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— È inutile, sai, ormai è inutile — esclamò il fauno, posando il flauto dalla forma strana.

Sembrava diventato molto triste.

— Inutile? — esclamò Lucy, balzando in piedi e sentendosi un po’ spaventata. — Che significa? Devo andare a casa subito. Si staranno chiedendo cosa mi è successo. Signor Tumnus, cosa c’è adesso? — Gli occhi bruni del fauno si erano riempiti di lacrime che scendevano lungo le guance, e un attimo dopo gli gocciolarono dalla punta del naso. Alla lunga, il signor Tumnus si nascose il viso tra le mani e cominciò a singhiozzare e a urlare disperatamente.

— Signor Tumnus, signor Tumnus! — gridò Lucy, preoccupatissima. — Non fare così. Cosa c’è? Non stai bene? Caro signor Tumnus, dimmi cosa ti affligge.

Il fauno continuava a singhiozzare a più non posso. Non smise neppure quando Lucy gli si avvicinò, gli buttò le braccia al collo e gli prestò il suo fazzoletto perché si asciugasse gli occhi. Lui lo prese, cominciò a usarlo, strizzandolo tra le mani ogni volta che lo sentiva bagnato fradicio. E non la smetteva più né di piangere né di strizzare il fazzoletto, in modo che a un certo punto Lucy si trovò con i piedi in una pozza d’acqua.

— Signor Tumnus — gli gridò Lucy nell’orecchio. — Basta, smettila subito. Dovresti vergognarti, un fauno grande e grosso che piange a questo modo. E perché, si può sapere?

— Oh… oh… oh! — singhiozzò lui. — Piango perché sono un fauno cattivo.

— Cattivo? — fece Lucy di rimando. — Non mi pare. Direi invece che sei un buonissimo fauno, il migliore che abbia incontrato.

— Oh… oh… non diresti così se sapessi la verità — replicò il signor Tumnus, tra un singhiozzo e l’altro. — Sono cattivo, il fauno più cattivo che ci sia al mondo.

— Ma che hai fatto per essere tanto cattivo?

— Il mio vecchio padre, quello là — rispose il fauno, indicando il ritratto sulla mensola del caminetto — non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

— Ma che cosa? Come?

— Come quella che ho fatto io — ripeté il fauno. — Mi sono messo al servizio della Strega Bianca.

— La Strega Bianca? E chi sarebbe?

— Quella che tiene il paese di Narnia sotto il tallone, ecco chi. È lei che fa durare l’inverno tutto l’anno: sempre inverno e mai Natale, pensa.

— Terribile — fece eco Lucy, che subito aggiunse: — Hai detto che ti sei messo al suo servizio. Per far cosa?

— Questa è la cosa più brutta — esclamò il signor Tumnus con un gran sospiro. — Sono diventato un ladro di bambini, ecco cosa sono diventato. Guardami bene, figlia di Eva, ti sembro il tipo di fauno che incontra un bambino che non gli ha fatto nulla di male e lo invita nella sua caverna, fingendosi gentile, e poi lo addormenta per consegnarlo alla Strega Bianca?

— No — rispose subito Lucy. — Sono certa che non faresti mai niente di simile.

— Eppure l’ho fatto.

— Be’… — cominciò lei, che voleva esser sincera ma non troppo severa con il povero fauno. — Be’, direi che l’hai combinata grossa. Però mi sembri pentito e sono certa che non lo farai mai più.

— Figlia di Eva, non capisci? — gridò il fauno. — Non è che l’abbia fatto… nel passato. L’ho fatto oggi, con te.

— Cosa? — gridò Lucy, diventando pallidissima.

— La bambina sei tu — rispose Tumnus. — La Strega Bianca mi ha dato l’ordine di consegnarle qualunque figlio di Adamo o figlia di Eva che incontrassi nel bosco. Tu sei la prima: ho finto di esserti amico e ti ho invitata a prendere il tè, aspettando solo che ti addormentassi. Allora sarei corso dalla Strega Bianca per dirle che eri qui.

— Ma non mi consegnerai alla Strega, vero, signor Tumnus? Non lo farai?

