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Un grande sollievo pervase tutto il mio essere. Mi trovavo lì! Ero quasi salvo! E non ero pazzo. E quel piccolo, terribile e insopportabile luogo era il mio mondo! Louis sarebbe venuto. Louis sarebbe arrivato di lì a poco. Louis ormai era quasi lì. Mi schiantai sulla poltrona, completamente esausto. Accarezzai Mojo, grattandogli anche la testa.

«Ce l’abbiamo fatta, amico», dissi. «E ben presto saremo sulle tracce di quel bastardo. Troveremo il modo di occuparci di lui.» Mi resi conto che stavo di nuovo tremando e avvertivo, in realtà, i sintomi rivelatori della congestione al petto. «Mio Dio, ancora, no!» esclamai. «Louis, vieni, per amor del ciclo, vieni! Ovunque tu sia, torna qui, ora. Ho bisogno di te.»

Stavo per recuperare dalla mia tasca uno dei fazzoletti di carta che Gretchen mi aveva costretto a prendere, quando mi accorsi che, alla mia sinistra, a un paio di centimetri dal bracciolo della poltrona, c’era una figura. Una mano liscia e bianca stava per raggiungermi. Nello stesso istante, Mojo balzò in piedi, emettendo il suo ringhio più terribile e minaccioso, e si mosse come per attaccare la sagoma scura.

Tentai di urlare, di dire chi ero, ma, ancora prima che le mie labbra si aprissero, mi ritrovai a terra. Assordato dall’abbaiare di Mojo, sentii la suola di uno stivale di cuoio premermi sulla gola, anzi fino alle ossa del collo, schiacciandole con una tale forza che parvero sul punto di spezzarsi.

Non riuscivo a parlare; liberarmi era impossibile. Il cane lanciò un guaito lacerante, poi anche lui si zittì e io udii il rumore smorzato del suo corpo che ricadeva sul pavimento. Avvertii il peso dell’animale sulle mie gambe e presi invano a dibattermi freneticamente, in preda al terrore. Ogni traccia di ragionevolezza mi abbandonò nel momento in cui mi aggrappai al piede che m’inchiodava a terra e cominciai a colpire con forza la gamba potente, mentre cercavo di respirare, riuscendo però a emettere soltanto gemiti rochi.

Louis, sono Lestat. Sono in quel corpo, in quel corpo umano.

La pressione del piede stava diventando sempre più forte. Tuttavia non ero in grado di proferire neppure una sillaba. Poi, sopra di me, nell’oscurità, vidi il suo viso: il biancore luccicante della carne che non sembrava affatto carne, la struttura ossea squisitamente simmetrica, e la delicata mano mezza chiusa, sospesa in aria in un perfetto atteggiamento d’indecisione, mentre gli occhi fissi, accesi di un verde incandescente, guardavano verso di me senza la minima emozione.

Con tutta la mia anima gridai di nuovo quelle parole… Ma quando mai Louis era stato capace di leggere i pensieri delle sue vittime? Io avrei potuto farlo, ma lui no! Oh, mio Dio, aiutami, Gretchen, aiutami, urlavo nel profondo del mio essere.

Mentre il piede aumentava la pressione, forse per il colpo finale, misi da parte tutte le esitazioni e torsi il capo verso destra, prendendo un po’ di fiato. A forza, tirai fuori dalla mia gola stretta in una morsa un’unica parola, «Lestat», mentre con l’indice della destra continuavo a indicare me stesso.

Fu l’ultimo gesto di cui fui capace. Stavo soffocando quando l’oscurità mi avvinse, insieme con uno spasmo di nausea. Tuttavia, nel preciso istante in cui smisi di preoccuparmi e mi abbandonai a uno stato di soave stordimento, la pressione cessò. Mi ritrovai a rotolare sul pavimento e poi a sollevarmi sulle mani, prorompendo in una raffica di convulsi colpi di tosse.

«Per l’amor di Dio», gridai, vomitando parole che alternavo a dolorosi respiri strozzati. «Sono io, Lestat. C’è Lestat in questo corpo. Non potevi darmi la possibilità di parlare? Uccidi ogni disgraziato mortale che capita nella tua stamberga? E che mi dici delle vecchie regole dell’ospitalità, maledetto stupido che non sei altro? Perché non metti sbarre di ferro alle tue porte?» Con un grande sforzo mi misi in ginocchio. D’un tratto mi sentii vinto dalla nausea. Vomitai uno schifoso fiotto di cibo marcio in mezzo alla sporcizia e alla polvere, poi mi tirai indietro, mentre rimanevo a fissarlo in preda alla più totale desolazione.

