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Sei davvero un povero stupido a pensare che un uomo con la mia abilità non avrebbe trovato il tuo piccolo gruzzolo. Non bisogna essere un vampiro per scoprire un po’ di umidità rivelatrice sul pavimento e sul muro. Ti auguro una piacevole avventura. Ci vediamo venerdì. Abbi cura di te!

Raglan James

Per qualche istante, l’ira fu tale che non riuscii a muovermi. Ero fuori dei gangheri. Le mie mani erano serrate a pugno. «Piccola canaglia meschina!» dissi con la mia voce umana, triste, pesante, fragile e opaca.

Entrai nel bagno. Naturalmente dietro lo specchio non c’era più il denaro, ma soltanto un altro biglietto.

Cos’è la vita umana senza difficoltà? Devi capire che non posso resistere a queste piccole scoperte. È come lasciare bottiglie di vino nella casa di un alcolizzato. Ci vediamo venerdì. Ti prego di stare attento a camminare sui marciapiedi ghiacciati. Non vorrei che ti rompessi una gamba.

Prima di riuscire a fermarmi, diedi un pugno contro lo specchio! Ah, bene. Davvero una bella cosa: invece di un grande buco nel muro, come ci sarebbe stato se Lestat il Vampiro avesse sferrato quel pugno; c’era un mucchio di vetri rotti. E guai, sette anni di guai!

Mi girai, scesi le scale e tornai in cucina, questa volta chiudendo la porta, poi aprii il frigorifero. Dentro non c’era nulla!

Nulla!

Ah, quel bastardo! Cosa non gli avrei fatto! Come poteva pensare di cavarsela? Credeva forse che io non fossi capace di dargli venti milioni di dollari e poi torcergli il collo? Cosa accidenti stava pensando…

Mmm…

Era proprio così difficile immaginarselo? Non sarebbe tornato, vero? Certo che no.

Entrai di nuovo in sala da pranzo: nella vetrinetta mancavano sia l’argenteria sia le porcellane. Ma la sera prima c’erano. Andai nel corridoio: ai muri non c’erano quadri. Controllai il salotto: spariti Picasso, Jasper Johns, de Kooning e Warhol. Tutti spariti. Perfino le fotografie delle navi erano scomparse.

La stessa sorte era toccata alle statuette cinesi. La libreria era mezza vuota. E di tappetini ne erano rimasti ben pochi: uno nella sala da pranzo (quello che mi aveva quasi ucciso!) e uno in fondo alla scala.

La casa era stata svuotata di tutti i suoi beni preziosi. Insomma, mancavano quasi tutti i mobili! Quel piccolo bastardo non sarebbe tornato! Il ritorno non aveva mai fatto parte del suo piano.

Mi sedetti nella poltrona più vicina alla porta. Mojo, che mi seguiva fedelmente, colse l’occasione per stiracchiarsi ai miei piedi. Affondai la mano nel suo mantello, lo tirai e lo accarezzai, pensando com’era confortante la sua presenza.

James era stato un vero sciocco a fare così. Credeva che io non potessi invocare gli altri?

Mmm… Chiamare gli altri in aiuto: che idea raccapricciante. Non ci voleva un grande sforzo di fantasia per indovinare cosa avrebbe detto Marius se gli avessi raccontato quello che avevo fatto. Con ogni probabilità lo sapeva già, e stava covando il suo biasimo. Per quanto riguardava i più anziani, rabbrividivo al semplice pensiero. Da qualunque punto di vista, la mia unica speranza era che lo scambio di corpi passasse inosservato. Me ne ero reso conto fin da principio.

Il punto saliente era che James ignorava fino a che punto gli altri sarebbero stati in collera con me a causa di quell’esperimento. Non poteva saperlo. E James non conosceva nemmeno i limiti del potere che adesso possedeva.

Ah, ma tutto ciò era prematuro. Il furto del denaro, il saccheggio della casa: James lo riteneva un brutto scherzo, niente di più. Non avrebbe potuto lasciare lì vestiti e denaro. La sua natura meschina di ladro non glielo avrebbe permesso. Doveva imbrogliare un po’, ecco tutto. Era ovvio che intendeva far ritorno e reclamare i suoi venti milioni. E contava sul fatto che non mi sarei mai vendicato perché avrei voluto ripetere quel piccolo esperimento e solo lui era in grado di farlo.

Sì, era quello il suo asso nella manica, immaginai: io non avrei fatto del male all’unico mortale capace di realizzare lo scambio una volta che avessi voluto ripeterlo.

