Lanciai un’ultima invocazione, tentando di liberare le mie mani e di catturare la sua attenzione, perché sapevo bene quello che aveva intenzione di fare.
Con un movimento fulmineo sparì nell’oscurità, mentre io mi ritrovai steso a terra.
La candela si era rovesciata sulla scrivania, spegnendosi. A illuminare la piccola stanza rimaneva solo la luce del fuoco che andava morendo. I battenti della porta erano spalancati e una pioggia lieve continuava a cadere, placida, ma costante. Sapevo di essere solo. Ero caduto su un fianco, con le mani in avanti per attutire la caduta. Mentre mi rialzavo, lo invocai a gran voce, pregando che in qualche modo potesse sentirmi, sebbene fosse già lontano.
«Louis, aiutami. Non voglio essere vivo. Non voglio essere mortale! Louis, non lasciarmi qui! Non posso sopportarlo! Non voglio! Non voglio salvare la mia anima.»
Non so per quanto tempo andai avanti a ripetere le stesse parole. Alla fine, fui troppo esausto per continuare, e i suoni emessi da quella voce mortale insieme con tutta la loro disperazione facevano male alle mie stesse orecchie.
Mi sedetti sul pavimento, con una gamba ripiegata, il gomito appoggiato al ginocchio e le dita fra i capelli. Mojo, impaurito, si era avvicinato, accucciandosi accanto a me. Mi chinai e affondai la fronte nel suo pelo.
Il fuoco si era quasi spento. Tra sibili e scrosci, la pioggia raddoppiò la sua forza, sebbene non soffiasse neppure un alito di vento.
Alla fine mi voltai a guardare quel piccolo spazio, lugubre e triste, l’ammasso di libri e vecchie statue, polvere e sporcizia ovunque e le braci ardenti nel camino. Mi sentivo esausto, prosciugato dalla mia stessa rabbia, a un passo dalla disperazione.
Mi ero mai trovato, in tutte le mie sofferenze, così privo di speranza?
I miei occhi si mossero indolenti in direzione dell’ingresso e dell’incessante diluvio, immerso nel buio minaccioso. Sì, vattene da qui, vattene con Mojo, al quale piacerà un mondo, come gli era piaciuta la neve. Devi andare fuori. Devi uscire da questa stamberga e trovare un riparo comodo dove poter riposare.
Per quanto riguardava il mio attico, ci doveva essere un modo per entrarvi… un passaggio. E poi il sole sarebbe arrivato entro poche ore, o no? Ah, la mia incantevole città, sotto la calda luce del sole.
Per amor di Dio, non iniziare a piangere di nuovo. Devi riposarti e pensare. Ma, prima di andartene, perché non gli incendi la casa? Lascia perdere la grande villa vittoriana: lui non la ama.
Brucia invece la sua piccola baracca!
Mi resi conto di stare per cedere a un maligno e irresistibile sorriso, sebbene avessi gli occhi colmi di lacrime.
Sì, fallo! Se lo merita. E naturalmente ha portato via con sé i propri scritti, sì, ma tutti i suoi libri andranno in fumo! Ed è proprio quello che si merita.
Cominciai subito a raccogliere i dipinti: un magnifico Monet, due piccoli Picasso e un dipinto su tavola di epoca medievale, tutti in cattivo stato di conservazione. Corsi fuori verso la cadente e vuota residenza vittoriana e là li nascosi in un angolo buio che sembrava asciutto e sicuro. Poi tornai nel tugurio, agguantai la candela e la ficcai in ciò che rimaneva del fuoco. La soffice cenere esplose in minuscole scintille arancioni, che aggredirono lo stoppino.
«Ah, te lo meriti, bastardo traditore ingrato!» Fremevo, mentre appiccavo il fuoco ai libri accatastati contro il muro e ne strappavo le pagine per farli bruciare meglio. Poi incendiai un vecchio cappotto gettato su una sedia di legno, che prese fuoco come paglia, al pari dei cuscini rossi di velluto della poltrona che era stata mia. Sì, tutto questo deve bruciare.
Sferrai un calcio a un mucchio di riviste ammuffite sotto la sua scrivania e le incendiai. La stessa cosa feci coi libri, l’uno dopo l’altro, scagliandoli poi come carboni ardenti ovunque nel tugurio.
Mojo si allontanò da quei piccoli falò e alla fine uscì, sotto la pioggia, fermandosi a una certa distanza e rimanendo a fissarmi attraverso la porta aperta.