«Hai ucciso il cane, vero? Mostro!» Mi gettai sul corpo inerte di Mojo. Per fortuna era solo svenuto: avvertii il lento battito del suo cuore. «Oh, grazie a Dio! Se lo avessi fatto, non ti avrei mai perdonato, mai e poi mai.»

Udii un debole gemito provenire da Mojo, quindi vidi muoversi prima la sua zampa sinistra e poi lentamente la destra. Posai la mano tra le sue orecchie. Sì, stava rinvenendo. Non era ferito. Oh, ma che esperienza orribile era stata! Fra tutti i luoghi possibili, arrivare proprio lì, in quello, sull’orlo della fine mortale! Di nuovo incollerito, lanciai a Louis uno sguardo torvo.

Lui se ne stava immobile, in un silenzio attonito. Il rumore martellante della pioggia, come i suoni cristallini provenienti dall’oscurità della notte invernale, sembrò dissolversi, mentre tenevo il mio sguardo fisso su di lui. Non lo avevo mai visto attraverso occhi mortali. Non avevo mai osservato una bellezza così esangue e spettrale. Come potevano gli uomini credere che quello fosse un essere umano? Ah, le mani: parevano quelle di un santo in gesso rianimatosi all’ombra di qualche grotta. E come appariva del tutto privo di emozioni il suo volto, mentre gli occhi non erano affatto finestre dell’anima, bensì trappole di luce simili a ricercati gioielli.

«Louis», dissi. «È accaduto il peggio. Il peggio del peggio. Il Ladro di Corpi ha fatto lo scambio. Però ha rubato il mio corpo, e non ha nessuna intenzione di restituirmelo.»

Lui rimase del tutto impassibile. Appariva così freddo e minaccioso che proruppi in un flusso di parole in francese, dando libero sfogo a ogni immagine e dettaglio che riuscissi a ricordare, nella speranza di strappargli qualche reazione. Citai l’ultimo discorso che avevamo fatto proprio in quella casa e il nostro breve incontro nella cattedrale. Gli ripetei gli avvertimenti che mi aveva rivolto, l’ammonizione a non parlare col Ladro di Corpi. E confessai di avere trovato la proposta di quell’uomo irresistibile e di essermi spinto a nord per incontrarlo, per accettare la sua offerta.

Nulla. Nessun segno di vita accese il suo volto spietato. D’un tratto, mi zittii. Mojo stava cercando di alzarsi, emettendo vaghi gemiti. Gli cinsi il collo e, faticando a riprendere fiato, mi appoggiai a lui, dicendogli in tono calmo che ormai tutto era a posto, che eravamo salvi. Nessuno gli avrebbe più fatto del male.

Louis fece scivolare lentamente il suo sguardo sull’animale, e poi ancora su di me. Quindi, a poco a poco, l’espressione della sua bocca si addolcì. Si allungò allora per prendermi la mano e mi aiutò ad alzarmi.

«Sei davvero tu», disse con un profondo, ruvido bisbiglio.

«Accidenti a te, certo che sono io! E mi hai quasi ucciso, ti rendi conto? Quante volte proverai ancora quello scherzetto prima che gli orologi di tutta la terra battano la fine? Ho bisogno del tuo aiuto, accidenti! E tu, ancora una volta, tenti di uccidermi! Ora, puoi per favore chiudere quello che rimane dei battenti di queste dannate finestre e accendere il fuoco in quel miserabile camino?»

Mi lasciai cadere di nuovo sulla mia poltrona di velluto rosso, respirando ancora a fatica, quando fui distratto all’improvviso da uno strano sciabordio. Guardai verso Louis: lui non si era mosso, anzi mi stava fissando come se avesse davanti a sé un mostro. Mi accorsi allora che Mojo, con pazienza e costanza, era intento a lappare tutto il vomito che avevo riversato sul pavimento.

Proruppi in una risata divertita, che minacciò tuttavia di trasformarsi in un vero attacco isterico. «Per favore, Louis, il fuoco. Accendi il fuoco!» gridai. «Sto gelando, in questo corpo mortale! Muoviti!»

«Buon Dio», bisbigliò lui. «Che cos’hai fatto?»

18

Il mio orologio segnava le due. Al di là dei battenti rovinati, la pioggia era diminuita e io stavo seduto, raggomitolato nella poltrona di velluto rosso, a godermi il tenue bagliore proveniente dal camino di mattoni, sebbene fossi ancora molto infreddolito e sofferente per l’orribile tosse che mi torturava. Ma era certamente vicino il momento in cui ciò non sarebbe più stato motivo di preoccupazione.