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Ellery Queen

Il paese del maleficio

Parte prima

I

Il signor Queen scopre l’America

Ellery Queen stava immerso nei bagagli fino alle ginocchia, sulla banchina della stazione di Wrightsville, e pensava: “Mi par di essere un ammiraglio: l’ammiraglio Colombo”.

La stazione era poco più di una baracca in mattoni rosso scuro. Su una carriola di ferro arrugginito, due ragazzini in tuta blu fissavano il viaggiatore con lo sguardo assente, masticando gomma all’unisono. Sulla ghiaia del piazzale vari cavalli avevano lasciato i loro ricordi. In lontananza il signor Queen scorse alcuni edifici di una certa imponenza. In quella parte era la città propriamente detta. Dal lato opposto della stazione c’erano soltanto magazzini. Il resto era tutto bosco.

“La campagna è sempre bella, perdinci” mormorava il signor Queen con entusiasmo. “Verde e gialla. I colori della paglia. E il cielo è di un azzurro inverosimile e le nubi sono d’un bianco inverosimile. Da una parte la città e dall’altra la campagna; e qui s’incontrano, qui dove la stazione di Wrightsville sembra, per così dire, volgere le spalle al ventesimo secolo. Sì, Ellery, hai trovato quello che cercavi. Facchinooo!…”

Nessuno dei tre alberghi della città era in grado di offrire al forestiero una camera anche modesta. C’era un’insolita affluenza di forestieri a Wrightsville e l’ultima stanza disponibile all’albergo Hollis fu soffiata sotto il naso del signor Queen da un signore maestoso che aveva l’impronta inconfondibile del funzionario governativo. Senza scoraggiarsi il signor Queen depositò le valige all’albergo Hollis, fece colazione in un ristorante vicino e lesse una copia del Wrightsville Record…, editore e direttore Frank Lloyd. Imparò a memoria i nomi menzionati nel Record che sembravano avere una certa importanza locale, comperò due pacchetti di sigarette, nonché una pianta della città, poi s’incamminò attraverso la piazza sotto il sole cocente.

Al centro della piazza, il signor Queen si fermò per ammirare la statua di Jezreel Wright che aveva fondato la città nell’anno 1701, quando era una riserva indiana abbandonata, aveva pavimentato le strade, avviato una fattoria e prosperato. Parve al signor Queen che le finestre della Wrightsville National Bank (John F. Wright, presidente) gli sorridessero; il signor Queen ricambiò il sorriso.

Poi fece un giro intorno alla piazza (che era rotonda), sbirciò nelle vetrine di varie botteghe tra le quali la Farmacia Centrale, di proprietà di Myron Garback, e osservò le strade che si dipartivano a raggera dalla piazza. All’imbocco di un ampio corso troneggiavano l’edificio rosso del Municipio e la Biblioteca Carnegie, mentre in lontananza si scorgevano gli alberi di un parco. C’era poi una strada fiancheggiata di botteghe, affollata di donne in abiti dimessi e di uomini in tenuta da lavoro. Per quella strada s’incamminò il signor Queen e vi trovò l’ufficio del Record; dalla via si scorgeva la grossa rotativa che il vecchio Phinny Baker era intento a lustrare, dopo la tiratura del giornale del mattino. C’erano poi i grandi magazzini, il nuovo ufficio postale, il Teatro Bijou e l’Agenzia Immobiliare J. C. Pettigrew. Ellery entrò nella Cremeria Al Brown, prese un gelato e ascoltò le chiacchiere di un gruppetto di studenti.

Il signor Queen continuò le sue esplorazioni in città. Gli piacque l’aquila impagliata che troneggiava nel vestibolo della Biblioteca Carnegie e gli piacque persino la signorina Aikin, la vecchia bibliotecaria, che gli lanciò un’occhiataccia come per dirgli: «Se crede di potermi soffiare un libro sotto il naso, si sbaglia, giovanotto!». Gli piacquero le stradicciole tortuose del Low Village, l’Emporio Generale di Sidney Gotch dove comprò un pacchetto di tabacco da masticare tanto per avere la scusa di fiutare l’odore misto di caffè, di suole di gomma, d’aceto, di formaggio e di petrolio di cui era impregnata l’atmosfera del bottegone.

Sidney Gotch, proprietario dell’emporio, spiegò a Ellery Queen il mistero della scarsità degli alloggi. Alcuni stabilimenti, tra i quali un lanificio situato vicino al monumento ai caduti di Low Village, erano stati riaperti recentemente ed avevano ottenuto grosse ordinazioni per l’Esercito.