— Se non lo faccio, lo scoprirà certamente. E mi farà tagliare la coda, segare le corna, strappare la barba. Agiterà la bacchetta magica sui miei piedini da capretto e li trasformerà in grossi zoccoli da cavallo, e se sarà tanto arrabbiata mi trasformerà in una statua di pietra. E io resterò là, nella sua orribile casa, fino al giorno in cui sui quattro troni di Cair Paravel… Ma questo chissà quando avverrà. Forse sui quattro troni non siederà mai nessuno. E io non sarò più un fauno, ma la statua di un fauno.

— Mi dispiace per te, signor Tumnus — disse Lucy — ma per favore, fammi tornare a casa.

— Naturalmente — esclamò il fauno. — Non potrei farti una cosa tanto brutta, ora che ti conosco. Lo capisco da solo, sai. Prima non sapevo neanche come fossero fatti gli esseri umani, non ne avevo mai incontrati. Andiamo via subito. Ti riaccompagnerò al lampione e spero che riuscirai ad arrivare in fretta al regno di Stanza Vuota, nella città di Guarda Roba. Conosci la strada, vero?

— Sì, sì — lo rassicurò Lucy.

— Filiamo via, allora, senza farci vedere. Lei ha spie dappertutto. Perfino certi alberi…

Il signor Tumnus si alzò in piedi, prese di nuovo l’ombrello e, lasciando le cose del tè sul tavolo, offrì il braccio a Lucy, preparandosi a uscire.

Nevicava ancora. I due viandanti camminavano in fretta, quasi furtivamente, senza aprire bocca e scegliendo i sentieri più bui e nascosti. Il viaggio di ritorno, insomma, fu molto diverso da quello di andata, e Lucy tirò un gran sospiro di sollievo quando rivide il lampione.

— Conosci la strada, vero? — chiese nuovamente il fauno.

Lucy aguzzò lo sguardo e le parve di vedere, in fondo al sentiero, una macchia biancastra.

— Sì, sì — disse. — La porta del guardaroba è aperta.

— Scappa via subito, allora, corri più in fretta che puoi — disse il fauno. E poi, balbettando, aggiunse: — P-puoi… p-perdonarmi… p-per… quello che volevo fare?

— Ma certo — rispose Lucy, e gli strinse cordialmente la mano. — Spero anzi che non ti capiti niente di male per causa mia. Arrivederci, signor Tumnus.

— Addio, piccola Lucy, figlia di Eva — mormorò il fauno. — Potrei tenere il tuo fazzoletto per ricordo?

— Direi proprio di sì — esclamò Lucy e corse a gambe levate verso la chiazza di luce che intravedeva in fondo al sentiero, dove c’era di sicuro il grande armadio spalancato sulla stanza vuota. Infatti, dopo poco, anziché sentire intorno a sé i rami secchi degli alberi e la neve che scricchiolava sotto i piedi, avvertì la carezza delle pellicce sul viso e le tavole di legno che risuonavano sotto i suoi passi.

Poi saltò fuori dall’armadione, nella grande stanza vuota. Si chiuse la porta dietro le spalle e si guardò intorno, ansimando. Pioveva ancora; dal corridoio venivano le voci degli altri. Lucy gridò: — Sono qui, sono qui, sono tornata. Va tutto bene!

3

Edmund e l’armadio

Lucy corse nel corridoio e trovò Peter, Susan e anche Edmund. I tre ragazzi non sembrarono affatto sorpresi di vederla.

— Va tutto bene — ripeté Lucy. — Sono tornata.

— Cosa diavolo stai dicendo? — chiese Susan.

— Perché? — fece Lucy, al colmo dello stupore. — Non mi cercavate? Non eravate in pensiero per me?

— Ah, ti eri nascosta, vero? — esclamò Peter. — Povera piccola Lu. Si è nascosta e nessuno se n’è accorto.

— Ma io sono stata via per ore e ore — protestò Lucy.

Gli altri si guardarono in faccia, sbalorditi.

— Matta — esclamò Edmund, picchiandosi un dito sulla fronte. — Tu sei matta, cara mia.