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«Tuttavia, Monsieur, lasci che le racconti la parte più semplice. Quell’uomo non parla il suo francese! Non la voglio offendere, Monsieur, ma il suo francese è piuttosto — come posso dire? — inusuale. Lei si esprime con termini antiquati, e dispone le parole in un ordine insolito. Io capisco all’istante se c’è lei al telefono.»

«Ho afferrato benissimo», risposi. «Allora: non devi più parlare con quella persona. Lui è in grado di leggerti nella mente. Sta cercando di carpirti le parole chiave per via telepatica. Metteremo in piedi un sistema, tu e io. Mi farai un trasferimento, ora, presso la mia banca di New Orleans. Ma, dopo il trasferimento, tutto dev’essere tenuto sotto chiave. E quando ti contatterò di nuovo, userò tre termini antiquati. Non li concorderemo… ma saranno parole che mi hai sentito usare altre volte e le riconoscerai.»

Non era una mossa priva di rischi. Ma il punto era che quell’uomo mi conosceva! Continuai dicendogli che il ladro in questione era assai pericoloso, che aveva usato violenza contro il mio agente di New York e che sarebbe stato opportuno ricorrere a ogni possibile misura precauzionale. Avrei pagato per tutto ciò, quale che fosse il numero di guardie necessario, ventiquattr’ore su ventiquattro. Avrebbe dovuto peccare per eccesso, non per difetto. «Avrai mie notizie molto presto. Ricorda: parole antiquate. Mi riconoscerai quando ci parleremo.»

Riattaccai il telefono. Tremavo dalla rabbia, una rabbia insopportabile! Ah, quel mostro! Non gli bastava avere il corpo del dio, doveva anche saccheggiarne i magazzini. Quel demonio, quel bastardo! E io ero stato così stupido da non prevedere che cosa sarebbe successo!

«Oh, sei proprio umano», mi dissi. «Sei un idiota umano!» E poi, se pensavo a tutte le accuse che Louis avrebbe riversato su di me prima di acconsentire ad aiutarmi!

E se lo fosse venuto a sapere Marius! Oh, era un’eventualità troppo orribile da prendere in considerazione. Dovevo arrivare da Louis il più presto possibile.

Bisognava che mi procurassi una valigia e raggiungessi l’aeroporto. Mojo avrebbe dovuto senz’altro viaggiare in una gabbia, quindi dovevo provvedere anche a quella. Il mio addio a Gretchen non sarebbe stato il garbato e lento congedo che avevo immaginato. Ma di certo avrebbe capito.

Stavano accadendo molte cose nell’illusorio e complesso mondo del suo amante misterioso. Era giunta l’ora di lasciarsi.

17

Il viaggio verso sud si rivelò un piccolo incubo. L’aeroporto, appena riaperto dopo le varie bufere, traboccava di mortali ansiosi in attesa dei loro voli in forte ritardo o dei loro cari in arrivo.

Gretchen pianse, come piansi io. Si era lasciata cogliere dalla terribile paura di non poter più rivedermi, e io non riuscii a rassicurarla a sufficienza, neanche dicendole che l’avrei raggiunta alla Missione di St. Margaret Mary nella giungla della Guyana Francese, lungo il fiume Maroni partendo da St. Laurent. Riposi l’appunto con l’indirizzo nella mia tasca, insieme con tutti i numeri importanti della sua casa madre, quella di Caracas, cui potevo rivolgermi nel caso non fossi stato in grado di trovare il luogo da solo. Lei aveva già prenotato un volo a mezzanotte per la prima tratta del suo viaggio di ritorno.

«In un modo o nell’altro, devo assolutamente rivederti!» mi disse con un tono di voce che mi spezzava il cuore.

«Mi rivedrai, ma chère», risposi. «Te lo prometto. Troverò la missione. E troverò te.»

