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Lane allora cambiò rotta in modo da avvicinarsi il più possibile, senza alcun pericolo al buco nero.

Quando arrivò nel punto prestabilito, non riuscì a vederlo, cosa di cui non si sorprese molto, ma i suoi strumenti lo rilevarono grazie alla presenza di un campo ipergravitazionale circondato a sua volta da un piccolo quantitativo di gas e detriti che gli orbitavano intorno.

— Continuiamo a non rilevare altre presenze, Deathmaker - disse la voce alla radio. — Siete sicuri di non inseguire qualche riflesso?

— Quando mai avete sentito che esiste qualcosa capace di produrre un simile riflesso nello spazio? — ribatté lui disgustato. — E inoltre sta dirigendosi dritto nel buco nero. Adesso vi darò le sue coordinate così forse mi lascerete in pace.

— In base alle coordinate che ci avete fornito — disse dopo cinque minuti la voce — abbiamo proiettato la sua rotta, nella presunzione che esista realmente. Però i nostri strumenti non rivelano alcun oggetto in quella zona.

— E allora procuratevene di migliori — sbottò Lane — perché in questo momento si trova a meno di un milione di chilometri dal buco.

Pareva che la nave aliena non si rendesse conto di essere in rotta di collisione — o meglio, di assorbimento, si corresse Lane — col buco nero. Ma ormai non importava più, perché a quella distanza non gli sarebbe sfuggita neanche Pinnipes.

Ma poi successe una cosa strana. Via via che si avvicinava al bordo, o orizzonte apparente, del buco nero la nave aliena avrebbe dovuto accelerare sempre più, invece la sua velocità rimaneva costante. Quando si trovò a circa cinquecentomila chilometri dal buco, deviò evitandolo.

— Dovete esservi sbagliati — disse Lane riaccendendo la radio — Quello non può essere un buco nero.

— Perché no? — chiese dopo il solito intervallo la voce.

— Perché quella nave è appena sfuggita al suo campo gravitazionale — e spiegò quello che era successo.

— Quello è un buco nero, la cosa è fuori discussione. È stato scoperto, esaminato, segnato sulle carte e sui manuali. Dal momento che i nostri strumenti non rilevano quella fantomatica nave, siamo costretti a concludere che i vostri sensori si sono sbagliati.

Lane troncò la comunicazione, scese nella stiva a prendere una piccola sonda, la collegò a un razzo a lunga durata e lanciò il tutto in direzione del buco nero. Seguì con gli strumenti la sua traiettoria e nel contempo osservò sullo schermo la luce del razzo, e la vide sparire nell’istante in cui arrivò sul bordo del buco, mentre anche gli strumenti ne segnalavano la scomparsa.

Questo, se non altro, dimostrava che il buco nero esisteva realmente, non solo, ma che la nave aliena aveva infranto tutte le leggi naturali che lui conosceva.

Tornò ad accendere la radio. — Esiste qualcosa che sia immune al campo gravitazionale di un buco nero?

— No — rispose la solita voce. — Neppure la luce riesce a sfuggirgli.

— Non intendevo questo. Esiste qualcosa che è immune all’attrazione gravitazionale di un buco nero, prima di entrarci?

— Non certo un oggetto solido — fu la risposta. — Forse i raggi X o qualche forma di energia, ma ne dubito.

— Avete mai saputo che esistano navi fatte di energia… magari un’energia esotica, nello spettro dell’infrarosso?

— No. Se fossi in voi controllerei se non ci sia un guasto nel computer.

— Funziona tutto alla perfezione — ribatté Lane. — Ho appena lanciato una sonda verso il buco e ne ho seguito centimetro per centimetro la traiettoria.

— Be’, Deathmaker, non saprei cos’altro dire.

— Io sì, invece, ho molto da dire. Ho l’impressione di aver incontrato la Bestia dei Sogni.

— Al diavolo! — esclamò disgustata la voce. — Un altro matto! Sentite, Deathmaker, non spargete voci assurde su questa faccenda. Se c’è una cosa di cui proprio non abbiamo bisogno sono un branco di imbecilli cacciatori di trofei che cadono in quel buco nero.

