»

«A che riguardo?»

«A proposito di cosa fare quando sarai dentro il mio corpo.»

«Tu mi hai già dato le istruzioni che mi servono, amico mio. I tuoi libri…» Mi lanciò un ampio sorriso, abbassando lievemente la testa e guardandomi da sotto in su come se cercasse di convincermi ad andare a letto con lui. «Mi sono passato anche tutti i documenti negli archivi del Talamasca.»

«Che genere di documenti?»

«Oh, descrizioni dettagliate sull’anatomia del vampiro, come per esempio i tuoi evidenti limiti, quel genere di cose. Dovresti leggerli anche tu. Forse ti verrebbe da ridere. I primi testi risalgono al Medioevo e sono pieni di fantasiose scempiaggini che avrebbero fatto piangere anche Aristotele. Ma gli scritti più recenti sono piuttosto precisi e validi dal punto di vista scientifico.»

Non mi piaceva la piega che aveva preso la discussione. Non mi piaceva nulla di quello che stava accadendo. Ero tentato di troncare ogni cosa. Ma poi, quasi d’un tratto, mi resi conto che sarei andato sino in fondo. Ne ero certo.

Una curiosa calma scese su di me. Sì, stavamo per farlo, era una questione di minuti. E avrebbe funzionato. Mi sentii impallidire e provai un’impercettibile sensazione di raffreddamento alla pelle, ancora dolorante dopo quella terribile prova sotto il sole. Dubitavo che lui avesse notato quel cambiamento nella mia espressione. E infatti continuò a parlare proprio come prima.

«Le osservazioni scritte nel 1970, dopo la pubblicazione di Intervista col vampiro, sono molto interessanti. E poi ci sono le parti più recenti, ispirate dalla tua frammentaria e fantasiosa storia delle specie, perbacco! No, io so tutto del tuo corpo, forse anche più di te. Tu hai capito che cosa vuole davvero il Talamasca? Un campione dei tuoi tessuti, qualche tua cellula di vampiro! Dovresti renderti conto che loro non sono mai riusciti a procurarsi simili cose. Tu hai concesso a Talbot troppa confidenza, davvero. Forse lui ti ha tagliato le unghie o una ciocca di capelli mentre dormivi sotto il suo tetto.»

Una ciocca di capelli. Non c’era una ciocca di capelli biondi in quel medaglione? Dovevano essere capelli di vampiro! I capelli di Claudia. Rabbrividii, chiudendomi in me stesso. Una terribile notte di alcuni secoli prima, Gabrielle, mia madre mortale e mia creatura rigenerata a nuova vita, aveva tagliato i suoi capelli di vampira. Nel corso delle lunghe ore diurne, mentre giaceva nella bara, però, le erano ricresciuti. Cercai di non rammentare le sue grida quando lo scoprì: quelle magnifiche trecce che ancora una volta le ricadevano, lunghe e folte, sulle spalle. Non volli pensare a lei e a ciò che avrebbe potuto dirmi riguardo a ciò che avevo intenzione di fare. Erano passati anni dall’ultima volta in cui avevo posato gli occhi su di lei. Ci sarebbero voluti secoli prima che la potessi vedere di nuovo.

Guardai ancora James, osservando come lui rimaneva lì, seduto, in trepidante attesa, sforzandosi di apparire paziente e col viso acceso dal calore della luce.

«Dimenticati del Talamasca», dissi sottovoce. «Perché te la passi così male nel corpo in cui ti trovi adesso? Sei goffo. Ti dimostri a tuo agio soltanto se sei seduto su una sedia e puoi affidare ogni cosa alla tua voce e al tuo volto.»

«Molto perspicace», replicò, con dignità impassibile. «Non mi pare. È piuttosto evidente.» «Si tratta soltanto di un corpo troppo grande», disse con calma. «È troppo muscoloso, troppo… atletico, diciamo? Ma per te è perfetto.» Si fermò, guardando meditabondo prima la tazza di tè e poi di nuovo me. I suoi occhi sembravano così grandi, così innocenti. «Lestat, andiamo», riprese. «Perché sprechiamo tempo a parlare? Non ho intenzione di entrare nel Royal Ballet una volta che sarò dentro di te. Voglio godermi l’esperienza nella sua interezza, sperimentare, vedere il mondo attraverso i tuoi occhi.» Lanciò un’occhiata al suo orologio. «Bene, ti offrirei un piccolo drink per farti coraggio, ma a lungo andare sarebbe un gesto autolesionistico, non credi? Oh, a proposito, il passaporto. Sei riuscito ad averlo? Ti avevo chiesto di procurarmene uno. Spero davvero che tu te lo sia ricordato. Naturalmente io ho un passaporto per te. Anche se temo che non andrai da nessuna parte, vista questa tormenta…»

Posai il passaporto sul tavolo davanti a lui. James fece passare una mano sotto il maglione, sfilò il documento dalla tasca della camicia e me lo mise in mano.

Lo esaminai. Era americano. E palesemente falso. Anche la data di rilascio di due anni prima era fasulla. Raglan James. Anni ventisei. La fotografia era esatta, una bella fotografia. L’indirizzo era quello di Georgetown.

Lui stava studiando il passaporto americano che gli avevo dato io. Anche quello era falso.

«Ah, la tua pelle abbronzata! L’hai preparato per l’occasione… Dev’essere stato la notte scorsa.»

Non mi presi la briga di rispondere.

«Molto ingegnoso da parte tua», continuò lui. «E che bella fotografia.» La studiò. «Clarence Oddbody: dove diamine sei andato a pescare un nome del genere?»

«Un piccolo scherzo personale. Che importa? Ce l’avrai soltanto per questa notte e per la prossima», dissi con un’alzata di spalle.

«Verissimo.»

«Ti aspetterò di nuovo qui venerdì mattina presto, fra le tre e le quattro.»

«Ottimo.» Aveva cominciato a mettere il passaporto in tasca ma si fermò, prorompendo in un’acuta risata. Poi mi piantò gli occhi addosso e assunse un’aria di puro godimento. «Sei pronto?»