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Questo fu il primo passo di Duny sulla via che avrebbe seguito per tutta la vita, la via della magia, la via che alla fine lo condusse in cerca di un’ombra sulla terra e sul mare, fino alle coste tenebrose del regno della morte. Ma mentre compiva quei primi passi, gli sembrava una via ampia e luminosa.

Quando scoprì che i falchi selvatici scendevano in picchiata dal vento se li invocava per nome, posandosi con un tuono d’ali sul suo polso, come i rapaci da caccia di un principe, arse dal desiderio di conoscere altri nomi e andò dalla zia, supplicandola d’insegnargli il nome dello sparviero e della procellaria e dell’aquila. Per guadagnarsi le parole del potere, fece tutto ciò che la strega gli chiedeva e imparò tutto ciò che gli insegnava, sebbene non tutto fosse piacevole da fare o da apprendere. A Gont c’è un detto, Debole come la magia di una donna; e ce n’è un altro, Malvagio come la magia di una donna. Ora, la strega di Dieci Ontani non era dedita alla magia nera, e non s’impicciava delle arti supreme o dei commerci con i Vecchi Poteri; ma poiché era una donna ignorante in mezzo a gente ignorante, spesso usava le sue arti a fini sciocchi o discutibili. Non sapeva nulla dell’Equilibrio e del Disegno che il vero mago conosce e serve, e che gli impediscono di usare i suoi incantesimi a meno che lo richieda un’autentica necessità. Lei aveva un incantesimo per ogni circostanza, e continuava a intessere sortilegi. Molta della sua scienza era ciarlataneria, e lei non sapeva distinguere i veri incantesimi dai falsi. Conosceva molte maledizioni, e forse era più abile a causare l’infermità che a guarirla. Come tutte le streghe dei villaggi sapeva preparare un filtro d’amore; ma c’erano altre pozioni, più pericolose, che preparava per servire la gelosia e l’odio degli uomini. Tuttavia teneva nascoste queste pratiche al suo giovane apprendista, e per quanto poteva gli insegnava l’arte più onesta.

All’inizio, il piacere di Duny per l’arte magica era causato, puerilmente, dal potere che gli conferiva sugli uccelli e sui mammiferi, e dalla conoscenza di questi. E per la verità, quel piacere l’accompagnò per tutta la vita. Vedendolo spesso nei pascoli alti con un rapace che gli volteggiava intorno, gli altri bambini lo chiamavano Sparviero: e così lui ebbe il nome che conservò più tardi, come nome d’uso, quando il suo nome vero non fu più noto a nessuno.

Poiché la strega continuava a parlargli della gloria e delle ricchezze e del grande potere sugli uomini che un incantatore poteva acquisire, Duny si accinse a imparare altre cognizioni utili. Era molto sveglio. La strega lo lodava e i bambini del villaggio incominciarono ad aver paura di lui, e lui stesso si sentì certo che ben presto sarebbe diventato un grande mago. E così procedette di parola in parola e d’incantesimo in incantesimo, insieme alla strega, fino a quando ebbe dodici anni ed ebbe appreso da lei gran parte di ciò che sapeva: non molto, ma sufficiente per la strega di un piccolo villaggio e più che sufficiente per un ragazzetto di dodici anni. Lei gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva delle erbe e della medicina, e tutto ciò che sapeva delle arti di trovare, legare, riparare, dissigillare e rivelare. Gli aveva cantato tutte le storie dei cantori e le Grandi Gesta che conosceva e tutte le parole del Vero Linguaggio che aveva appreso dal mago che era stato suo maestro. E dai maghi della pioggia e dai giocolieri ambulanti che andavano da un centro all’altro della valle del Nord e della foresta Orientale, Duny aveva imparato vari trucchi e piacevolezze, incantesimi d’illusione. Fu con uno di questi incantesimi leggeri che dimostrò per la prima volta il grande potere che era in lui.

