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«Crisi isterica? Mio caro Bradford, quella fu una delle più superbe commedie di Nora! Finse semplicemente di credere che io le avessi già parlato delle lettere! In questo modo riuscì ad informarvi che le lettere esistevano e potevano essere trovate. Fu… fu terribile. Ma finché non seppi che Nora era la vera colpevole tutto questo non ebbe alcun significato per me.»

«C’è dell’altro, Ellery?» domandò Pat, con voce tremante.

«Pat, è sicura… mi sembra che…»

«Che cosa c’è, ancora?»

«Jim. Lui solo sapeva per certo la verità… sebbene forse Roberta Roberts l’avesse immaginata. Jim sapeva di non aver avvelenato quel cocktail, quindi doveva immaginare per forza che soltanto Nora poteva averlo fatto. Eppure Jim non pronunciò parola. Non vi ho detto poco fa che quel disgraziato ragazzo aveva una ragione sublime per martirizzarsi, come ha fatto? Era la sua penitenza, la punizione che si era imposta. Perché Jim sapeva di essere il vero responsabile della tragica rovina della vita di Nora… Sapeva che, per colpa sua, Nora era diventata un’assassina. Per questo accettò il processo e la condanna ed era pronto ad accettare la morte in silenzio… Però… Jim non riusciva a guardare sua moglie. Ricordate in tribunale? Non guardò Nora nemmeno una volta. Non riusciva ad alzare gli occhi su di lei. Rifiutò poi d’incontrarla, di parlarle, di vederla, prima, durante e dopo. Sarebbe stato troppo… perché, dopotutto, Nora aveva…» Ellery s’alzò. «Credo di non aver altro da dire.»

Pat levò gli occhi su Cart e parve sul punto di completare il discorso di Ellery.

«No» disse Cart. «Per favore non parlare. Non voglio sentir nulla.»

«Ma Cart, tu non sai che cosa stavo per dire…»

«Lo so benissimo! ed è un insulto!»

«Veramente…» cominciò il signor Queen…

«Se tu pensi» riprese Cart con voce dura «se tu pensi che io sia il tipo di mascalzone che sbandiera in pubblico una storia simile per l’edificazione e la letizia di tutte le Emmy Du Pré di Wrightsville, solo per un malinteso senso del dovere, allora non sei la donna che voglio sposare, Pat!»

«Non potrei sposarti comunque, Cart» fece Pat parlando a fatica. «Non potrei sposarti, sapendo ormai che Nora… che mia sorella si è macchiata di…»

«Ma non era responsabile delle sue azioni! Era ammalata! Queen, cerchi di far ragionare questa ragazza. Ascoltami, Pat, se tu conti di comportarti così, se insisti in questo stupido atteggiamento… ti pianto, ecco, non voglio più saperne di te.» Si alzò con un gesto brusco, fece alzare la ragazza e se la strinse forte al petto. «Patty cara, non è per Nora, non è per Jim, non per tuo padre, né per tua madre, né per Lola e non è nemmeno per te che parlo così… non credere che io non sia stato all’ospedale… Ci sono stato, varie volte. Ho visto la bambina di Nora subito dopo che l’hanno tirata fuori dall’incubatrice. Mi ha guardato facendomi dei versini buffi, poi si è messa a piangere con tutte le sue forze e ora… accidenti, Pat, noi ci sposeremo non appena le convenienze lo permetteranno. Porteremo questo maledetto segreto nella tomba con noi, e adotteremo la piccola Nora in modo che tutta questa dannata faccenda sembri la trama di un romanzo d’appendice. Ecco che cosa faremo!»

«Cart» mormorò Pat. Poi chiuse gli occhi e appoggiò la guancia sulla spalla del giovane.

Quando il signor Ellery Queen uscì dalla saletta interna della taverna, aveva un sorriso sulle labbra.

Fece scivolare un biglietto da venti dollari sul banco di Gus Olensen e disse:

«Domandi a quei due innamorati di là che cosa vogliono ancora bere… Il resto se lo tenga. Addio, Gus. Devo prendere il treno per New York.»

Gus fissò sbalordito il biglietto di banca.

«Ma non sto sognando, vero? Lei non è Babbo Natale…»

«Non esattamente, sebbene abbia regalato da poco, a due persone, un bamboccio di quasi quattro chili.»

«Ma, che significa?» domandò Gus. «C’è qualche specie di festa?»

«Naturalmente! Non lo sa, Gus? Oggi è la festa delle mamme!»

FINE