Ah, le cose procedevano con troppa lentezza. Ma Louis aveva un cassetto pieno di candele, come potevo averle dimenticate? Maledetto il mio cervello mortale. Le tirai fuori — erano circa venti — e iniziai a bruciare la cera, senza far caso allo stoppino, quindi le scagliai sulla poltrona di velluto rosso per ottenere un grande fuoco. Poi ne lanciai parecchie sui cumuli di detriti che rimanevano e buttai i libri infuocati contro i battenti umidi, incendiando i lembi di tenda che penzolavano da vecchie bacchette. Presi a calci l’intonaco marcio, scavando buchi, e tirai altre candele accese sull’assito. Infine radunai i vecchi tappeti consunti, spiegazzandoli per farvi passare sotto l’aria, e vi appiccai il fuoco.
In pochi minuti il luogo si riempì di fiamme crepitanti, ma erano la poltrona rossa e la scrivania ad alimentare quelle più alte. Corsi fuori sotto la pioggia e vidi il fuoco guizzare tra le assicelle rotte e scure.
Quando il fuoco arrivò a lambire le persiane bagnate e ad avvinghiarsi alla massa di Petrea volubilis fuori delle finestre, una sgradevole nuvola di fumo si sollevò. Maledetta pioggia! Ma poi, quando l’incendio della scrivania e della poltrona divenne ancora più brillante, l’intero tugurio deflagrò in un’esplosione di fiamme arancioni. Le persiane furono scagliate nelle tenebre e un grande squarcio si aprì sul tetto.
«Sì, sì, brucia!» gridavo, mentre la pioggia mi colpiva il viso e le palpebre. Quasi saltellavo dalla gioia. Mojo arretrò a testa bassa verso la villa scura. «Brucia, brucia», dicevo. «Louis, vorrei poter bruciare te! Lo farei davvero! Oh, se solo sapessi dove te ne stai durante il giorno!»
Eppure, al colmo dell’euforia, mi resi conto che stavo piangendo. Mi asciugai la bocca col dorso della mano e gridai: «Come hai potuto lasciarmi così! Come hai potuto farlo! Che tu sia maledetto !» E sciogliendomi in lacrime, caddi in ginocchio sulla terra madida di pioggia.
Mi appoggiai all’indietro sui talloni, con le mani intrecciate davanti a me, stremato e infelice mentre fissavo il grande falò. Nelle case lontane si stavano accendendo le luci. Potevo udire il debole urlo di una sirena in arrivo. Sapevo di dovermene andare. Tuttavia rimasi là, inginocchiato, e mi sentii quasi stordito quando Mojo mi scosse con uno dei suoi profondi e minacciosi ringhi. Mi accorsi che mi era venuto vicino e che stava premendo il suo pelo bagnato proprio contro il mio viso, mentre guardava attentamente in direzione della casa in fiamme.
Mi mossi per afferrare il suo collare e stavo per battere in ritirata quando individuai la fonte della sua preoccupazione: non era un mortale accorso in aiuto. Si trattava piuttosto di una bianca figura indistinta e soprannaturale che se ne stava immobile come un’apparizione vicino all’edificio in fiamme, mentre il bagliore l’accendeva di luce livida.
Anche con i deboli occhi mortali, vidi che si trattava di Marius! E scorsi l’espressione di collera stampata sul suo volto. Non ho mai visto un ritratto più perfetto dell’ira. E non c’era il minimo dubbio: lui voleva che notassi proprio quello.
Le mie labbra si aprirono, ma la voce mi morì in gola. Non riuscii a fare altro che tendere le braccia verso di lui per trasmettergli, dal profondo del cuore, una silenziosa domanda di grazia e di aiuto.
Il cane emise di nuovo il suo feroce verso d’allarme e sembrò sul punto di scattare.
Mentre guardavo inerme, tremando in modo incontrollabile, la sagoma mi girò lentamente le spalle e, dopo avermi rivolto un’ultima occhiata carica di collera e sdegno, sparì.
Fu allora che mi rianimai, urlando il suo nome. «Marius!» Balzai in piedi, chiamandolo sempre più forte. «Marius, non lasciarmi qui. Aiutami!» Sollevai le braccia al ciclo. «Marius!»
Era inutile e lo sapevo.
La pioggia m’inzuppò il cappotto e le scarpe. I capelli erano lucidi e bagnati, e non contava che avessi pianto, perché la pioggia aveva lavato via le lacrime.