«Una rapina sulle colline sopra Caracas. Molto simile ai crimini a Curalo. Una grande villa piena di pezzi rari, gioielli, dipinti. Molta roba è stata distrutta, sono stati rubati solo piccoli oggetti trasportabili e tre persone sono morte. Dovremmo ringraziare gli dei per la povertà dell’immaginazione umana e per la pura e semplice crudeltà delle ambizioni di quell’uomo. Ma anche perché ci è stata data così presto l’opportunità di fermarlo. Col tempo, si sarebbe reso conto delle sue mostruose potenzialità. Ora come ora, per noi è uno sciocco prevedibile.»
«C’è forse qualche individuo che utilizza ciò che ha?» chiesi. «Forse pochi geni coraggiosi conoscono i propri limiti. Il resto di noi cosa fa, a parte lamentarsi?»
«Non lo so», rispose lui, con un sorriso triste e fugace. Scosse la testa e distolse lo sguardo. «Una notte, quando tutto questo sarà finito, mi racconterai di nuovo com’è stato per te. Come hai potuto stare in quel bel corpo giovane e odiare tanto il mondo.»
«Te lo racconterò, ma tu non capirai. Stai dal lato sbagliato del vetro oscuro. Solo i morti sanno quanto sia terribile essere vivi.»
Tirai fuori della mia valigia una Tshirt, ma non la indossai. Mi sedetti sul letto accanto a lui. Allora mi piegai e baciai di nuovo il suo volto, come avevo fatto a New Orleans, gustando la sensazione della barba mal rasata, proprio come godevo di quel genere di cose quand’ero davvero Lestat e stavo per accogliere in me quel forte sangue mascolino.
Mi avvicinai, ma lui mi afferrò la mano, allentandomi con delicatezza.
«Perché, David?» gli chiesi.
Non rispose subito. Alzò la mano destra e mi scostò i capelli dagli occhi. «Non lo so», sussurrò. «Non posso. Non posso e basta.» Poi si alzò con un movimento elegante e uscì nella notte.
Per un momento, la passione repressa mi rese troppo furioso per agire. Poi seguii David. Aveva raggiunto la spiaggia e se ne stava là, da solo, come avevo fatto io prima.
Lo raggiunsi, fermandomi dietro di lui. «Dimmi, per favore, perché no?»
«Non lo so», ripeté. «So soltanto che non posso. Lo voglio. Credimi, è così. Ma non posso. Il mio passato mi è… così vicino.» Fece un lungo sospiro e per un po’ tacque. Poi proseguì: «II mio ricordo di quei giorni è ancora così chiaro. È come se fossi di nuovo in India o a Rio. Ah, sì, Rio. È come se fossi ancora quel giovane…»
Sapevo che era colpa mia. E sapevo che sarebbe stato inutile scusarmi. Mi rendevo conto anche di qualcos’altro: io ero un essere malvagio e, perfino mentre ero in quel corpo, David poteva percepire il male. Avvertiva la potente avidità del vampiro. Era un male antico, incombente e terribile. Gretchen non lo aveva colto. L’avevo ingannata col mio corpo caldo e accogliente. Ma quando David mi guardava vedeva quel demone biondo dagli occhi azzurri che conosceva molto bene.
Non dissi nulla. Guardai soltanto verso il mare. Ridatemi il mio corpo, pensai. Lasciatemi essere un demonio, pensai. Sottraetemi a questo genere meschino di desiderio e a questa debolezza. Riportatemi nei cicli tenebrosi ai quali appartengo. E d’un tratto la mia solitudine e la mia sofferenza sembrarono terribili come lo erano state prima di quell’esperimento, prima di quel breve soggiorno in una carne più vulnerabile. Sì, lasciatemene fuori, per favore. Lasciate che io sia un osservatore. Come avevo potuto essere così stupido?
Sentii che David mi stava dicendo qualcosa, ma non colsi le parole.
Alzai lo sguardo, scuotendomi dai miei pensieri, e vidi che si era girato verso di me. Mi appoggiò dolcemente la mano sul collo. Avrei voluto dirgli qualcosa di violento, intimargli di levare la mano, di non tormentarmi, ma non parlai.