«Qui si lavora in pieno, caro signore» dichiarò Sidney. «Non mi meraviglio che non sia riuscito a trovare alloggio. Io ho dovuto ospitare uno zio e un cugino che vengono da Pittsburg!»

Insomma tutto piaceva al signor Queen. Guardò l’orologio sulla torre del municipio. Le due e mezzo. Sicché, non c’erano camere? A passo rapido rifece la Lower Main e si fermò soltanto quando ebbe raggiunto il negozio su cui spiccava l’insegna dell’Agenzia Immobiliare J. G. Pettigrew.

II

La Casa del Malaugurio

Il signor J. G. Pettigrew sonnecchiava coi piedi sulla scrivania quando il signor Queen entrò. Era tornato da poco dal pranzo settimanale della Camera di Commercio a Upham House, ed era gonfio di pollo arrosto, specialità di mamma Upham. Il signor Queen lo svegliò.

«Mi chiamo Smith» dichiarò il signor Queen. «Sono appena arrivato a Wrightsville e cerco una casetta ammobiliata da affittare mese per mese.»

«Lieto di conoscerla, signor Smith» rispose J. G., infilandosi la giacca da ufficio di gabardine. «Misericordia, che caldo! Una casetta ammobiliata, eh? Si vede che è forestiero. Casette ammobiliate non se ne trovano a Wrightsville, signor Smith.»

«Magari un appartamentino.»

«Peggio che peggio.» J. G. sbadigliò. «Mi pare che il caldo vada aumentando.»

«Pare anche a me» convenne Ellery.

Il signor Pettigrew si appoggiò all’indietro contro lo schienale della poltroncina girevole e, con uno stuzzicadenti d’avorio, tolse un frammento di pollo che aveva tra i denti, poi l’esaminò con attenzione.

«Il problema degli alloggi è grave. Sissignore. La gente affluisce in questa città di continuo. Molti vengono a lavorare negli stabilimenti. Aspetti un minuto!» Il signor Queen aspettò, mentre J. G. toglieva delicatamente dallo stuzzicadenti il frammento di pollo. «Signor Smith, lei è superstizioso?»

Queen lo guardò allarmato.

«Veramente no.»

«In tal caso…» cominciò J. G. rischiarandosi in volto, ma si fermò. «Che mestiere fa? Non che questo cambi molto le cose, ma…»

Ellery esitò un attimo.

«Sono uno scrittore.»

Pettigrew spalancò gli occhi.

«Scrive novelle?»

«Precisamente… novelle, libri e così via…»

«Guarda, guarda» fece J. G. sorridendo. «Onoratissimo di conoscerla, signor Smith. Smith… strano, io leggo molto, ma non mi sembra d’aver mai visto… Com’è il suo nome di battesimo, signor Smith?»

«Ellery. Ellery Smith.»

«Ellery Smith» ripeté J. G. meditabondo.

Il signor Queen sorrise.

«Scrivo sotto uno pseudonimo.»

«Ah, sotto uno pseudonimo?» insistette il signor Pettigrew; poi, vedendo che il signor Smith continuava a sorridere, si stropicciò il mento e soggiunse: «Immagino che sia in grado di dare referenze».

«Spero che il pagamento anticipato di un trimestre d’affitto basti a conquistarmi una buona reputazione a Wrightsville, signor Pettigrew.»

«Senza dubbio» rispose J. G. sogghignando. «Venga con me, signor Smith. Ho proprio la casa che fa al caso suo.»

«Perché mi ha domandato se sono superstizio so?» chiese Ellery mentre salivano sulla utilitaria verde di J. G. «Si tratta forse di una casa stregata?»

«Ehm… no. Ma corrono strane voci su quella casa… voci che potrebbero darle un’idea per uno dei suoi romanzi. È una villetta sulla collina, proprio accanto all’abitazione di John F. Wright, presidente della Wrightsville National Bank. I Wright sono la più antica famiglia della città. Ebbene signor Smith: tre anni or sono, una delle tre figlie di John… la seconda, Nora… si fidanzò con un certo Jim Haight che era cassiere nella banca di John F. Wright. Haight non era nativo del luogo… era venuto a Wright da New York due anni prima, con ottime raccomandazioni. Aveva cominciato come vice-cassiere e stava facendo carriera. Pareva un bravo ragazzo; evitava le cattive compagnie, frequentava la biblioteca e si divertiva poco. Era simpatico a tutti.»