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Il signor Queen si persuase di essersi lasciato influenzare dalla fantasia e concluse che il malaugurio, se mai c’era stato, era sepolto definitivamente. Poiché la realtà si rifiutava di cooperare, Ellery cominciò a far progetti per inventare il delitto da introdurre nel romanzo.

Il 29 ottobre venne e passò. La mattina del 30, il signor Queen fu visto entrare nell’albergo Hollis, dare un’occhiata a un giornale di New York e metterlo da parte con una scrollata di spalle.

Il 31 fu la solita mascherata della vigilia d’Ognissanti. Le strade della città furono invase da gnomi in costume coi visi pitturati. Nelle famiglie dove c’erano ragazzi, le sorelle maggiori lamentavano la scomparsa dei loro cosmetici e parecchi gnomi si coricarono col sederino arrossato. Tutto ciò ispirava un sentimento misto di gaiezza e di nostalgia. Il signor Queen, mentre passeggiava nei dintorni di casa Wright, avrebbe voluto essere ancora ragazzo per partecipare alla gazzarra della città.

Mentre rincasava, vide che la casa dei coniugi Haight era illuminata e impulsivamente andò a suonare il campanello.

Patricia aprì la porta.

«Credevo che fosse fuggito» disse. «Non la si vede più. Nora, c’è il celebre scrittore.»

«Avanti, avanti!» gridò Nora dalla stanza di soggiorno.

Ellery la trovò con un mucchio di libri tra le braccia. Tentava di raccoglierne ancora qualcuno dalle pile che erano per terra.

«Lasciate che vi aiuti» disse Ellery.

«No, no, lei stia a guardare» protestò Nora e salì le scale.

«Stiamo trasformando una camera del primo piano in uno studio per Jim» disse Pat.

La ragazza stava raccogliendo libri da terra ed Ellery esaminava distrattamente qualche titolo, quando Nora ridiscese a prendere altri libri.

«Dov’è Jim, Nora?» chiese Ellery.

«In banca» rispose Nora, chinandosi. «Aveva una terribile riunione di direttori…»

In quel momento un libro cadde dalla pila che la sposina teneva sulle braccia, poi un altro e un altro ancora finché quasi tutti tornarono a terra.

«Oh, guarda Nora, delle lettere!» esclamò Pat.

«Delle lettere? Dove? Ah, eccole qua!»

Da uno dei volumi che erano caduti dalle braccia di Nora — un grosso libro ricoperto di tela marrone — erano scivolate fuori tre buste. Nora le raccolse curiosa. Non erano chiuse.

«Non sono che tre miserabili buste» disse Pat. «Continuiamo con questi libri, altrimenti non termineremo mai, Nora.»

Nora aggrottò la fronte.

«C’è qualcosa dentro, Pat. Questi sono libri di Jim. Vorrei sapere se…»

Nora aprì le buste, trasse un foglio da ciascuna, lo lisciò e lo lesse lentamente.

«Che cosa c’è, Nora?» domandò il signor Queen.

«Non… non capisco» disse Nora debolmente, mentre tornava a infilare i fogli nelle buste. Il suo viso aveva un pallore grigiastro. Pat e Ellery si guardarono perplessi.

«Bum…!»

Nora girò su se stessa con un grido. Sulla soglia c’era un uomo che portava una grossa maschera di cartapesta, le sue dita si aprivano e si chiudevano con gesto famelico di fronte al suo viso fantastico. Nora roteò gli occhi finché si vide solo il bianco, poi si accasciò sul pavimento sempre stringendo le tre buste con gesto convulso.

«Nora!» Jim si strappò la ridicola maschera. «Nora, io non volevo…»

«Jim, idiota!» ansimò Pat inginocchiandosi presso il corpo immobile di Nora. «Guarda che bello scherzo! Nora cara!… Nora!»

«Fatti in là, Pat» ordinò Jim con voce rauca. Afferrò il corpo abbandonato di Nora e lo portò su per le scale quasi correndo.

«È solo uno svenimento» disse Ellery mentre Pat s’incamminava in fretta verso la cucina. Un momento dopo entrambi raggiungevano gli sposi nella loro camera.

