«Mi credi sconfitto», mormorai. Che bisogno c’era d’invocarlo? «Pensi di aver pronunciato la tua sentenza e che questa sia la fine. Ah, t’illudi che sia così semplice. Ebbene, ti sbagli. Non mi vendicherò mai per questo. Però mi rivedrai. Tu mi rivedrai.» Chinai il capo.
La notte risuonava di voci mortali e del rumore di passi concitati. Un potente motore si era fermato all’angolo lontano. Dovetti costringere quelle miserabili membra mortali a muoversi. Feci cenno a Mojo di seguirmi e ce la filammo, passando oltre le rovine del tugurio che ancora bruciava. Scavalcammo un muro basso del giardino e poi, lungo un vialetto pieno di erbacce, ci allontanammo.
Solo più tardi pensai a com’eravamo arrivati vicini all’arresto, noi, «il piromane e il suo minaccioso cane».
Ma che importanza poteva avere tutto ciò? Louis mi aveva cacciato, come aveva fatto Marius, lui che avrebbe potuto trovare il mio corpo soprannaturale prima di me e distruggerlo all’istante. Marius, che forse lo aveva già fatto, per lasciarmi per sempre nel corpo di un uomo.
Non riuscivo a ricordare se avessi mai conosciuto una tale disperazione durante la mia giovinezza mortale. E, anche in quel caso, mi sarebbe stato di scarsa consolazione. La mia paura non si poteva descrivere, né comprendere razionalmente. Continuavano a frullarmi nella testa speranze e progetti disperati.
«Devo assolutamente trovare il Ladro di Corpi, e tu me ne devi dare il tempo, Marius. Se non vuoi aiutarmi, concedimi almeno questo.»
Continuai a ripeterlo all’infinito, come un rosario di Ave Maria, trascinandomi sotto la pioggia pungente. Una volta o due, urlai addirittura le mie preghiere nell’oscurità, sotto un’alta quercia gocciolante, mentre cercavo di vedere la luce che, scendendo dal cielo fradicio, si approssimava.
Esisteva qualcuno al mondo che potesse aiutarmi?
David era la mia unica speranza, sebbene non riuscissi nemmeno a immaginare quello che avrebbe potuto fare. David! E che cosa sarebbe accaduto se anche lui mi avesse voltato le spalle?
19
Il sorgere del sole mi trovò seduto al Café du Monde, a escogitare un modo per penetrare nel mio attico. Un simile problema pratico impediva alla mia mente d’impazzire. Che fosse quella la chiave della sopravvivenza mortale? Mmm… Come avrei potuto violare il mio lussuoso appartamento? Ero stato io a mettere all’entrata del giardino pensile un impenetrabile cancello di ferro, a dotare le porte dell’attico di serrature difficili da scassinare. Così pure le finestre erano state sbarrate per evitare le intrusioni dei mortali, anche se in realtà non mi ero mai posto il problema di come potessero arrivare sino alle finestre.
Ah, dovrò in ogni modo riuscire a oltrepassare quel cancello. Eserciterò l’arte della persuasione sugli altri inquilini, tutti affittuari del biondo francese Lestat de Lioncourt, da cui, sia detto per inciso, venivano trattati molto bene. Dovrò convincerli che sono un cugino del proprietario, mandato a occuparsi dell’attico in sua assenza, e che quindi devono permettermi di entrare, con ogni mezzo. E non importa se per entrare sarò costretto a usare un piede di porco, una scure o una sega elettrica! Un dettaglio tecnico, come si dice oggigiorno. Devo assolutamente entrare. E poi che cosa farò? Prenderò un coltello da cucina (anche con tal genere di cose è attrezzato il mio appartamento, anche se Dio sa che non ho mai avuto bisogno di una cucina) e tagliere la mia gola mortale? No. Devo chiamare David. Non c’è nessun altro al mondo cui mi possa rivolgere. E chissà quali terribili cose dirà David!
Non appena smisi di considerare tutto ciò, caddi subito in uno stato di profonda disperazione.
