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Tentai di fare un bel respiro profondo, ma quell’odore disgustoso ormai mi circondava. Alzai le mani e mi resi conto che l’orina era finita anche sulle dita. Aprii subito il rubinetto del lavandino, afferrai il sapone e mi misi all’opera. M’insaponai le mani ripetutamente, ma non riuscivo a tranquillizzarmi sul fatto che fossero davvero pulite. Mi resi conto che la pelle appariva molto più porosa della mia pelle soprannaturale, dandomi una sensazione di sporco. Dopodiché cominciai a tirar via i brutti anelli d’argento.

Però non si sfilavano, neppure con tutte quelle insaponate. Mi sforzai di ricordare… Sì, quel bastardo li portava già a New Orleans: forse non riusciva a toglierli nemmeno lui, e ormai li dovevo tenere! Avevo esaurito la mia pazienza, ma non c’era niente da fare: dovevo andare da un orefice, che avrebbe potuto rimuoverli con un seghetto, una pinza o qualche altro strumento. Il semplice pensiero mi rese così ansioso che tutti i miei muscoli si contrassero in dolorosi spasmi. M’imposi di smettere.

Mi sciacquai ripetutamente le mani, poi afferrai l’asciugamano e le asciugai, rimanendo ancora una volta disgustato dalla loro natura assorbente e dalla sporcizia intorno alle unghie. Mio Dio, perché quell’idiota non si puliva bene le mani?

Poi guardai nello specchio a muro in fondo al bagno e vidi riflessa un’immagine invero rivoltante: una grande chiazza bagnata sul davanti dei miei pantaloni. Quello stupido membro non era asciutto, quando lo avevo ficcato dentro!

Be’, ai vecchi tempi, non me ne sarei mai preoccupato… Ma allora ero un sudicio signore di campagna che si lavava in estate, o quando gli veniva voglia di tuffarsi in una sorgente di montagna.

Quella macchia d’orina sui miei pantaloni era invece del tutto fuori questione! Uscii dal bagno, passando davanti a Mojo e dandogli un buffetto sulla testa, ed entrai nella camera principale. Aprii l’armadio e trovai un altro paio di pantaloni di lana grigia, migliori a tutti gli effetti. Mi tolsi subito le scarpe e mi cambiai.

Che cosa dovrei fare, adesso? Be’, andare a prendere qualcosa da mangiare, pensai. E poi mi resi conto che avevo fame! Sì, era quella la natura precisa del fastidio che avevo percepito dal momento in cui era cominciata la mia avventura, un fastidio aggravato dalla vescica piena e dalla pesantezza generale, comunque.

Mangiare. Già, ma se mangi, lo sai cosa succederà? Dovrai tornare di nuovo in quel bagno, o in qualche altro, e liberarti di tutto il cibo ingerito. Il pensiero mi fece quasi vomitare.

Infatti, mi salì una tale nausea anche solo a immaginare gli escrementi che uscivano dal mio corpo, che per un attimo credetti di vomitare sul serio. Allora mi sedetti in fondo a quel letto basso e moderno, cercando di tenere sotto controllo le mie emozioni.

Mi dissi che quelli erano gli aspetti più semplici dell’essere umano, che non dovevo permettere loro di oscurare le faccende più importanti e che, inoltre, mi stavo comportando da perfetto vigliacco e non da eroe tenebroso, come pretendevo di essere. Cercate di comprendermi: non credo davvero di essere un eroe, per il mondo. Tuttavia molto tempo fa ho deciso che avrei dovuto vivere come se lo fossi stato, superando tutte le difficoltà che mi si sarebbero presentate, perché esse sarebbero state inevitabili prove del fuoco.

Ecco, quella era una prova del fuoco, piccola e vergognosa. E io dovevo smetterla subito di fare il vigliacco. Mangiare, gustare, sentire, vedere: ecco quali erano i nomi della prova. Ma che prova!

Infine mi tirai su, facendo passi un po’ più lunghi per adattarli alle nuove gambe, e tornai all’armadio. Con mio stupore, mi accorsi che in realtà non c’erano molti vestiti: qualche paio di pantaloni di lana, due giacche sempre di lana piuttosto leggere, entrambe nuove, e tre camicie su una mensola.

