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«Erano addolorati per il tuo talento», mormorai. «Sì, lo erano», replicò lei, inarcando leggermente le sopracciglia. Come sembrava onesta e tranquilla. Non aveva detto neppure una parola in tono freddo o duro. «Ma volevo fare qualcosa d’importante. Non mi vedevo sul palcoscenico a tenere un concerto al termine del quale mi consegnavano un mazzo di rose. Ho spiegato loro tutto soltanto dopo un po’ di tempo.» «Dopo qualche anno?»

Annuì. «Hanno capito. Il miracolo era lì a testimoniarlo. Potevano forse opporsi? Spiegai che ero stata più fortunata di chiunque altro fosse mai entrato in convento. Io avevo ricevuto un chiaro segno da Dio. Era stato Dio a risolvere i nostri conflitti.

«Tu ci credi.»

«Sì, ci credo. Ma, in un certo senso, non ha importanza se è vero o no. E se c’è qualcuno che dovrebbe capire, dovresti essere tu.»

«Perché?»

«Perché tu parli di verità e d’idee religiose, e sai che contano anche se sono soltanto metafore. È questo che ti ho sentito dire pure mentre deliravi.»

Sospirai. «Non vorresti tornare a suonare il pianoforte? Non vorresti trovare magari un auditorio vuoto, con un pianoforte sul palcoscenico, sederti e…»

«Certo che lo vorrei. Ma non posso farlo e non lo farò.» Il suo sorriso era davvero meraviglioso.

«Gretchen, da un certo punto di vista, questa è una storia terribile», dissi. «Perché, da brava ragazza cattolica qual eri, non hai interpretato il tuo talento musicale come un dono di Dio, un dono da non sprecare?»

«Era un dono di Dio, e io lo sapevo. Ma non capisci? Mi sono ritrovata a un bivio. Il sacrificio del pianoforte era l’occasione che Dio mi dava per servirlo in modo speciale. Lestat, che cosa avrebbe significato la musica in confronto alla possibilità di aiutare la gente, di guarire centinaia di persone?»

Scossi la testa. «Credo che la musica possa essere considerata altrettanto importante.»

Riflette a lungo prima di rispondere. «Non potevo continuare», disse. «Forse ho ‘sfruttato’ la crisi generata dalla malattia di mia madre, non lo so. Dovevo diventare infermiera. Per me non era concepibile nessun’altra strada. La semplice verità è che io non riesco a vivere se mi trovo di fronte alle miserie del mondo. Non posso giustificare gli agi e il piacere se gli altri soffrono. Non so come lo si possa fare.»

«Non crederai di poter cambiare ogni cosa, Gretchen.»

«No, ma posso vivere esercitando la mia influenza su moltissime altre esistenze. E questo è ciò che conta.»

Quella storia mi turbò al punto che non riuscii più a starmene seduto. Mi alzai, stiracchiando le gambe intorpidite, e andai alla finestra, mettendomi a guardare la distesa di neve.

Sarebbe stato facile scacciare il pensiero di lei se quella donna fosse stata infelice o mentalmente instabile, oppure se si fosse trovata in una condizione conflittuale. Ma nulla di tutto ciò corrispondeva alla verità. Trovavo Gretchen quasi imperscrutabile.

Mi risultava difficile da comprendere, come lo era stato il mio amico mortale Nicolas tantissimi decenni prima. E non perché lui le somigliasse, ma perché il cinismo di Nicki, il suo sarcasmo e la sua eterna ribellione andavano di pari passo col desiderio di annullare se stesso, una cosa che non ero mai riuscito a capire. Il mio Nicki, così eccentrico ed eccessivo, traeva soddisfazione da ciò che faceva soltanto perché se ne serviva per pungolare gli altri.

Volontà di annullamento: era quello il nocciolo.

Mi girai. Lei mi guardava, in silenzio. Ebbi di nuovo la netta sensazione che non le importasse granché di ciò che avrei potuto dire. Non aveva bisogno della mia comprensione. In un certo senso, era una delle persone più forti che avessi mai incontrato in tutta la mia lunga vita.

Non c’era da meravigliarsi che mi avesse portato via dall’ospedale. Un’altra infermiera non si sarebbe mai assunta un tale onere.

