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«Capisco», dissi. «Certo che fare del bene nelle missioni, in fondo, non ha nessuna relazione con la castità.»

«No, le due cose sono legate», replicò lei. «Ma unicamente perché il lavoro duro è possibile solo quando si persegue un unico scopo, e non si è sposati ad altri che a Cristo.»

Di nuovo, le dissi che capivo. «Ma se l’abnegazione diventa d’impedimento al lavoro, allora è meglio conoscere l’amore di un uomo, vero?»

«Questo è ciò che ho pensato», rispose. «Sì, volevo vivere quell’esperienza per poi tornare a dedicarmi a Dio.»

«Già.»

Con voce lenta e sognante, continuò: «Finora mi sono occupata della ricerca di un uomo».

«Dunque è questo il motivo per cui mi hai portato qui.»

«Forse… Dio sa quanta paura ho avuto di chiunque altro. Invece non ho nessun timore di te.» Mi guardò come se fosse rimasta sorpresa dalle sue stesse parole.

«Vieni, sdraiati e dormi. Abbiamo bisogno di tempo: io per guarire e tu per convincerti che è proprio questo ciò che vuoi. Non mi sognerei mai di costringerti, di farti qualcosa di crudele.»

«Ma se tu sei il Diavolo, come puoi parlare con tanta benevolenza?»

«Te l’ho detto: questo è il mistero. Oppure è la risposta. Dai, vieni a sdraiarti accanto a me.»

Chiusi gli occhi. La sentii infilarsi sotto le coperte e avvertii la pressione del suo corpo caldo contro il mio, mentre le sue braccia mi scivolavano intorno al petto.

«Sai…» dissi. «Questo aspetto dell’essere umani è quasi bello.»

Ero mezzo addormentato quando la udii bisbigliare: «Credo che ci sia una ragione per cui tu hai chiesto il tuo periodo di aspettativa. Forse però non la conosci».

«Certamente tu non mi credi», mormorai, col flusso delle parole che scorreva lento. Com’era delizioso cingerla col braccio e farle ripiegare il capo sul mio collo. Le baciavo i capelli, godendomi la loro soffice elasticità contro le mie labbra.

«C’è una segreta ragione per la quale tu sei venuto sulla terra», riprese lei. «È il motivo per cui ti sei incarnato nel corpo di un uomo: è la stessa che ha portato Cristo a fare altrettanto.»

«Vale a dire?»

«La redenzione», rispose.

«Ah, sì. Per essere salvato. Non sarebbe bello?»

Volevo dire di più, e cioè che era impossibile anche solo prendere in considerazione una simile ipotesi, ma stavo scivolando in un sogno. E sapevo che Claudia non sarebbe stata lì ad attendermi.

Forse non era affatto un sogno, ma soltanto un ricordo. Mi trovavo con David al Rijksmuseum e stavamo guardando il grande dipinto di Rembrandt.

Essere salvato. Che incantevole, stravagante e impossibile idea… Che bello avere trovato l’unica donna mortale che potesse pensare una cosa del genere.

Claudia non rideva più. Perché Claudia era morta.

15

Mattino presto, poco prima dello spuntare del sole. Il momento che in passato spesso mi aveva colto, stanco e meditabondo, in appassionata contemplazione del mutare del ciclo.

Mi lavai con molta attenzione. Una luce fioca illuminava il piccolo bagno pieno di vapore. Sentivo la mente lucida, e provavo anche un senso di felicità, come se la semplice tregua dalla malattia fosse una forma di gioia. Mi rasai il viso sinché non fu levigato, poi mi misi a rovistare nell’armadietto dietro lo specchio. Vi trovai quello che cercavo: i piccoli preservativi che l’avrebbero protetta da me, dal pericolo di rimanere incinta e da qualche altro seme oscuro che avrei potuto trasmetterle, recandole guai che non riuscivo neppure a prevedere.

Che oggettini curiosi, quei… guanti per il membro. Avrei voluto sbarazzarmene, ma non intendevo ripetere l’errore fatto in precedenza.

Silenziosamente, richiusi la piccola anta a specchio. Fu solo allora che mi accorsi del telegramma che vi era fissato sopra con nastro adesivo: un rettangolo di carta giallina dai caratteri indistinti: GRETCHEN, TORNA, ABBIAMO BISOGNO DI TE. NON TI FAREMO DOMANDE. TI ASPETTIAMO. La data del messaggio era molto recente, di appena pochi giorni prima. Il telegramma risultava spedito da Caracas, in Venezuela.

