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Il giudice Newbold si diresse verso il suo spogliatoio.

«Questo» disse il signor Queen mentre aspettava «capita quando non si tengono richiusi i giurati. Capita anche» soggiunse, fissando la signorina Patricia Wright «quando i ragazzini senza cervello s’impicciano degli affari dei grandi.»

«Ma Patty, come hai potuto?» singhiozzò Hermione. «Con quell’impossibile Ketcham! Ti avevo avvertita che avrebbe fatto delle avances spiacevoli se tu l’avessi incoraggiato. Ti ricordi, John, come tormentava Patty perché…?

«Me lo ricordo!» esclamò John, fuori dalla grazia di Dio. «E ricordo anche dove si trova il battipanni!»

«Sentite un po’» intervenne Pat a bassa voce. «Jim correva un grave pericolo, non è vero? Io allora mi sono lavorata quel ciccione di Bill, che ha tentato un paio di volte di mettermi le mani addosso… Avanti, continuate a guardarmi come se fossi una donnaccia!» Patricia cominciò a piangere. «In ogni caso, io ho fatto qualcosa che voi non siete stati capaci di fare… ve ne accorgerete in seguito!»

«È vero» convenne Ellery. «In questo processo Jim sarebbe stato senz’altro giudicato colpevole.»

«Se solo…» cominciò Nora col viso pallido, illuminato da un’immensa speranza. «Oh, Patty: sei una pazzerella, ma ti voglio tanto bene!»

«E Carter è diventato tutto rosso» balbettò Pat fra le lacrime. «Crede di essere così in gamba…»

«Sì» le fece notare il signor Queen. «Ma guardi il giudice Martin.»

Eli Martin si accostò a Pat.

«Patricia, tu mi hai messo in una delle più imbarazzanti posizioni della mia carriera. A me non importa, come non m’importa l’aspetto morale della tua condotta; però ti avverto che, nonostante quel che dirà il giudice Newbold, tutti capiranno che l’hai fatto apposta, e questo può forse ricadere su Jim…»

«Immagino che quei graffiacarte di vecchi avvocati debbano sempre fare i pignoli» dichiarò Lola. «Ma non prendertela, mocciosina; in ogni caso sei riuscita a dare a Jim un po’ di fiato… e qualche migliore probabilità!»

Pochi minuti dopo, il giudice Newbold rientrò in aula, e con voce fredda e irritata annunziò che il processo veniva rimandato a nuovo ruolo.

V

Pasqua: il dono di Nora

La corte di giornalisti forestieri si ritirò, ripromettendosi di tornare per il nuovo processo, ma Wrightsville chiacchierò, spettegolò, malignò, finché perfino le orecchie del piccolo Budda di porcellana sulla toeletta di Pat fischiarono.

Bill Ketcham, per qualche curiosa ragione, divenne invece l’eroe della città.

Nora crollò improvvisamente. La domenica di Pasqua, proprio mentre la famiglia Wright ritornava dalla chiesa, si udirono delle strane risate provenire dalla sua camera da letto. Pat, che stava pettinandosi nella stanza accanto, allarmata dal suono curioso e innaturale delle risa di Nora, corse da lei e la trovò che si rotolava sul pavimento ridendo irrefrenabilmente, mentre il suo viso passava dal rosso porpora a un giallo grigiastro. Nei suoi occhi ardeva un’espressione cupa e selvaggia.

Fu chiamato il dottor Willoughby, che rimase in camera di Nora per un quarto d’ora. Quando uscì, disse con voce roca:

«Bisogna portarla all’ospedale. Provvedo io a tutto.»

Hermy si afferrò al braccio di John; Lola e Pat si strinsero l’una all’altra, ma nessuno riuscì a parlare.

Nell’ospedale di Wrightsville vi era poco personale, essendo il giorno di Pasqua e non vi erano camere private, ma il dottor Willoughby aveva fatto isolare un lettino con dei paraventi, e qui aveva messo Nora.

La famiglia non fu ammessa al suo capezzale. Dovettero rimanere tutti nella sala d’aspetto dell’atrio, una sala d’aspetto grande e vecchia che puzzava di disinfettante.

Nessuno parlava. Passò molto tempo. Poi tornò il dottor Willoughby, e tutti si strinsero intorno a lui.

