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Ci piazzò dove avremmo potuto vedere tutto benissimo pur restando fuori tiro dei proiettili.

Non ci sfuggì la presenza di altri gruppi di turisti che si appostavano lì vicino. Vidi un uomo che era inequivocabilmente Jeff Monroe, insieme a una comitiva; un’altra era radunata intorno a un individuo della sua stessa taglia che però portava occhiali cerchiati di metallo e aveva una voglia di vino su una guancia. Con molto impegno cercammo di non guardare quei turisti, i quali si sforzavano di non guardare noi.

Io ero preoccupato per il paradosso cumulativo. Avevo l’impressione che tutti quelli che sarebbero venuti su per la linea ad assistere all’assassinio di Huey Long fossero lì in quel momento… magari migliaia di persone, tutte accalcate lì, che si spintonavano per vedere meglio. Eppure ce n’erano solo poche decine: coloro che erano partiti dal 2059 e da periodi precedenti. Perché gli altri non c’erano? Il tempo era così fluido che lo stesso evento poteva essere ripetuto infinite volte, e ogni volta per un pubblico più numeroso?

— Eccolo — bisbigliò Jeff.

Il grande capo si diresse in fretta verso di noi, scortato dalla guardia del corpo. Era basso e grassoccio, con la faccia florida, il naso a patata, i capelli biondorossicci, le labbra carnose, il mento segnato da una profonda fossetta. Mi dissi che percepivo il potere di quell’uomo, e mi chiesi se non era un’illusione. Mentre si avvicinava si grattò la natica sinistra, disse qualcosa a un uomo che gli stava a lato, e tossì. L’abito era un po’ gualcito; i capelli erano scomposti.

Poiché eravamo stati catechizzati dal nostro Corriere, sapevamo dove guardare per vedere l’assassino. A un segnale mormorato da Jeff — non prima! girammo la testa e vedemmo il dottor Carl Austin Weiss che si staccava dalla folla, si accostava al senatore e gli puntava contro lo stomaco una pistola automatica calibro 22. Sparò un colpo. Huey, sbalordito, cadde riverso, ferito mortalmente. Le sue guardie del corpo estrassero immediatamente la pistola e uccisero l’assassino. Pozze lucenti di sangue cominciarono a formarsi sul pavimento; la gente urlava; le guardie del corpo, rosse in faccia, ci spinsero, ci presero a pugni, ci dissero di stare indietro, indietro, indietro!

Tutto lì. L’evento che eravamo venuti a vedere era concluso.

Era apparso irreale, una scena registrata di storia antica, una ricostruzione in tredì, abile ma non del tutto convincente. Eravamo impressionati dall’ingegnosità della procedura, ma non sconvolti dall’avvenimento.

Non ci era sembrato completamente vero neppure quando volavano le pallottole.

Eppure quei proiettili erano veri e se ci avessero colpiti saremmo morti sul serio.

E per i due uomini che giacevano sul pavimento lucido, era stato un avvenimento estremamente reale.

XVI

Prima che mi diplomassero Corriere temporale partecipai ad altre quattro missioni d’addestramento. Tutti i miei balzi furono compiuti nell’area di New Orleans.

Imparai a conoscere la storia di quell’area molto meglio di quanto avessi mai previsto.

Il terzo viaggio fu nel 1803, per l’acquisto della Louisiana. Ero l’unica recluta.

C’erano sette turisti. Il nostro Corriere era un ometto dalla faccia dura che si chiamava Sid Buonocore. Quando lo riferii a Sam, lui sghignazzò e disse: — Quel tipo viscido!

— E cos’ha di viscido?

— Prima faceva la rotta del Rinascimento. Poi la Pattuglia temporale l’ha beccato a fare da mezzano tra le turiste e Cesare Borgia. Le turiste lo pagavano bene, e anche Cesare. Buonocore ha sostenuto che non faceva altro che il suo dovere: assicurare alle donne delle sue comitive un’esperienza più approfondita del Rinascimento, capisci.

Ma l’hanno richiamato, assegnandolo all’acquisto della Louisiana.

— Un Corriere ha il dovere di sovrintendere alla vita sessuale dei suoi turisti? — domandai.