Mi avvicinai al letto, facendo attenzione a non far rumore, e posai i piccoli dispositivi di sicurezza sul tavolo, pronti in caso di bisogno. Quindi mi sdraiai di nuovo accanto a lei e cominciai piano a baciarle la tenera bocca addormentata, poi le guance e un punto sotto gli occhi. Volevo sentire le sue ciglia sulle mie labbra. Volevo sfiorare la carne della sua gola. Non per il gusto di uccidere, ma per il gusto di baciare. Non per senso di possesso, ma per desiderio di una breve unione fisica che non avrebbe preso nulla a nessuno dei due, che ci avrebbe legato in un piacere così intenso come il dolore.

Si svegliò al mio tocco.

«Fidati», bisbigliai. «Non ti farò del male.»

«Oh, ma io voglio che tu mi faccia male», mi disse all’orecchio.

Le tolsi la vestaglia di flanella. Lei giaceva supina mentre mi guardava. Aveva un bel seno, ma anche il resto del corpo era bello. Le areole dei capezzoli duri apparivano molto piccole e rosa. Il ventre era liscio, i fianchi larghi. Una graziosa ombra scura di peli castani luccicava tra le gambe, per effetto della luce che penetrava dalle finestre. Mi chinai e la baciai, anche sulle cosce. Le scostai le gambe, finché il calore della sua carne non si schiuse per me e il mio membro non fu turgido e pronto. Guardai in quel luogo misterioso, serrato e nascosto dal soffice velo di peluria. Una calda e animalesca eccitazione mi attraversò, irrigidendo ulteriormente il mio membro. Avrei potuto usarle violenza, tanto pressante era quella sensazione.

Ma non sarebbe accaduto così.

Mi spinsi in su, accanto a lei, e le girai il volto verso di me, accogliendo i suoi baci lenti, impacciati e maldestri. Sentii la sua gamba premere contro la mia e le sue mani muoversi sopra di me alla ricerca del tepore delle mie ascelle e, più in basso, dei peli umidi, folti e scuri di quel corpo maschile pronto a riceverla. Era il mio torace, quello che lei toccò e di cui sembrava amare la robustezza; erano le mie braccia, quelle che lei baciò, come se ne apprezzasse la forza.

La passione venne leggermente meno, ma solo per riaccendersi all’istante e poi smorzarsi ancora, rimanere sospesa e quindi infiammarsi una volta di più.

Non pensai a bere il sangue, o alla vita che rumoreggiava dentro di lei e che io avrei potuto distruggere con una delle mie tenebrose sorsate. Avvertivo invece il profumo del suo morbido calore e della sua carne viva. E sembrava abominevole che qualcosa potesse farle del male e guastare il semplice mistero della sua buona fede, del suo desiderio e della sua profonda, normalissima paura.

Lasciai scivolare la mia mano vicino alla piccola apertura. Come mi dispiaceva, come mi rattristava il pensiero che quell’unione sarebbe stata così parziale, così breve.

Poi, mentre le mie dita cercavano delicatamente il passaggio virginale, il suo corpo prese fuoco. I suoi seni sembrarono inturgidirsi contro di me e la sentii aprirsi, petalo dopo petalo, mentre la sua bocca s’irrigidiva contro la mia.

E i rischi? Non se ne preoccupava? Tutta presa dalla sua nuova passione, appariva incurante del pericolo e sotto il mio controllo. M’imposi di fermarmi per sfilare la piccola guaina dal pacchetto e per srotolarla sul membro, mentre lei mi guardava in modo passivo, come se non avesse più volontà.

Era di quell’abbandono che aveva bisogno, era quello che lei chiedeva a se stessa. Ancora una volta mi abbassai per baciarla. Era umida e pronta per me. Non potevo quasi più trattenermi e vi riuscii a stento quando salii sopra di lei. Il piccolo passaggio era accogliente, caldissimo e madido dei suoi umori. Vidi il sangue salirle al viso mentre il ritmo accelerava. Avvicinai le mie labbra per lambirle i capezzoli e per reclamare ancora la sua bocca. Quando emise il gemito finale, fu come un lamento di dolore. Ed ecco ripresentarsi il mistero di qualcosa di assolutamente concluso e completo, eppure così breve. E così prezioso.