II volo, di per sé, si rivelò infernale. Mi limitai a starmene sdraiato in preda allo stupore, in attesa che l’aeroplano esplodesse e che il mio corpo mortale venisse spazzato via in mille pezzi. Le grandi quantità di gin tonic che trangugiai non servirono ad alleviare la paura e quando, per pochi attimi, riuscii a sgomberarmi la mente, fu solo per riempirla subito dopo con le innumerevoli difficoltà che mi aspettavano. Il mio attico, per esempio, era pieno di vestiti che non mi andavano più bene. Inoltre, io. ero solito entrarvi attraverso una porta sul tetto e ormai non avevo una chiave per le scale d’ingresso che davano sulla strada. In realtà, la chiave si trovava nel luogo in cui ero solito riposare la notte, sotto il cimitero Lafayette, una camera segreta che non ero in grado di raggiungere servendomi della semplice forza mortale, perché era bloccata in vari punti da porte che nemmeno una squadra di uomini sarebbe stata in grado di aprire.

E se il Ladro di Corpi si trovava già a New Orleans? E se aveva saccheggiato i locali del mio attico, rubando tutto il denaro che vi era nascosto? Non era verosimile. No, ma se aveva rubato tutti i file del mio povero e sfortunato agente mortale di New York… Ah, era meglio pensare all’eventualità che l’aeroplano esplodesse. E poi c’era Louis. E se Louis non ci fosse stato? Cosa sarebbe accaduto se… E così via per quasi due ore.

Alla fine facemmo la nostra sferragliante, rombante, colossale e terrificante discesa in mezzo a un temporale di proporzioni bibliche. Io andai a recuperare Mojo, gettai via la gabbia e, con grande faccia tosta, lo feci salire sul retro di un taxi. Partimmo sotto una bufera implacabile, con l’autista che correva ogni possibile rischio gli si presentasse, mentre io e Mojo venivamo sballottati l’uno contro l’altro.

Era quasi mezzanotte quando infine raggiungemmo la stretta strada alberata dei quartieri alti, mentre la pioggia cadeva così fitta e costante che le abitazioni dietro le cancellate di ferro erano a malapena visibili. Quando vidi la lugubre casa abbandonata che si trovava nella proprietà di Louis, punteggiata di alberi scuri, pagai l’autista, agguantai la valigia e condussi Mojo fuori del taxi, sotto la pioggia battente.

Faceva freddo, sì, molto freddo, ma non era così spiacevole come l’aria gelida di Georgetown. In realtà, anche sotto quella pioggia ghiacciata, lo scuro e rigoglioso fogliame delle magnolie giganti e delle querce sempreverdi sembrava rendere il mondo più gioioso e tollerabile. D’altra parte, non avevo mai osservato con occhi mortali una dimora così desolata come la grande, imponente casa abbandonata che si trovava davanti al tugurio nascosto di Louis.

Per un attimo, mentre mi riparavo gli occhi dalla pioggia e guardavo in alto, verso quelle scure e vuote finestre, avvertii la terribile e irrazionale paura che nessuno abitasse in quel luogo, che io fossi matto e destinato a rimanere per sempre in quel debole corpo umano.

Mojo saltò la piccola recinzione di ferro nello stesso momento in cui lo feci anch’io. Insieme procedemmo attraverso l’erba alta, intorno alle rovine del vecchio portico, e poi ancora nel giardino bagnato e ricoperto di vegetazione. Il frastuono provocato dalla pioggia riempiva la notte, rimbombando nelle mie orecchie di mortale, e quasi piansi quando vidi là, davanti a me, la piccola casa, una grande carcassa luccicante rivestita di rampicanti bagnati.

Chiamai Louis. Rimasi in attesa. Dall’interno non provenivano suoni. Anzi sembrava che tutto fosse sul punto di crollare, tanto era in rovina. Mi avvicinai alla porta. «Louis», chiamai ancora. «Louis, sono io, Lestat!»

Entrai con molta cautela, facendomi strada tra i cumuli e le pile di oggetti impolverati. Era praticamente impossibile vedere qualcosa! Riuscii tuttavia a distinguere la scrivania, il biancore della carta, la candela che vi era appoggiata e i fiammiferi lì accanto.

Con dita bagnate e tremolanti, provai ad accendere un fiammifero, riuscendovi solo dopo vari tentativi. Alla fine lo avvicinai allo stoppino e una luce riempì la stanza, illuminando la poltrona di velluto rosso, quella che era stata mia, e gli altri oggetti trascurati e consunti.