«Non ho molto tempo» ansimò il medico. «Ascoltatemi: Nora è di costituzione delicata. È sempre stata molto nervosa. Ed ora le preoccupazioni, le pene che ha dovuto sopportare… i tentativi di avvelenamento, la vigilia di capo d’anno, il processo… è molto, molto debole, molto abbattuta…»

«Che cosa stai cercando di dirci, Milo?» domandò John, stringendo forte il braccio del suo amico.

«John, Nora è in condizioni molto gravi. Non posso nasconderlo a te e ad Hermy. È una creatura ammalata.»

Il dottor Willoughby si voltò come per correre via.

«Milo, aspetta. E… e… il bambino?»

«Sta per averlo, Hermy. Dobbiamo operare.»

«Ma se sono poco più di sei mesi…»

«Sì» mormorò il dottor Willoughby faticosamente. «È meglio che aspettiate qui. Devo andare a prepararmi.»

«Milo» disse John. «Qualsiasi cosa sia necessaria… per Nora… Voglio dire: chiama chi vuoi… il migliore…»

«Siamo fortunati, John. Henry Gropper è a Slocum, in visita presso alcuni parenti. È stato un mio compagno d’università. Il migliore ginecologo della costa orientale. L’ho fatto chiamare. Sta arrivando.»

«Milo» gemette Hermy.

Ma il dottor Willoughby se n’era già andato. Riprese l’attesa nella camera silenziosa, mentre fuori brillava il sole, e i primi fiori pasquali spandevano un dolce profumo. John si sedette accanto alla moglie e le prese la mano. Rimasero immobili a fissare le lancette dell’orologio sulla parete. I secondi passavano, diventavano minuti e ore. Lola voltava di tanto in tanto le pagine di una rivista.

«Pat, venga qui» chiamò Ellery.

«Dove?» La ragazza stava lottando con le lacrime.

«Vicino alla finestra, lontano dai suoi» mormorò il giovane.

Pat raggiunse Ellery nell’angolo più lontano della stanza. La ragazza si sedette sopra una poltrona accanto alla finestra e guardò fuori. Ellery Queen le diede una sigaretta, poi le prese la mano.

«Parli.»

«Oh, Ellery!»

«Lo so» assentì l’investigatore con dolcezza «ma parli ugualmente. Dica qualsiasi cosa: le farà bene.»

«Parlare…» la voce di Pat era amara. Aveva gli occhi pieni di lacrime. «Perché no? Ma sono così confusa. Nora è là… il suo bambino sta per nascere… e Jim è in prigione a pochi passi da qui. Guardi papà e mamma in quell’angolo: stanno seduti come due vecchi… Ellery, sono vecchi.»

«Sì, Patty» mormorò Ellery.

«Pensare che eravamo tanto felici, prima. Se io e Nora non avessimo deciso di arredare il nuovo studio di Jim… se io non avessi aperto quella cassa di libri!»

«Quale cassa di libri?» domandò Ellery sorpreso.

«L’avevo portata di sopra io stessa. Quando la roba di Jim era arrivata da New York, l’avevamo messa tutta in cantina. Pensi… se io non avessi aperto quella cassa? Se non avessi trovato, non so, il martello o il cacciavite… se avessi aspettato una settimana, un giorno, anche solo un’altra ora… Ellery, ma che cosa c’è?»

Il signor Queen era in piedi, immobile, col volto contratto. E sembrava la statua dell’ira.

«Lei mi sta dicendo» sibilò con calma minacciosa «che quei libri, quelli che Nora ha lasciato cadere, non facevano parte della collezione che stava sullo scaffale del salotto?» Scrollò la ragazza con violenza, e Pat fece una piccola smorfia di dolore. «Pat, risponda. È sicura che quella cassa veniva dalla cantina?»

«Naturalmente, ne sono sicurissima» rispose Pat, tremante. «Che cosa le succede? Era una cassa inchiodata; l’ho aperta io stessa. E pochi minuti prima che lei arrivasse, ho riportato la cassa vuota in cantina insieme con gli arnesi e a una quantità di chiodi storti.»

«È… fantastico» sospirò Ellery, e si lasciò cadere pesantemente sopra una seggiola. Pat era sbalordita.