— Non preoccupatevi — disse Lane. — A me la Bestia dei Sogni, se poi era lei, non interessa per niente. Sono qui per catturare i Finti Tuffatori, e adesso che quella cosa, è sparita, torno su Pinnipes II.

Dopo meno di quindici ore camminava sul fondo melmoso dell’oceano di Pinnipes II, col segnalatore sonar del Fiutabranchie in una mano e la pistola nell’altra.

Aveva relegato il ricordo della recente avventura in quel recesso della mente riservato alle cose senza importanza che si ripescano solo per raccontarle davanti a un boccale al Tchaka.

3

Lane impiegò quasi tre mesi a catturare tutte le prede che gli erano state richieste. Dopo poco più di un mese il suo Fiutabranchie fu assalito e ucciso da alcuni abitanti dell’oceano, per cui fu costretto a catturare da solo gli esemplari che ancora gli mancavano. Finalmente la caccia si concluse, lui risali a bordo e scaricò i Finti Tuffatori sul più vicino centro commerciale, e infine, stanco fisicamente e mentalmente fece ritorno a Porto Inferno.

Lasciata la nave nell’hangar e pagati i Dabihs, si concesse una bella dormita; infine, col Mufti appollaiato sulla spalla, andò al Tchaka.

Tchaka in persona serviva al bar. Era uno spettacolo solo guardarlo: alto più di due metri e mezzo e grosso in proporzione, aveva tutti i denti d’oro zecchino, portava una lucertola viva nel foro del lobo dell’orecchio destro grottescamente allungato, le dita ingioiellate brillavano come dieci minuscoli soli, e la tunica che indossava, fatta di un tessuto metallico a disegni complicati, cambiava colore ogni volta che lui si muoveva. Ma forse più bizzarro di tutto era l’occhio sinistro, artificiale, che scintillava e ammiccava emanando un’intensa luminosità. Correva voce che avesse perso l’occhio per una coltellata infertagli ai primordi di Porto Inferno, e si mormorava inoltre che fosse affetto da una strana e forse contagiosa malattia che divorava lentamente il suo enorme corpo. Ma secondo la voce più accreditata, si era fatto togliere apposta l’occhio per sostituirlo con quella stupefacente protesi. E Lane trovava questa versione più credibile, ancorché più terrificante, delle altre.

— Nicobar! — urlò Tchaka. — Sei tornato dalla guerra e vieni qui a spendere il tuo bottino? È un pezzo che non ti vedevo.

— Più di un anno — confermò Lane.

— Fatto buona caccia?

— Discreta. Preparami qualcosa di speciale.

— Il primo lo offre la casa — disse Tchaka scegliendo e mescolando gli ingredienti con la delicatezza di un concertista.

— Non c’è altro che possa fare per te? Un anno di lontananza è lungo — aggiunse ammiccando.

— Non capisco.

— Cosa?

— Perché ammicchi con l’occhio sano — disse Lane. — Se fossi al tuo posto ammiccherei con l’altro occhio.

— Sono buoni tutti e due — rispose Tchaka sorridendo. — Non li trovi belli?

— Splendidi — rispose Lane assaggiando la bibita che l’altro gli aveva preparato. — Però con uno non ci vedi.

— Credi? — Tchaka chiuse l’occhio destro e voltò l’altro verso la porta. — Stanno entrando due uomini — disse. — Quello a sinistra è sulla quarantina, ha la barba e indossa una vecchia uniforme militare. L’altro è un po’ più anziano, piccolo e grasso, rasato e se anche non sembra gli manca parte della gamba destra.

— Accidenti! — esclamò Lane sorpreso. — Di che colore sono i loro abiti?

— Non ne ho la minima idea — rispose Tchaka riaprendo l’occhio destro. — Sei rimasto sorpreso, eh, Nicobar? — Gettò indietro la testa scoppiando in una sonora risata. — È la prima volta che ti vedo esprimere una qualche emozione.