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«Che cosa devo guardare?» domandò Ellery, perplesso. «Non vedo nulla. È ancora presto perché i clienti di Carlatti si facciano vedere.»

«Giudicando da quell’automobile, almeno un cliente c’è» mormorò Pat un po’ pallida.

«Sembrerebbe…» cominciò Ellery, accigliato.

«Sì, è proprio quella.»

Entrarono nel locale. Nella prima stanza c’era soltanto un barista che sbadigliava. I due giovani ordinarono un liquore, ma, invece di bere, Ellery si avviò verso la seconda stanza. Era la sala da gioco. Sopra una sedia, vicino all’orologio, giaceva riverso Jim Haight, col capo appoggiato al piano del tavolino. Un uomo grande e grosso, che stringeva tra i denti un sigaro spento, si voltò verso Ellery, poi tornò a parlare al telefono:

«Sì; ho detto la signora Haight, scema. Le dica che è Vic Carlatti.» La “scema”, pensò Ellery, doveva essere Alberta. «La signora Haight?» continuò Carlatti. «No, non c’è errore: sono Carlatti dell’” Allegro Inferno”… sì, è per il signor Haight… no, aspetti un momento. Suo marito è cotto, cotto morto… voglio dire ubriaco… ma non se la prenda, signora Haight; il suo vecchio sta benone. Ha bevuto un paio di bicchierini di troppo, ed è crollato. Che cosa ne faccio dei miseri resti?»

«Un momento, prego» fece Ellery. Carlatti voltò lentamente la sua grossa testa e guardò Ellery dall’alto in basso. Ellery parlò freddamente: «Ho detto di aspettare un momento; mi lasci parlare con la signora Haight». Prese il ricevitore dalle mani pelose dell’uomo. «Nora? Parla Ellery Smith.»

«Ellery!» Nora era fuori di sé. «Ma che cos’è accaduto a Jim? Come sta? Come mai lei…?»

«Stia calma, Nora; io e Pat passavamo davanti al locale di Carlatti, e abbiamo visto la macchina di Jim. Non è accaduto niente. Ha bevuto un po’ troppo.»

«Vengo subito; prendo il tassì della stazione…»

«Non vale la pena. Io e Pat lo porteremo a casa tra mezz’ora. Ma non si preoccupi, inteso?»

«Grazie» mormorò Nora, e riappese il ricevitore.

Ellery riappese a sua volta, e andò verso Pat che, china su Jim, cercava di scuoterlo.

«È inutile, bambola» mugolò Carlatti. «È completamente andato.»

«Dovrebbe vergognarsi d’averlo fatto ubriacare così!»

«Non se la prenda, bellezza. È venuto qua di sua volontà, ed io ho la licenza per vendere liquori; se lui vuol comprare, può comprare; adesso fuori dai piedi.»

«Come faceva a sapere chi era?» domandò Pat, fremente d’indignazione.

«Era già stato qui altre volte, e poi l’ho anche perquisito. E tu, puttanella, non fare quella faccia! E poi voi due mi avete già stancato, per cui, filate! Aria!»

«Voglia scusare» disse Ellery con calma.

Il giovane si diresse verso Carlatti e gli schiacciò con violenza un piede. L’uomo diede un gemito di dolore e portò la mano alla parte posteriore dei pantaloni. Ellery allora gli allungò un pugno al mento. Carlatti barcollò all’indietro ed Ellery lo colpì al ventre con un altro pugno. Carlatti cadde sul pavimento lamentandosi, e stringendosi il ventre con entrambe le mani.

«Questo con i ringraziamenti della puttanella» dichiarò Ellery e, buttatosi Jim sulle spalle come un sacco, lo portò fuori dal locale, seguito da Pat.

Nell’automobile, col vento freddo che gli batteva sul viso, Jim si riprese un po’ e aprì gli occhi, fissando i due stupidamente.

«Jim, perché hai fatto una cosa simile?» domandò Pat con voce rotta. «Nel pomeriggio, quando avresti dovuto essere in banca!»

Jim sprofondò ancor più nel sedile, borbottando qualcosa d’incomprensibile.

«Non capisce niente» osservò Ellery.