«No, non sei malvagio, non è quello», sussurrò. «Sono io, non capisci? È la mia paura! Tu non sai cosa abbia significato per me questa avventura! Essere di nuovo qui, in questa parte del grande mondo, e con te! Io ti amo. Ti amo disperatamente e follemente, amo l’anima che è dentro di te, un’anima che non è malvagia. Non è avida. È immensa, invece. Riesce a sopraffare perfino questo corpo giovane perché è la tua anima, fiera, indomabile e fuori del tempo: l’anima del vero Lestat. Non posso concedermi a lei. Non posso… farlo. Sarei perduto per sempre se lo facessi, come lo sarei se… se…» S’interruppe, troppo scosso per proseguire. Era stato terribile sentire il dolore nella sua voce, il debole tremore che ne minava la fermezza. Avrei mai potuto perdonarmi? Rimasi immobile, fissando l’oscurità dietro di lui. Il dolce sciabordio delle onde e il vago fruscio delle palme da cocco erano gli unici rumori. Com’era vasto il ciclo e com’erano piacevoli, calme e intense quelle ore subito prima dell’alba.
Vidi il volto di Gretchen. Udii la sua voce.
«Per un attimo, stamattina, ho pensato di poter abbandonare tutto… solo per stare con te… Mi sono sentita trascinare via, come faceva una volta la musica. E se tu, anche adesso, mi dicessi ‘vieni con me’, io forse verrei… Castità significa non innamorarsi. Io potrei innamorarmi di te. Lo so che potrei.»
Fu allora che, dietro quell’immagine bruciante, indistinta ma inconfondibile, vidi il volto di Louis, e udii la sua voce pronunciare parole che volli dimenticare.
Dov’era David? Non volevo quei ricordi. No, non li volevo. Alzai lo sguardo e lo vidi di nuovo, vidi la familiare dignità, la compostezza e la forza imperturbabile. Ma riuscii a scorgere anche ù dolore.
«Perdonami», sussurrò. Mentre cercava di mantenere la sua apparenza composta ed elegante, la sua voce suonava ancora incerta. «Tu hai bevuto alla fonte della gioventù quando hai bevuto il sangue di Magnus. Davvero. Non saprai mai cosa significhi essere vecchio, come io sono ora. Che Dio mi aiuti, detesto quella parola, però è vero. Sono vecchio.»
«Capisco», dissi. «Non preoccuparti.» Mi protesi e lo baciai ancora. «Ti lascerò stare. Andiamo, dovremmo ormai dormire. Te lo prometto: ti lascerò stare.»
21
«Oh, guarda, David.» Ero appena sceso dal taxi sul lungomare affollato. La grande Queen Elizabeth 2 azzurra e bianca era troppo grossa per entrare nel porticciolo. E dunque se ne stava ancorata un paio di miglia al largo, non avrei saputo dire con esattezza. Era così mostruosamente grande da sembrare una nave uscita da un incubo, ferma nella baia immobile. Solo le linee ripetute di miriadi di minuscoli oblò evitavano che apparisse la nave di un gigante.
La piccola isola pittoresca con le sue verdi colline e la costa sinuosa si protendeva verso di lei, come se cercasse, invano, di rimpicciolirla e di avvicinarla a sé.
Guardandola, uno spasmo di eccitazione mi colse. Non ero mai stato a bordo di un’imbarcazione moderna. Quella parte sarebbe stata divertente.
Una piccola lancia, col nome della nave dipinto a grandi lettere e occupata da un gruppetto di passeggeri, avanzò sotto il nostro sguardo verso il molo di cemento.
«Ecco Jake, là, sulla prua della lancia», disse David. «Su, andiamo verso il bar.»
Camminammo sotto il sole cocente, in camicia a maniche corte come una coppia di turisti, passando accanto ai venditori dalla pelle scura con le loro conchiglie, le bambole di pezza, i piccoli tamburi di latta e gli altri souvenir. Come appariva graziosa l’isola. Le sue colline boscose erano punteggiate di piccole abitazioni, e gli edifici più solidi della città di St. George erano ammassati sulla ripida scogliera, lontano sulla sinistra. L’intero panorama aveva qualcosa d’italiano, con tutti quei muri rossicci scuri e macchiati, e i tetti arrugginiti di lamiera ondulata che, sotto la luce del sole, parevano fatti di tegole in cotto. Sembrava un posto piacevole da esplorare, in un’altra occasione.