Ripeterlo! Fui costretto a ridere. E lo feci, ma che suono strano e sconosciuto aveva la mia risata! Chiusi forte gli occhi e per un momento rimasi lì seduto, odiando il sudore che si attaccava alle costole, il dolore alla pancia e alla testa, la pesante sensazione d’imbottitura a mani e piedi. E quando riaprii gli occhi, non vidi che un mondo incerto, dai contorni indistinti e dai colori tenui…

Ripeterlo? Oooh! Recupera il controllo di te stesso, Lestat. Hai stretto i denti così forte che ti sei fatto male! Ti sei tagliato la lingua! La bocca sanguina! E il sangue ha il sapore dell’acqua e del sale, nient’altro che acqua e sale, acqua e sale! Ma per l’amor del cielo, recupera il controllo di te stesso. Fermati!

Dopo alcuni minuti di calma, mi alzai e mi misi a cercare un telefono.

Non ce n’era neppure uno in tutta la casa.

Magnifico.

Com’ero stato stupido a non pianificare l’intera faccenda. Mi ero lasciato trasportare dalle questioni spirituali al punto che non mi ero procurato nessun genere di conforto! Avrei dovuto prendere una suite al Willard e mettere un po’ di denaro nella cassaforte dell’albergo! Avrei dovuto procurarmi una macchina. La macchina. Che ne era della macchina? Andai all’armadio nel corridoio e ne prelevai il cappotto, notando uno strappo nella fodera: forse quello era il motivo per cui non lo aveva venduto. Lo indossai, disperandomi perché non trovai neanche un paio di guanti nelle tasche, e uscii dal retro, dopo avere chiuso a chiave la porta della sala da pranzo. Chiesi a Mojo se voleva unirsi a me o rimanere lì. Naturalmente mi seguì. La neve nel vialetto era alta circa trenta centimetri. Riuscii ad avanzare soltanto a fatica e, quando raggiunsi la strada, mi resi conto che lì era ancora più alta.

Nessuna Porsche rossa, ovvio. Né dove mi aveva indicato James, né da qualche altra parte dell’isolato. Tanto per esserne certo, procedetti fino all’angolo e poi tornai indietro. Avevo piedi e mani congelati, e la pelle del viso mi faceva persino male.

Va bene, dovevo avviarmi a piedi, almeno finché non avessi trovato un telefono pubblico. Il vento spingeva la neve lontana da me, il che era una benedizione… Io però non sapevo proprio in quale direzione fosse meglio andare.

Mojo sembrava apprezzare quel genere di tempo; procedeva un po’ faticosamente ma con incedere sicuro, mentre la neve cadeva in minuscoli fiocchi scintillanti dal suo lungo mantello grigio. Avrei dovuto scambiare il mio corpo con quello del cane, pensai. L’idea di Mojo dentro un corpo da vampiro mi strappò una risata. Mi lasciai andare a un vero attacco d’ilarità. Continuai a ridere e a ridere, girando su me stesso. Infine smisi perché stavo davvero morendo congelato.

Ma era terribilmente buffo, tutto quello. Ero un essere umano; l’evento straordinario che avevo sognato fin dal momento della mia morte si era avverato. Eppure ero furioso per quell’evento: odiavo le mie ossa umane fino al midollo! Il mio stomaco, che continuava a fare strani rumori, sembrò chiudersi in una morsa. C’era un solo modo per definire quella sensazione: crampo da fame.

«Paolo’s, devo trovare Paolo’s. Ma come farò a ottenere del cibo? Ne ho bisogno, no? Non posso stare senza mangiare, altrimenti m’indebolirò.»

Quando arrivai all’angolo di Winsconsin Avenue, vidi alcune luci e un gruppetto di persone in fondo alla collina. La strada, ormai sgombrata dalla neve, era stata riaperta al traffico. Potevo vedere la gente che andava avanti e indietro sotto i lampioni, ma quello spettacolo mi risultava ancora confuso: una cosa piuttosto seccante.

Mi affrettai, coi piedi intorpiditi che ormai mi dolevano, il che non è una contraddizione in termini, come sa bene chi ha camminato nella neve. Infine vidi la finestra illuminata di un bar, Martini’s. Va bene. Scordiamoci Paolo’s. Martini’s dovrà bastare. Una macchina si era fermata davanti al bar: una bella coppia di giovani ne scese e si diresse rapidamente verso l’ingresso del locale. Mi avvicinai alla porta e scorsi una giovane donna, abbastanza carina, che prendeva un paio di menù da un banchetto di legno e poi accompagnava la giovane coppia verso l’interno del locale in penombra. Intravidi candele e tovaglie a quadretti. E mi resi conto all’improvviso che quell’odore orribile e nauseante che mi riempiva le narici era odore di formaggio bruciato.