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L’uomo mi lanciò un’occhiata sospettosa, poi annuì, raccolse le pistole e la scatoletta di pallottole, ripose il tutto nella borsa di iuta, strinse nuovamente la mano a me e a David, e se ne andò.

Attesi finché la porta non si fu chiusa.

«Penso proprio di non piacergli», dissi. «Mi crede responsabile di averti coinvolto in qualche sordido crimine.»

David ridacchiò. «Mi sono trovato in situazioni ben più compromettenti di questa. E se dovessi preoccuparmi di quello che i nostri investigatori pensano di noi, sarei andato in pensione molto tempo fa. Che cosa possiamo dedurre adesso dalle informazioni che ci ha dato Jake?»

«Be’, che si nutre delle vecchie. Forse le deruba anche, e si spedisce il maltolto a casa in pacchetti troppo piccoli da destare sospetti. Che fine faccia la parte più voluminosa del bottino non lo sapremo mai. Magari la butta nell’oceano. Sospetto che abbia più di un numero di casella postale. Ma questo non c’interessa.» «Esatto. Ora chiudi la porta. È giunto il momento per una lezione intensiva di stregoneria. Più tardi ci faremo una bella cenetta. Devo insegnarti a schermare i tuoi pensieri. Jake poteva leggere nella tua mente con troppa facilità. E pure io. Il Ladro di Corpi si accorgerà della tua presenza persino a duecento miglia dalla costa.»

«Be’, quand’ero Lestat ci riuscivo con un semplice atto di volontà», dissi. «Ora non ho la più pallida idea di come farlo.»

«Nello stesso modo di prima. Faremo pratica, finché non sarò più in grado di leggere da te una sola immagine o parola. A quel punto passeremo al viaggio extracorporeo.» Guardò l’orologio, il che mi fece di colpo tornare in mente James, in quella piccola cucina. «Metti il chiavistello. Da questo momento in poi non voglio che una cameriera entri qui per errore.»

Obbedii. Poi mi sedetti sul letto di fronte a David che aveva assunto un atteggiamento molto rilassato eppure autorevole; s’era arrotolato i polsini della camicia, rivelando peli scuri sulle braccia. Anche sul petto aveva peli scuri che uscivano dal collo della camicia. Erano pochi i peli grigi, anche nella barba comunque piuttosto ben curata. Mi era quasi impossibile credere che avesse settantaquattro anni.

«Ah, l’ho captato», esclamò, alzando leggermente le sopracciglia. «Capto decisamente troppo. Adesso ascoltami. Devi convincerti che i tuoi pensieri rimangono dentro di te, che non stai tentando di comunicare con altre creature attraverso le espressioni del viso o qualsiasi forma di linguaggio corporeo, e che sei davvero impenetrabile. Se necessario, creati un’immagine della tua mente sigillata. Ah, così va bene. Dietro il tuo bel viso giovane non sei più percepibile. Perfino i tuoi occhi sono un po’ cambiati. Perfetto. Adesso cercherò di leggere i tuoi pensieri. Mantieniti così.»

Dopo quarantacinque minuti ero riuscito a imparare il trucco senza troppo sforzo, ma non riuscivo a captare nessuno dei pensieri di David, nemmeno quando si sforzava di proiettarmeli. In quel corpo non godevo delle capacità telepatiche che possedeva lui. Tuttavia almeno la schermatura l’avevamo raggiunta, e si trattava di un passo cruciale. Avremmo continuato a lavorarci per il resto della notte.

«Siamo pronti a cominciare il viaggio extracorporeo», annunciò.

«Quello sarà un inferno», dissi, preoccupato. «Non credo affatto di poter uscire da questo corpo. Come vedi, non ho i tuoi poteri.»

«Sciocchezze», tagliò corto lui. Assunse una posizione ancor più rilassata, incrociando le caviglie e scivolando nella poltrona. Ma in qualche modo, qualunque cosa facesse, non perdeva mai l’atteggiamento dell’insegnante, del personaggio autorevole, del sacerdote. Era connaturato ai suoi gesti netti e misurati, e soprattutto alla sua voce.

«Sdraiati su quel letto e chiudi gli occhi. E ascolta ogni parola che dico.»

Feci come diceva. Mi sentii all’istante un po’ insonnolito. Il suo tono divenne ancor più didascalico nella sua dolcezza, quasi come quello di un ipnotizzatore. Mi chiese di rilassarmi del tutto e di visualizzare un doppio spirituale della mia forma presente.