«Gretchen, non ti sorge mai il timore che la tua vita sia stata sprecata, che la malattia e la sofferenza continueranno per molto tempo dopo che te ne sarai andata, e che ciò che hai fatto non avrà il minimo significato nell’ambito di un disegno più ampio?» «Lestat, l’espressione ‘il disegno più ampio’ non significa nulla», rispose, spalancando gli occhi chiari. «È il singolo, piccolo gesto ad avere senso. È ovvio che la malattia e la sofferenza ci saranno ancora dopo che me ne sarò andata. Ma ciò che conta è che io ho fatto tuttoil possibile. Questo è il mio trionfo. Ecco qual è la mia vanità. È anche la mia vocazione e, insieme, è il mio peccato di orgoglio. È questo il genere di eroismo che perseguo.»

«Ma, chérie, funziona solo se qualcuno tiene il punteggio, se qualche essere supremo ratificherà la tua decisione, se sarai premiata per il tuo operato, o almeno approvata.»

«No», disse, scegliendo con cura le parole mentre continuava nel suo discorso. «Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Pensa a quello che ho detto. Ti sto raccontando qualcosa di assolutamente nuovo per te. Forse è un segreto… religioso.»

«Come sarebbe?»

«Ci sono molte notti in cui mi ritrovo a letto, sveglia e del tutto consapevole che potrebbe non esistere un Dio e che la sofferenza dei bambini che vedo tutti i giorni potrebbe non essere mai compensata o riscattata. Penso a certe vecchie diatribe, sai, quelle su Dio e sulla giustificazione della sofferenza dei fanciulli.

Dostoevskij si è posto quella domanda e lo stesso ha fatto Albert Camus. Noi stessi ce lo chiediamo sempre. Ma alla fine non ha importanza. Forse Dio esiste, o forse no. Ma la sofferenza è reale. Questo è innegabile. Ed è in quella realtà che si colloca il mio impegno, il nocciolo della mia fede. E dunque la necessità di fare qualcosa!»

«E al momento della tua morte, se non ci fosse nessun Dio…»

«Saprò di avere fatto ciò che potevo. Quel momento potrebbe essere adesso.» Alzò le spalle. «Be’, anche se fosse, non mi comporterei diversamente.»

«E questo il motivo per cui non provi sensi di colpa per il fatto che siamo andati a letto insieme.»

Lei riflette. «Sensi di colpa? Mi sento felice se ci ripenso. Lo sai cos’hai fatto per me?» I suoi occhi si riempirono di lacrime. «Sono venuta qui per incontrarti, per stare con te», proseguì con voce sempre più roca. «E ora posso tornare alla missione.» Chinò il capo e, a poco a poco, ritrovò la calma, mentre i suoi occhi si rischiararono. Poi rialzò lo sguardo e riprese: «Quando hai parlato della creazione di quella bambina, Claudia… quando hai raccontato dell’acquisizione di tua madre, Gabrielle, da parte del tuo mondo… hai detto di aspirare a qualcosa. La definiresti trascendenza? Se lavoro nell’ospedale della missione fino all’esaurimento fisico, io ho la sensazione di trascendere. Trascendo il dubbio e qualcosa… forse qualcosa di oscuro e senza speranza che si nasconde dentro di me. Non so».

«Oscuro e senza speranza… Sono queste le chiavi, vero? La musica non era riuscita a cancellare queste sensazioni.»

«Sì, lo aveva fatto; però, in quel modo, tutto era falso.»

«Perché? Perché suonare il pianoforte era qualcosa di falso?»

«Perché non faceva abbastanza per gli altri, ecco perché.»

«Certo che lo faceva. Dava loro piacere.»

«Piacere?»

«Scusami, ho scelto la strada sbagliata. Volevo dire che tu ti sei persa nella tua vocazione. Quando suonavi il pianoforte eri te stessa, non capisci? Eri l’unica Gretchen! E invece tu desideravi perderti.»

«Credo che tu abbia ragione. La musica non era la mia strada, tutto qui.»

«Oh, Gretchen, tu mi fai paura!»

«E perché mai? Non sto dicendo che l’altra strada fosse sbagliata. Se tu hai fatto del bene con la tua musica e la tua breve carriera di cantante rock che hai descritto, significa che quello era tutto il bene che potevi fare. Io faccio del bene a modo mio, ecco tutto.»