Il giovane aveva una ruga profonda tra le sopracciglia. Dallo specchietto retrovisivo vedeva un’automobile che li stava raggiungendo rapidamente: era l’automobile di Carter Bradford. Anche Pat se ne accorse, e si voltò di scatto. Ellery rallentò per lasciar passare la macchina, ma Bradford non passò. Si avvicinò al margine della strada e suonò il clacson. Un vecchio magro e alto, con dei lineamenti tipicamente americani, sedeva accanto a lui. Obbediente, Ellery fermò a sua volta la macchina al margine della strada.

«Oh, salve, Carter!» esclamò Pat con voce sorpresa. «E anche il signor Dakin! Ellery, le presento il signor Dakin, capo della polizia di Wrightsville.»

«Piacere, signor Smith» disse Dakin.

«C’è qualcosa che non va?» domandò Carter Bradford un po’ imbarazzato. «Mi pare che Jim sia…»

«Sei straordinariamente efficiente, Carter» fece Pat calorosamente. «Un lavoro degno dell’ufficio federale, vero, Ellery? Il Procuratore Distrettuale e il capo della polizia…»

«Va tutto bene, grazie» intervenne Ellery.

«Nulla di meglio che un pizzico di bicarbonato di soda e una buona dormita per guarirlo» osservò Dakin seccamente. «Era da Carlatti?»

«Appunto; e ora se non vi dispiace, signori» disse Ellery rapidamente «il signor Haight avrebbe bisogno di andare a letto, molto bisogno.»

«Pensavo di telefonarti, Pat… e se posso esserti utile in qualcosa…» Carter era rosso come un peperone.

Jim si mosse, e i suoi occhi vitrei passarono da Pat a Ellery.

«Jim, come ti senti?» domandò la ragazza con voce severa.

Gli occhi di Jim erano sempre inespressivi, ma per un istante vi brillò una luce che diede a Pat un brivido di paura.

«Stia calmo, ora, Jim» mormorò Ellery in tono carezzevole. «Cerchi di dormire.»

Jim tornò a guardare i presenti senza riconoscerli. Poi il suo mormorio divenne intelligibile:

«Moglie, maledetta moglie; oh, accidenti; maledetta moglie…»

«Jim!» esclamò Pat. «Andiamo a casa, Ellery!»

Il giovane lasciò rapidamente andare il freno, ma Jim alzò la voce. Le sue guance pallide erano diventate quasi scarlatte.

«Liberarmene!» urlò. «Aspettate e vedrete; mi libererò di quella carogna! La ucciderò, quella disgraziata!»

Il capo della polizia strabuzzò gli occhi; Carter Bradford assunse un’aria estremamente sorpresa, e aprì la bocca per dire qualcosa. Ma Pat con uno strattone rimandò Jim sul sedile, ed Ellery avviò il motore, piantando in asso l’automobile di Bradford. Jim cominciò a singhiozzare; poi, pian piano, tornò ad addormentarsi.

«Ha sentito che cos’ha detto, Ellery? Ha sentito, vero?» domandò Pat con voce rotta.

«Non sa quel che dice.» Ellery premette un po’ più forte sull’acceleratore.

«Allora è vero» gemette Pat. «Le lettere… Rosemary… Ellery. Le assicuro che Jim e Rosemary stanno facendo una commedia! Hanno intenzione di… di… e Carter e il capo della polizia l’hanno sentito!»

«Pat» fece Ellery, con gli occhi fissi sulla strada. «È un po’ di tempo che desidero chiederlo, ma… Nora possiede un patrimonio proprio?»

Pat s’inumidì le labbra lentamente.

«No… No. Non può essere… Non può essere…»

«Dunque ha un patrimonio proprio.»

«Sì» mormorò la ragazza. «L’ha ereditato dal nonno. Il padre di papà. Quando s’è sposata, Nora è venuta automaticamente in possesso del patrimonio che rimaneva in deposito nell’eventualità delle sue nozze. Il nonno Wright morì poco dopo la fuga di Lola con quell’attore, e la diseredò. Per questo l’eredità è divisa in due, tra Nora e me. Semmai mi sposerò, anch’io…»

«Quanto ha ereditato Nora?» domandò Ellery, lanciando un’occhiata a Jim. Ma il giovane dormiva profondamente.

«Non lo so. Però una volta papà ha detto che io e Nora, per quanto facessimo, non saremmo mai riuscite a spendere tutto quel denaro. Oh, Dio…!»

«Se si mette a piangere» dichiarò Ellery cupamente «la butto fuori dalla macchina. È un segreto, questa eredità sua e di Nora?»