«Devo visualizzare me stesso con questo corpo?»

«No. Non ha importanza. Ciò che conta è che tu, con la tua mente, la tua anima, la tua consapevolezza, ti fissi alla forma che concepisci. Ora raffiguratela sovrapposta al tuo corpo, e poi immagina di volerla sollevare fuori del corpo, di essere tu a volerti sollevare!»

Per circa trenta minuti, David proseguì senza fretta a istruirmi, ripercorrendo a modo proprio le lezioni impartite dai sacerdoti ai loro iniziati per migliaia di anni. Conoscevo le antiche formule. Ma conoscevo anche la completa vulnerabilità dei mortali, il senso schiacciante delle mie limitazioni e la paura che m’irrigidiva, debilitandomi.

Ci stavamo lavorando forse da quarantacinque minuti quando infine raggiunsi il delizioso stato vibrante al limite del sonno. In effetti, il mio stesso corpo sembrava essersi trasformato in quella deliziosa sensazione di vibrazione! E, proprio quando me ne accorsi e fui sul punto di commentare la cosa, d’un tratto mi sentii distaccato da me stesso e cominciai a sollevarmi.

Aprii gli occhi, o almeno credetti di farlo. Vidi che stavo galleggiando sopra il mio corpo, anzi non riuscivo nemmeno a vedere il vero corpo in carne e ossa. «Sali!» dissi. E viaggiai fino al soffitto con la delicata leggerezza e la velocità di un pallone gonfiato con l’elio! Non mi ci volle nulla a ruotare su me stesso e guardare giù, nella stanza.

Guarda un po’: ero passato attraverso le pale del ventilatore a soffitto! In effetti si trovava proprio in mezzo al mio corpo, benché io non provassi nulla. E laggiù, sotto di me, c’era la forma mortale addormentata che avevo così dolorosamente abitato per tutti quegli strani giorni. Aveva occhi e bocca chiusi.

Vidi David che, seduto nella poltrona di vimini con la caviglia destra sul ginocchio sinistro e le mani che riposavano sulle cosce, guardava l’uomo che dormiva. Sapeva che c’ero riuscito? Non potevo udire neanche una parola di ciò che stava dicendo. In effetti mi sembrava di trovarmi in una sfera diversa da quella delle due figure solide laggiù, sebbene mi sentissi del tutto completo, intero e reale.

Oh, com’era meraviglioso! Era così simile alla mia libertà di quand’ero un vampiro che quasi ricominciai a piangere. Provai una tale tristezza per le due creature solide e solitarie che vedevo laggiù. Volevo passare attraverso il soffitto e uscire nella notte.

Salii lentamente, poi uscii sopra il tetto dell’albergo, finché non mi trovai sospeso sopra la sabbia bianca.

Era sufficiente così, no? Mi prese la paura, quella che avevo provato allorché avevo fatto quel trucchetto, in precedenza. Che cosa, in nome di Dio, mi teneva in vita in quello stato? Avevo bisogno del mio corpo! Piombai giù, alla cieca, tornando nella carne. Mi svegliai percorso da formicolii, fissando David che se ne stava seduto, fissandomi a sua volta.

«Ce l’ho fatta», dissi. Mi sconvolgeva sentire di nuovo quei tubi di pelle e di ossa avvolti intorno a me, vedere le dita obbedire al mio comando e avvertire i piedi che si muovevano nelle scarpe. Ah, che razza di esperienza! E tanti, ma tanti, mortali avevano cercato di descriverla. E quanti di più, nella loro ignoranza, non credevano possibile una cosa simile.

«Ricordati di schermare i tuoi pensieri», disse David all’improvviso. «Per quanto tu possa essere euforico, chiudi bene a chiave la tua mente!» «Sissignore.» «Ora ricominciamo da capo.»

Per mezzanotte, circa due ore più tardi, avevo imparato a sollevarmi a piacere. Anzi mi stavo quasi assuefacendo all’esperienza: la sensazione di leggerezza, la grande ascesa impetuosa, la deliziosa facilità di passare attraverso muri e soffitti, e poi l’improvviso, sconvolgente ritorno! C’era in tutto quello un piacere profondo e palpitante, puro e luminoso. Era un’esperienza erotica, anche se soltanto mentale.