Loro mi avevano cacciato. Marius e Louis, nel momento peggiore della mia pazzia, mi avevano negato il loro aiuto. Oh, mi ero fatto gioco di Marius, è vero. Avevo rifiutato la sua saggezza, la sua compagnia, le sue regole. Ah, sì, me l’ero cercata, come spesso dicono i mortali. E avevo compiuto lo spregevole atto di lasciar andare il Ladro di Corpi coi miei poteri. Vero. Mi ero di nuovo reso colpevole di smaccati errori. Ma potevo immaginare che cosa avrebbe significato perdere i miei poteri ed essere costretto a guardare tutto dall’esterno? Gli altri lo sapevano, dovevano saperlo. E avevano consentito a Marius di venire da me per pronunciare la sua sentenza, per comunicarmi che, a causa di ciò che avevo fatto, ero stato cacciato!
Ma Louis, il mio meraviglioso Louis, come aveva potuto respingermi? Io avrei sfidato il ciclo per aiutare Louis! Avevo contato tanto su di lui e sul fatto di potermi svegliare quella notte col mio vecchio sangue che mi scorreva potente e reale nelle vene.
Oh, mio Dio, non ero più uno di loro. Non ero altro che un mortale che se ne stava lì, seduto nel calore soffocante del Café du Monde, a bere un caffè, un buon caffè, e a sbocconcellare frittelle dolci, senza la minima speranza di riprendere mai il proprio posto nella gloria dell’oscuro Elohim.
Ah, come li odiavo. Come desideravo far loro del male! Ma di chi era la colpa di tutto ciò? Lestat, un metro e ottantotto d’altezza, occhi marroni, una carnagione piuttosto scura e una bella testa di capelli castani ondulati. Lestat, braccia muscolose e gambe forti. Lestat, che si ammala e s’indebolisce sotto i colpi del rigido e letale freddo. Lestat e il suo fedele cane, Mojo. Lestat, che pensa a come riuscire a catturare il demone fuggito non solo con la sua anima, come così spesso succede, ma anche con il suo corpo, un corpo che avrebbe già potuto essere — ma era meglio non pensarci — distrutto!
La ragione mi disse che era troppo presto per pensare a qualsiasi raggiro. Inoltre, non avevo mai nutrito grande interesse per la vendetta. La vendetta è la preoccupazione di coloro che a un certo punto si ritrovano sconfitti. E io non sono sconfitto, mi dissi. Per niente. La vittoria è molto più interessante da contemplare della vendetta.
Meglio pensare alle piccole cose, ai dettagli che possono essere cambiati. David mi doveva ascoltare. Mi doveva almeno dare il suo consiglio! Ma che cos’altro mi avrebbe potuto offrire? Come avrebbero potuto due uomini mortali competere con quella creatura spregevole?
Mojo aveva fame. Mi stava guardando di sotto in su con i grandi e intelligenti occhi marroni. E come lo fissava la gente nel caffè, e si teneva alla larga da quella minacciosa creatura pelosa dal muso scuro e dalle zampe enormi. Bisognava dar da mangiare a Mojo. Dopotutto, il vieto luogo comune era vero: quel cagnone era il mio unico amico!
Satana avrà avuto un cane quando fu scagliato nell’inferno? Be’, nel caso l’animale l’avrebbe seguito, ne ero sicuro.
«Come ci riuscirò, Mojo?» chiesi. «Come può un semplice mortale catturare il vampiro Lestat? Magari gli anziani avranno già ridotto in cenere il mio splendido corpo. Era quello il significato della visita di Marius, farmi sapere che lo avevano fatto? Oh, mio Dio. Come dice la strega di quell’orrendo film? Ah, già: ‘Come hai potuto fare ciò alla mia meravigliosa perfidia?’ Ah, ho di nuovo la febbre, Mojo. Le cose si sistemeranno da sole… Io morirò!»
Ma guarda il sole che si allunga silenziosamente sui marciapiedi luridi, osserva la mia squallida e affascinante New Orleans che si risveglia alla splendente luce caraibica.
«Andiamo, Mojo. È il momento di scassinare, di penetrare nel mio stesso appartamento, di farsi avanti. E così potremo stare al caldo e riposarci.»
Mi fermai al ristorante di fronte al vecchio mercato francese e per il cane comprai un pasto di ossi e carne. Sarebbe bastato, perché la minuta e gentile cameriera riempì un sacchetto con avanzi della sera prima, dicendo che il cane avrebbe gradito. E quanto a me? Non volevo anch’io fare colazione? Non avevo fame in una bella mattinata invernale come quella?