A quei tempi, l’impero di Kargad era forte. È formato da quattro grandi terre che stanno fra gli stretti del Nord e dell’Est: Karego-At, Atuan, Hur-at-Hur, Atnini. La lingua che si parla là non somiglia a quelle dell’arcipelago o degli altri stretti, e gli abitanti sono selvaggi dalla pelle bianca e dai capelli gialli, e molto feroci: amano la vista del sangue e l’odore delle città incendiate. L’anno precedente avevano attaccato le Torikles e l’isola fortificata di Torheven, compiendo scorrerie in gran forza con le loro flotte di navi dalle vele rosse. Notizie degli eventi erano giunte a nord, fino a Gont, ma i signori di Gont erano troppo impegnati nelle loro imprese di pirateria e facevano poco caso alle sofferenze di altre terre. Poi Spevy venne espugnata dai karg, e fu devastata e saccheggiata; i suoi abitanti furono condotti in schiavitù, tanto che ancora oggi è un’isola di rovine. Presi dalla frenesia della conquista, ì karg si spinsero quindi verso Gont, e vennero con trenta lunghe navi a Porto Orientale. Combatterono casa per casa in quella città, la presero, la bruciarono; lasciando le navi, sotto sorveglianza, alla foce del fiume Ar, risalirono la valle devastando e saccheggiando, e massacrando uomini e bestie. Mentre procedevano si divisero in bande, e ogni banda andava a far bottino dove preferiva. I profughi ne portarono notizia al villaggio sulle alture. Ben presto gli abitanti di Dieci Ontani videro il fumo oscurare il cielo orientale, e quella notte coloro che salirono allo Strapiombo Alto guardarono giù e scorsero la valle offuscata e striata di rosso dagli incendi, dove i campi pronti per la mietitura erano stati dati alle fiamme, e i frutteti bruciavano, con i frutti che arrostivano sui rami ardenti, e i granai e le fattorie cadevano carbonizzati.

Alcuni abitanti del villaggio fuggirono tra i burroni e si nascosero nella foresta, e alcuni si prepararono a combattere per la loro vita, e alcuni non fecero altro che lamentarsi. La strega fu tra coloro che fuggirono, nascondendosi tutta sola in una grotta della scarpata di Kapperding e sigillando l’imboccatura della caverna con incantesimi. Il padre di Duny, il fabbro, fu tra quelli che rimasero, perché non voleva lasciare la fornace e la forgia dove lavorava da cinquant’anni. Per tutta quella notte si adoperò a battere tutto il bronzo che aveva pronto per preparare punte di lancia, mentre altri lavoravano con lui legandole ai manici di zappe e rastrelli, poiché non c’era tempo di preparare le ghiere e di sistemarle a regola d’arte. Nel villaggio non c’erano altre armi che archi da caccia e corti coltelli, perché i montanari di Gont non sono bellicosi: non hanno fama di guerrieri, ma di ladri di capre, di pirati e di maghi.

Allo spuntar del sole si levò una fitta nebbia bianca, come avviene in molte mattine d’autunno sulle alture dell’isola. Tra le capanne e le case che fiancheggiavano la strada di Dieci Ontani, gli abitanti stavano in attesa con gli archi da caccia e le lance appena forgiate, senza sapere se i karg erano lontani o vicinissimi: tutti stavano in silenzio, scrutando nella nebbia che nascondeva ai loro occhi forme e distanze e pericoli.

Con loro c’era Duny. Aveva lavorato per tutta la notte al mantice della forgia, spingendo e tirando le due lunghe maniche di pelle di capra che alimentavano il fuoco con un soffio d’aria. Adesso le braccia gli dolevano e tremavano per la fatica al punto che non riusciva a reggere la lancia che aveva scelto. Non sapeva come poteva combattere o rendersi utile a se stesso o agli abitanti del villaggio. Gli straziava il cuore l’idea di dover morire, infilzato su una lancia karg, quando era ancora un ragazzo: di dover discendere nella terra tenebrosa senza aver mai saputo il suo nome, il suo vero nome da uomo. Abbassò lo sguardo sulle braccia magre, madide della fredda rugiada della nebbia, e s’infuriò della propria debolezza, poiché conosceva la sua forza. C’era potere in lui, se avesse saputo usarlo; e cercò tra tutti gli incantesimi che conosceva qualcosa che potesse assicurare un vantaggio o almeno una possibilità a lui e ai suoi compagni. Ma la necessità non è sufficiente a liberare il potere: ci dev’essere anche la conoscenza.

La nebbia, ormai, si stava diradando sotto il calore del sole che brillava nudo sopra la vetta, nel cielo luminoso. Quando i vapori si separarono e si dispersero in grandi spire fumose, gli abitanti del villaggio videro una banda di guerrieri che saliva sulla montagna. Erano protetti da elmi di bronzo e gambali e corazze di cuoio pesante e scudi di legno e bronzo, e armati di spade e di lunghe lance karg. Salivano lungo il ripido argine dell’Ar, tortuosamente, in una fila sferragliante e piumata e irregolare, già abbastanza vicini perché si potessero vedere le loro facce bianche e si potessero udire le parole del loro dialetto mentre si scambiavano richiami. La banda, staccatasi dall’orda degli invasori, era formata da un centinaio di uomini, che non sono molti: ma nel villaggio erano soltanto in diciotto, tra uomini e ragazzi.