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A un certo punto mi abbandonai al dormiveglia, sebbene fossi consapevole di trovarmi in una piccola automobile. Sapevo che Mojo si trovava con noi, che stava ansimando pesantemente vicino al mio orecchio, e che stavamo passando in mezzo a colline boscose ricoperte di neve. Ero avvolto in una coperta e sentivo un gran senso di nausea a causa del movimento dell’auto. E tremavo. Ricordavo a malapena il nostro ritorno alla villetta e il ritrovamento di Mojo, che aspettava così paziente. Intuivo che se quel veicolo a benzina si fosse scontrato con un altro sarei potuto morire. Sembrava reale, reale come il dolore al mio torace. E poi c’era il Ladro di Corpi, che mi aveva giocato.
Gli occhi di Gretchen erano calmi e fissi sulla strada tortuosa che si snodava davanti a noi. La luce screziata del sole rendeva simili a una soffice e incantevole aureola i capelli fini che le erano sfuggiti dalla folta treccia arrotolata e le graziose, piccole onde che le ricadevano sulle tempie. Una suora, una splendida suora, pensai, mentre i miei occhi si aprivano e si richiudevano come se avessero una volontà propria.
Ma perché è così buona con me? Perché è una suora? Intorno era tutto tranquillo. Tra gli alberi, sulle collinette e nelle piccole valli si scorgevano varie case, molto vicine l’una all’altra. Si trattava forse di un ricco sobborgo, formato da quelle residenze in legno che i mortali benestanti talvolta preferiscono alle vere e proprie case di lusso.
Infine imboccammo il viale d’accesso che affiancava una di quelle abitazioni, passando attraverso una macchia di alberi dai rami spogli, e ci fermammo accanto a un piccolo cottage di assi grigie: probabilmente erano gli alloggi del personale di servizio oppure si trattava di una sorta di foresteria, a una certa distanza dalla residenza principale.
Le stanze erano calde e accoglienti. Io volevo sprofondare nel letto pulito, ma ero troppo sudicio, e insistetti perché mi fosse permesso di fare un bagno a quel mio corpo disgustoso. Gretchen protestò energicamente: ero ammalato, disse, non potevo. Ma rifiutai di darle ascolto. Trovai la stanza da bagno e decisi che non ne sarei uscito prima di essermi lavato.
Poi mi addormentai di nuovo, appoggiato alle piastrelle, mentre Gretchen riempiva la vasca. Il vapore mi sembrò una benedizione. Potevo vedere Mojo sdraiato vicino al letto, quasi una sfinge-lupo che mi guardava attraverso la porta aperta. Chissà se lei lo vedeva simile al Diavolo.
Mi sentivo intontito e assai debole, tuttavia parlavo con Gretchen, cercando di spiegarle come mi ero ritrovato in quell’imbroglio e perché dovevo raggiungere Louis a New Orleans, in modo che lui potesse darmi il sangue.
A bassa voce le raccontai molte cose, usando il francese solo se, per qualche ragione, non riuscivo a trovare la parola che volevo. Presi a divagare sulla Francia della mia epoca e sulla piccola, primitiva colonia di New Orleans dove, in seguito, avevo trascorso la mia esistenza. Le spiegai come fosse stato meraviglioso quel periodo, e come, per un certo tempo, fossi diventato una rockstar, poiché pensavo che, in qualità di simbolo del male, avrei potuto fare del bene.
Quell’essere umano voleva forse spiegare la disperata paura che provava, quella di morirle tra le braccia, senza che nessuno venisse a sapere chi era stato o che cosa era successo?
Ah, gli altri… Loro sapevano, e non erano corsi in mio aiuto.
Le raccontai tutto anche in merito a quel fatto. Le descrissi gli anziani e la loro disapprovazione. Che cosa non le dissi? Ma lei doveva capire, essendo una donna dall’intelligenza assai vivida, quanto avevo voluto fare del bene come rockstar.
«Questo è l’unico modo in cui il Diavolo in carne e ossa può fare del bene», dissi. «Impersonare se stesso sulla scena per mettere in mostra il male. A meno che uno non creda di fare del bene quando invece sta facendo del male. Ma questo trasformerebbe Dio in un mostro, giusto? Il Diavolo fa parte del piano divino, e basta.»