— No, ma non deve neppure incoraggiare la fornicazione transtemporale.

Per me, l’incoraggiatore di fornicazioni transtemporali era un simpatico briccone.

Buonocore era tutt’altro che bello, ma aveva un’aria di sessualità onnivora che non potevo fare ameno di ammirare. E la sua altissima considerazione per il proprio interesse era così ovvia da conferirgli un certo fascino rapace. Non si può applaudire un borsaiolo furtivo, ma si può acclamare un brigante dichiarato. Sid Buonocore era un tipo del genere.

Inoltre era un Corriere efficiente. Ci introdusse abilmente nella New Orleans del 1803 camuffati da commercianti olandesi in viaggio d’affari: fintanto che non incontravamo un olandese vero saremmo stati al sicuro, e la nostra etichetta «Olanda» mascherava le stranezze del nostro accento futuristico. Ci aggirammo per la città, scomodamente abbigliati con indumenti dell’inizio del secolo diciannovesimo, e Sid ci fece splendidamente da guida.

Nel contempo, come scoprii in fretta, svolgeva un fiorente commercio di dobloni d’oro e di pezzi da otto spagnoli. Non si prendeva il disturbo di nascondermelo ma neppure ne parlava, e io non sono mai riuscito a capire tutti i complicati dettagli dei suoi traffici. Forse approfittava del variare delle quotazioni. So soltanto che scambiava dollari d’argento degli Stati Uniti con ghinee d’oro britanniche, si serviva delle ghinee per comprare moneta argentea francese con grossi sconti, e di notte s’incontrava con i bucanieri dei Caraibi sulle rive del Mississippi per barattare l’argento francese con l’oro e l’argento spagnoli. Non ho mai saputo cosa se ne facesse dei dobloni e dei pezzi da otto, e non riuscivo a capire come facesse a guadagnarci. La mia ipotesi migliore era che stesse cercando di cambiare il maggior quantitativo possibile di moneta, per accumulare uno stock da vendere ai collezionisti giù per la linea: ma mi sembrava un’operazione troppo ingenua per uno del suo stampo. Lui non forniva spiegazioni, e io ero troppo timido per chiedergliele.

Era anche molto indaffarato in campo sessuale. Non è una cosa insolita, per un Corriere (— Le turiste sono selvaggina disponibile — diceva Sam. — Non vedono l’ora di venire a letto con noi. È un po’ come la storia del cacciatore bianco in Africa); ma Sid Buonocore non si limitava a sbattere le turiste affamate d’avventure: e lo scoprii presto.

Una notte, durante il viaggio nel 1803, avevo delle difficoltà per non so quale questione procedurale, e andai nella stanza da letto del Corriere per chiedergli delucidazioni. Bussai e lui disse «Avanti»; e così entrai, ma non era solo. Sul letto era distesa una ragazza dalla carnagione bruna e dai lunghi capelli neri: era nuda, scarmigliata e lucida di sudore. I seni erano duri e pesanti, e i capezzoli color cioccolata. — Scusami — dissi. — Non volevo disturbare. — Sid Buonocore rise. — Sciocchezze — replicò. — Per il momento abbiamo finito. Non ci hai interrotti.

Questa è Maria.

— Salve, Maria — dissi, incerto.

Lei ridacchiò, ebbra. Sid le parlò nel patois creolo e lei ridacchiò di nuovo. Si alzò dal letto nuda com’era, eseguì davanti a me un’elegante riverenza, e mormorò:

— Bon soir, m’sieu. — Poi cadde bocconi, come se fosse svenuta, dolcemente.

— È deliziosa, no? — disse Sid con fierezza. — Mezzo indiana, mezzo spagnola, mezzo francese. Bevi un po’ di rum.

Bevvi un sorso dalla borraccia che mi porgeva. — Sono troppe metà — osservai.

— Maria fa sempre le cose in grande.

— Lo vedo.

— L’ho conosciuta durante il mio ultimo viaggio qui. Regolo il tempo in modo molto accurato, per poterla avere un po’ ogni notte senza privare della sua compagnia gli altri me stesso. Voglio dire: non posso prevedere quante volte farò questo tragitto del cavolo, ma tanto vale che mi sistemi bene ogni volta che vado su per la linea.