Trovarono Nora sul letto in preda a una crisi isterica, mentre Jim si torceva le mani gemendo e maledicendosi. Ellery scostò Jim e appoggiò il bicchiere contro le labbra bluastre di Nora. La donna tentò di respingerlo. Ellery allora la schiaffeggiò con violenza. Nora diede un grido ma bevve l’acqua a fatica tossendo e soffocando. Poi ricadde sul cuscino coprendosi il viso con le mani.

«Andatevene, andatevene» singhiozzò.

«Nora, stai bene ora?» chiese Pat ansiosamente.

«Sì, ma lasciatemi sola, ve ne prego!»

«Andatevene, per favore» disse Jim.

Nora lasciò ricadere le mani. Il suo viso era gonfio e segnato.

«Vattene anche tu, Jim.»

Lo sposino era sconcertato. Pat lo condusse fuori con fermezza. Ellery chiuse la porta della camera da letto, accigliato, e tutti e tre scesero a pianterreno. Jim si diresse al mobile-bar, si versò un whisky liscio e lo bevve in un sorso, con un gesto disperato.

«Sai bene com’è nervosa Nora» protestò Pat con aria di disapprovazione. «Se non avessi bevuto tanto questa sera…»

«Chi è sbronzo?» chiese Jim cupo. «Non andrai a dire a Nora che ho bevuto, spero!»

«Va bene, Jim» promise Pat con voce pacata.

Rimasero in attesa, nervosi e perplessi. Improvvisamente riapparve Nora.

«Nora ti senti meglio?» gridò Pat.

«Sciocchezze.» La giovane sposa scese le scale sorridendo. «Signor Smith, la prego di scusarmi. È stato uno spavento improvviso.» Jim la strinse tra le braccia. «Dimenticatene, caro» mormorò Nora.

Tutte e tre le buste erano scomparse.

VIII

Ognissanti — Lettere scarlatte

Quando Jim e Nora si trovarono sotto il portico dopo cena, Nora era allegrissima.

«Pat mi ha parlato di quella stupida maschera, Jim» disse Hermy con un lieve accento di rimprovero. «Nora, sei certa di star bene?»

«Naturalmente, mamma, quante storie per un po’ di spavento!»

John studiava suo genero con aria perplessa. Jim sembrava un poco a disagio, un vago sorriso gli aleggiava sulle labbra.

«Dov’è Carter, Pat?» domandò Hermy. «Non doveva venire anche lui al municipio, questa sera?»

«Ho il mal di testa, mamma. Ho telefonato a Carter per dirgli che andavo a letto. Buona notte!» esclamò Pat e rientrò rapidamente in casa.

«Venga con noi, Smith» disse John. «C’è un buon conferenziere questa sera. Un corrispondente di guerra.»

«Grazie, signor Wright, ma devo lavorare al mio romanzo. Divertitevi!»

Non appena la nuova automobile di Jim s’avviò lentamente giù per la collina, il signor Ellery Queen lasciò il portico di casa Wright, attraversò silenziosamente il prato illuminato da una luna piena che sembrava una zucca. Fece il giro della casa di Nora ispezionando le finestre. Tutto era buio. Dunque Alberta se ne era andata. Ellery aprì la porta della cucina con una chiave universale, la richiuse alle sue spalle, e illuminandosi la via con una lampada tascabile, salì ai piani superiori. Sul pianerottolo si fermò accigliato. Dalla porta della camera da letto di Nora filtrava una sottile striscia di luce. Il signor Queen tese le orecchie. Nell’interno qualcuno apriva e chiudeva cassetti con precauzione. Un ladro? Un altro scherzo della vigilia di Ognissanti? Stringendo la lampada tascabile come un bastone, Ellery aprì la porta con un calcio. Patricia Wright balzò in piedi con un grido.

«Buona sera» disse affabile il signor Queen.

«Verme!» ansimò Pat. «Ho creduto di morire di paura! Almeno io ho una scusa, per spiare in casa di Nora: sono sua sorella! Ma lei… lei è un semplice ficcanaso, signor Ellery Queen