Lei sembrò ascoltare quelle parole con attenzione critica. Ma non mi sorprese quando mi rispose che il Diavolo non faceva parte del piano di Dio. La sua voce era bassa e piena di umiltà. Sebbene non credo che avesse voglia di parlare, lo faceva mentre mi toglieva i vestiti sporchi, nel tentativo di calmarmi. Il Diavolo era stato l’angelo più potente, spiegò, e aveva rifiutato Dio per superbia. Il Male non poteva far parte del piano di Dio.
Quando le chiesi se conosceva tutte le argomentazioni contrarie a quella tesi, se si rendeva conto di quanto essa fosse illogica e di quanto lo fosse il cristianesimo per intero, lei ribatté con calma che non aveva importanza. Ciò che contava era fare del bene.
Tutto lì. Era semplice.
«Ah, sì, allora tu capisci.»
«Capisco benissimo», replicò.
Ma io sapevo che lei non capiva. «Tu sei buona con me», mormorai. La baciai delicatamente sulla guancia, mentre lei mi aiutava a entrare nell’acqua calda.
Mi distesi nella vasca, guardandola mentre mi lavava e accorgendomi che gradivo il contatto dell’acqua tiepida col mio torace, e mi dava piacere anche il contatto della spugna con la pelle: forse era la cosa più bella che mi fosse capitata fino ad allora. Ma come sembrava lungo il corpo umano! E come apparivano lunghe le mie braccia… Ricordai l’immagine di un vecchio film, in cui il mostro di Frankenstein si muoveva pesantemente, facendo ciondolare le mani come se fossero staccate dalle braccia. Mi sembrava di essere quel mostro. E, in effetti, affermare che mi sentivo mostruoso nei panni di un essere umano significa dichiarare l’assoluta verità.
Accennai qualcosa a tal proposito. Lei mi raccomandò di stare tranquillo. Disse che il mio corpo era forte e in ottime condizioni, e che non era anormale. Appariva assai preoccupata. Mi lavò anche i capelli e il viso, sebbene io mi sentissi un po’ a disagio. Lei mi spiegò che quello era il genere di cosa che un’infermiera faceva sempre.
Raccontò di avere passato la propria vita nelle missioni, ad accudire gli ammalati, in posti così sporchi e male attrezzati che anche il sovraffollato ospedale di Washington al confronto sembrava un sogno.
Osservai i suoi occhi posarsi sul mio corpo, poi vidi il rossore sulle sue guance, e il modo in cui mi guardava, travolta dalla vergogna e dall’imbarazzo. Com’era curiosamente innocente!
Sorrisi tra me, ma temevo che quei sentimenti carnali la ferissero. Che scherzo crudele per entrambi, il fatto che lei potesse trovare seducente quel corpo. Ma non c’era dubbio che fosse così, e ciò mi fece rimescolare il sangue, il mio sangue umano, anche se avevo la febbre e mi sentivo spossato. Ah, quel corpo era sempre in lotta per qualcosa!
Riuscii a malapena a reggermi in piedi mentre lei mi tamponava il corpo con l’asciugamano, ma ero determinato: la baciai sul capo. Lei mi guardò, in modo lento e vago, confusa e perplessa. Volevo baciarla ancora, ma non ne ebbi la forza. Mi asciugò i capelli con molta attenzione e fu molto delicata quando fece la stessa cosa col volto. Nessuno mi toccava in quel modo da moltissimo tempo. Le dissi che l’amavo per la pura e semplice gentilezza di quei gesti.
«Odio questo corpo: è un inferno trovarsi qui dentro.»
«È così brutto essere umani?» chiese.
«Non sei costretta a compiacermi», ribattei. «So che non credi una parola di quello che ti ho detto.»
«Ah, ma le nostre fantasie sono come i nostri sogni», ribatté con un’espressione seria e corrucciata. «Hanno un significato.»
Improvvisamente mi vidi riflesso nello specchio dell’armadietto dei medicinali: un uomo alto dalla pelle color caramello e fitti capelli scuri, accanto a una donna dalla robusta struttura ossea e la pelle morbida. Lo shock fu così grande che il mio cuore quasi si fermò.