Mmm… Cos’era successo al resto? Aprii il cassetto in alto del cassettone: vuoto, come lo erano tutti gli altri. E vuota era anche la cassettiera vicino al letto.

Che cosa poteva significare? Si era portato quei vestiti via con sé, o li aveva spediti in qualche posto? E perché poi? Non sarebbero andati bene al suo nuovo corpo. Inoltre si era vantato di aver previsto ogni cosa. Ero assai inquieto. Voleva forse dire che non aveva intenzione di tornare?

Era assurdo. Non avrebbe rinunciato ai venti milioni di dollari E io non potevo passare il mio prezioso tempo da mortale a preoccuparmi di una cosa del genere!

Proseguii lungo la scala pericolosa, mentre Mojo camminava al mio fianco con passi felpati. Ormai controllavo il nuovo corpo piuttosto con facilità, per quanto mi sembrasse ancora impacciato e pesante. Aprii l’armadio nel corridoio: un vecchio cappotto su una gruccia, insieme con un paio di stivali di gomma. Nient’altro.

Andai allo scrittoio del soggiorno, dove lui mi aveva detto che avrei potuto trovare la patente da guida. Aprii il primo cassetto in alto: era vuoto, come quasi tutti gli altri. Tuttavia in uno c’erano alcune carte. Sembravano essere collegate in qualche modo alla casa, ma da nessuna parte appariva il nome di Raglan James. Mi sforzai di capire di che cosa si trattasse, però il gergo burocratico mi confuse. Non riuscii a farmi un’idea immediata del contenuto, come succedeva invece quando guardavo le cose coi miei occhi di vampiro.

Ricordai ciò che aveva detto James riguardo alle sinapsi. Sì, ragionavo più lentamente: mi era stato difficile leggere le parole.

Ma allora, che importanza aveva? Non c’era nessuna patente lì. Quello che mi serviva era il denaro. Ah, sì, il denaro. Lo avevo lasciato sul tavolo. Buon Dio, poteva essere volato fuori, nel prato.

Tornai subito in cucina, dove ormai si gelava. Infatti il tavolo, la stufa e le pentole di rame erano coperti da un sottile strato di brina bianca. Il portafoglio col denaro sul tavolo non c’era, come non c’erano le chiavi della macchina. E la lampada era andata in frantumi.

Mi misi in ginocchio, al buio, e cominciai a tastare il pavimento. Trovai il passaporto. Ma del portafoglio nessuna traccia. E neanche delle chiavi. Trovai soltanto i pezzi di vetro della lampadina esplosa, che mi tagliarono le mani in due punti: comparvero alcune piccolissime macchioline di sangue, senza odore o sapore. Tentai di vedere, senza tastare. Il portafoglio non c’era. Uscii di nuovo, facendo attenzione a non scivolare. Niente. La mia vista non riusciva ad arrivare fino alla neve alta del prato.

Ma era inutile, no? Il portafoglio e le chiavi erano decisamente troppo pesanti per essere volati via. Doveva averli portati via lui! Magari era persino tornato indietro a prenderli, quel piccolo mostro meschino! E quando mi resi conto che lo aveva fatto standosene dentro il mio corpo, quel mio splendido e potente corpo soprannaturale, la rabbia quasi mi paralizzò.

Ma l’avevi previsto, no? mi dissi. Era nella sua natura. E stai di nuovo congelando, stai tremando. Torna in sala da pranzo e chiudi la porta.

E così feci, anche se dovetti aspettare Mojo, che mi raggiunse con assoluta calma, come se fosse del tutto indifferente al vento e alla neve. La sala da pranzo era fredda: già, avevo lasciato la porta aperta… Infatti, mentre mi affrettavo lungo le scale, mi resi conto che la temperatura dell’intera casa si era abbassata in seguito alla mia breve escursione in cucina. Dovevo ricordare di chiudere le porte.

Entrai nella prima delle stanze inutilizzate, quella nel cui camino avevo nascosto il denaro, e, mentre allungavo la mano, non sentii la busta che avevo messo al sicuro, ma soltanto un foglio di carta. Lo sfilai. Ero già furioso, prima ancora di accendere la luce per leggerne il contenuto: