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— Come hai fatto?

— Credevi che quest’occhio fosse qui solo per bellezza? Adessi sei tu che mi stupisci, Nicobar. A cosa può interessare la bellezza al proprietario del miglior bordello di Punto Nord? No, amico mio, quest’occhio non è solo un’opera d’arte: è una meraviglia della scienza. Ha lenti sia agli infrarossi sia agli ultravioletti ed è collegato all’estremità del mio nervo ottico. Povero Nicobar, che hai solo gli occhi che ti ha dato Dio! Povero diavolo che vedi solo la superficie delle cose, mentre io vedo forme e colori che tu nemmeno immagini.

— Mi sbalordisci — disse Lane.

— Vieni, Nicobar, avvicinati — disse Tchaka chinandosi sul banco. — Guardaci dentro e vedi i segreti del tempo e dello spazio.

Lane stava per guardare nel globo scintillante, ma si raddrizzò sentendo che il Mufti s’irrigidiva piantandogli gli artigli nella spalla.

— Un’altra volta, Tchaka.

— Perché?

— Mufti ha visto la lucertola che porti all’orecchio e se lo avvicinassi troppo potresti ricorrere alla scienza anche per l’udito, oltre che per la vista.

— Un orecchio ultrasonico sarebbe un ottimo complemento dell’occhio — rispose Tchaka. — Ci penserò, non è una cattiva idea. Ma adesso dimmi se vuoi qualcosa. Sono a tua disposizione in tutto e per tutto.

— Meno che quando sono a corto di soldi.

— Non devi confondere l’amicizia con la fiducia. Io sono amico di tutti ma ho fiducia solo in me stesso.

— Giusto.

— Giusto, già. Tu mi giudichi così. Altri mi considerano imperscrutabile e altri ancora, ci crederesti mai, hanno paura di me — così dicendo posò le mani sul banco affondando le dita per un paio di centimetri nel legno.

— Non capisco proprio perché — commentò Lane chiedendosi se poteva esistere in tutta la galassia un uomo della sua forza.

— E altri ancora — continuò Tchaka — mi giudicano misterioso.

— Io non ti ho mai giudicato così — disse Lane. — Ma a proposito di misteri, voglio rivelartene uno. Cosa ne sai dei buchi neri?

— Neri, bianchì, rosa, rossi, marrone, a pallini sono tutti uguali per Tchaka — disse questi mettendo in mostra tutti i suoi denti d’oro.

— Parlo sul serio. Cosa ne sai?

— Tchaka sa un po’ di tutto.

— Compresi i buchi neri?

— Compresi i buchi neri.

— Cosa diresti se ti raccontassi che una cosa che stavo inseguendo è arrivata a meno di cinquecento chilometri da un buco nero e poi si è allontanata con una virata?

— Direi che ti sei sbagliato.

— No, sono sicuro di quel che dico.

— Che cos’era?

— Non lo so. Ero troppo lontano per vederlo.

— Allora come fai a sapere che c’era?

— I miei sensori l’hanno seguito per tutto il tragitto fino al buco.

— E cosa è successo dopo che si è allontanato?

— Non lo so, Ho smesso l’inseguimento e sono tornato al lavoro.

— Non eri curioso?

— Non abbastanza da continuare a seguirlo. E poi, se era in grado di sfuggire all’attrazione di un buco nero la mia nave non poteva certo stargli alla pari.

— Già — convenne Tchaka pensoso, bevendo una lunga sorsata da una bottiglia.

— Mai sentito niente del genere? — chiese Lane.

— Una volta.

— Davvero? E chi te ne ha parlato?

— Quel vecchio là nell’angolo — rispose Tchaka indicando un vecchio grinzoso che sedeva a un tavolo con un’enorme bottiglia di alcol puro davanti a lui. — È successo trenta o forse anche quarant’anni fa. Venne qui un giorno e si prese una sbronza solenne. A quei tempi non avevo tanto da fare, così lo aiutai a riprendersi. Continuò a parlare tutta la notte e buona parte della mattina di una cosa che si tuffava in un buco nero. Pensavo che stesse dando i numeri per via di tutto quell’alcol che aveva ingurgitato ma quando tornò in sé continuò a ripetere ancora la stessa fottutissima cosa. Quando la ripeté alla sera, tutti gli risero dietro, e dopo di allora non ne parlò mai più. Ti va di conoscerlo?

— Non in modo particolare — rispose Lane.

— È per questo che mi sei simpatico, Nicobar — rise Tchaka. — Sempre educato. Ehi, Marinaio! — gridò al vecchio. — Vieni qua a farti un bicchiere gratis, te lo offre Nicobar Lane.

Il vecchio alzò gli occhi, ci pensò su un momento, poi si alzò a fatica e si avvicinò zoppicando al bar. Prese il bicchiere che Tchaka gli offriva, ne tracannò d’un fiato il contenuto, si asciugò la bocca con una manica logora, e infine disse: — Grazie — con una voce che pareva molto più giovane di lui. Doveva esser stato vigoroso, ai suoi tempi, e ancora adesso sembrava più sofferente che non logorato dagli anni.

— Sei il benvenuto — gli disse Lane, chinandosi sul banco con la speranza che il Mufti tornasse a scorgere la lucertola di Tchaka. — Come ti chiami, vecchio?

— Non lo so di preciso — rispose l’altro. — Mi chiamano Marinaio da talmente tanto tempo che ho scordato il mio vero nome.

— Perché ti chiamano Marinaio? — gli chiese Lane.

— Per via della Ballata del vecchio marinaio.

— Non vedo il rapporto.

— Acqua, acqua ovunque, e non una goccia da bere - citò il vecchio. — Solo che per me non si tratta di acqua ma di pianeti. Milioni di mondi, verdi, rossi, azzurri, deserti e oceani e foreste e montagne così alte che non se ne può vedere la cima nemmeno nelle giornate limpide. Li ho visti tutti, su molti sono stato un pioniere che ha aperto agli altri la strada della colonizzazione. Ma non ho mai potuto fermarmi su nessuno per più di un mese al massimo. Pensavo sempre che ne esistesse un altro più bello intorno alla stella più vicina, e non potevo mai far a meno di andarlo a cercare. Pianeti dappertutto, un miliardo di mondi disponibili, e nessuno adatto a me. E così ho finito con l’arenarmi qui, troppo vecchio e malandato per tornare in uno di quei paradisi da cui sono fuggito.

— È stato il Marinaio a scoprire Punto Nord — spiegò Tchaka versando ancora da bere al vecchio.

— È vero — confermò il Marinaio. — Settantadue anni fa. Devo ammettere che non è stata una delle mie migliori conquiste. Ho dato io il nome sia al pianeta sia a questa città, e solo quando mi ci sono arenato ho capito che non avrei potuto scegliere un nome migliore.

— Scommetto che avrete visto un milione di cose, ai vostri tempi — disse Lane.

— Già.

— Mai visto niente che fosse riuscito a sfuggire a un buco nero?

Il Marinaio guardò Tchaka. — È per questo che mi hai chiamato? Per prendermi in giro?

— No, Marinaio, non è per questo. Volevamo solo che tu ci raccontassi qualcosa — rispose Tchaka.

— A proposito dei buchi neri — precisò Lane.

Il vecchio li scrutò a lungo, poi alzò le spalle, porse il bicchiere perché tornassero a riempirglielo, e infine cominciò a parlare.

— È successo trentasette anni fa. A quel tempo lavoravo come cartografo per il governo. Tracciavo le mappe dei nuovi pianeti abitabili. Ero appena partito da Nuovo Kenia, che poi non risultò tanto abitabile, anche se non fu colpa mia. Come potevo prevedere le eruzioni vulcaniche e i terremoti che uccisero quasi mezzo milione di persone? Bene, siccome ero incaricato di cercare un altro pianeta, mi diressi verso il settore Terrazane, dove esistevano le condizioni adatte alla formazione di mondi dotati di aria e acqua. C’erano un sacco di stelle di grandezza variabile da G2 a G8. Mai stato da quelle parti, Lane?

— No.

— C’è un sacco d’immondizia, da quelle parti — riprese il Marinaio. — Nubi di polvere talmente dense che nascondono per ore le stelle. Sì, proprio un mucchio di immondizia che se ne sta sospesa nello spazio e non è capace di condensarsi e formare qualche stella. Comunque fu proprio là che vidi per la prima volta lo Spazzastelle.