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Rapidamente lui voltò la testa verso di lei. La luce della candela si rifletté sui suoi occhi, che luccicarono di una luce rossa, come quelli di un animale, e per un istante la collera contorse i suoi lineamenti aguzzi, tanto che pensai di stare guardando il viso nientemeno che di un mostro. Immediatamente, però, si ricompose, e il suo tono fu calmo, mentre le parlava con dolcezza.

Quando, più tardi, chiesi ad Arkady che cosa aveva detto, lui mi spiegò che Vlad l’aveva rassicurata che non saremmo mai partiti, se Zsuzsa non fosse stata abbastanza forte da venire con noi e che, se avesse continuato a sentirsi debole, avrebbe pagato un dottore per farla stare bene.

Lei scoppiò a piangere, e la sua voce tremò mentre diceva:

«Come potete pensare di partire? Papà è qui. Stefan è qui. Tutti i nostri ricordi sono qui».

Lui continuò a parlare confortandola e, finalmente, lei si calmò e si rimise seduta. La cena si concluse cordialmente e senza ulteriori incidenti, ma io ero estremamente turbata.

Ho visto come lui la guarda e come lei guarda lui. Lei è disperatamente innamorata di lui, ed io temo che Vlad non abbia troppi scrupoli ad approfittare di questo fatto. Il mio innocente marito non ne ha idea, ed io non so come dirglielo.

Il diario di Arkady Tsepesh

7 aprile. Maledetti contadini! Che siano dannati! Che siano maledetti, e che per la loro superstizione e la loro stupidità vadano all’inferno!

A fatica riesco a scrivere ciò che è accaduto: è troppo mostruoso, troppo doloroso, troppo grottesco. Eppure devo… qualcuno deve testimoniare il male causato dall’ignoranza.

Ieri abbiamo sepolto papà, accanto a Stefan e a mamma, nella tomba di famiglia situata sul poggio tra la casa e il grande castello. Non volevo che Mary prendesse parte alla cerimonia, poiché sembrava debole e stanca, ed era un giorno primaverile freddo e ventoso. Ma lei è stata irremovibile, dicendo che era il minimo che potesse fare per il suocero che non aveva mai conosciuto.

La tomba le ha fatto una profonda impressione, e si fermava per leggere sul muro esterno gli elenchi dei nomi di ogni persona lì sepolta. Nonostante la tristezza, ho provato un qualche vago orgoglio per la tomba signorile e per il fatto che tutte le iscrizioni, persino le più antiche — che risalgono all’inizio del Settecento — fossero leggibili, come se fossero state incise con ogni cura nel marmo bianco, insieme alle date, in modo che il nome degli antenati non venisse mai dimenticato e perso nei secoli (presto, un giorno, le mostrerò la cappella e le cripte che risalgono al quindicesimo secolo).

Ci fu una breve cerimonia a mezzogiorno. Mettemmo papà in una piccola nicchia insieme a Stefan e a mia madre che non ho mai conosciuto. Secondo i suoi desideri, non ci fu il prete, né furono lette le scritture o il servizio funebre. La grande porta che conduce alla tomba fu aperta, e i domestici portarono la bara all’interno, sistemandola poi su un catafalco circondato da candele accese e decorato da fragranti fiori bianchi.

Noi la seguimmo e le demmo il nostro addio finale, poi parlai brevemente, percependo ancora una volta l’esame minuzioso e la palpabile presenza dei miei antenati defunti; quasi mi aspettavo di vedere il piccolo Stefan nel piccolo gruppo di persone presenti. Vlad non venne, cosa che non sorprese particolarmente nessuno, anche se aveva fatto fare una placca d’oro squisitamente incisa per la bara che diceva: “PETRU TSEPESH, amato padre, marito e nipote”, un’altra coppia di cantanti di Bocete, e una bella cascata di rose rosse che adornavano il feretro e che lasciammo nella tomba, insieme a papà.

Il giorno passò tranquillamente, e poi passò anche il seguente. Dopo la mia prima registrazione sul diario, Mary ed io abbiamo discusso parecchie volte circa la conversazione con Vlad e il fatto che io resti per prendere il posto di mio padre, e lei è quasi riuscita ad alleviare il mio senso di colpa per aver chiesto a una moglie di città di trascorrere il resto della sua vita nelle selvagge foreste dei Carpazi.

Bistritz è la più vicina città dotata di ufficio postale, e non può certo sostituire Londra; per mandare o ricevere posta o per fare spese in negozi modesti, ci vogliono perlomeno otto ore di viaggio in carrozza (per non parlare del viaggio di ritorno!) lungo strade tortuose. Durante le tempeste invernali, saremo, di fatto, isolati.

Mary dice che non ha importanza, finché mi può restare accanto; per parte mia, non riesco a immaginare quale santa azione io abbia fatto nella mia fanciullezza da portarmi come ricompensa una tale moglie.

Il giorno seguente, Mary sembrava fisicamente provata, ed è rimasta a letto fino a tardi. Io ho riposato e letto un romanzo della ben fornita biblioteca di mio padre, ed ho preso la decisione di andare la sera a parlare con Vlad. La tristezza ha ancora avuto la meglio su di me, di tanto in tanto, ma sapevo che la noia non era il modo giusto per alleviarla. Desideravo tenermi occupato sapendo che avrebbe allietato il mio cuore fare qualcosa che avrebbe fatto piacere a papà.

Così, poco prima del tramonto, mi sono incamminato verso il castello. Sono appena quindici minuti a piedi su per il dolce pendio verdeggiante che guarda a sud: per un uomo di città una semplice passeggiata per sgranchirsi le gambe. La luce del sole filtrava attraverso i rami degli alti pini verso ovest; l’aria era piena di un impalpabile calore primaverile e del dolce e alto canto degli uccelli.

Nonostante l’idilliaco paesaggio, un crescente disagio si impadronì di me, e non fu che quando udii l’abbaiare frenetico di un cane nella casa alle mie spalle che ne determinai la causa: mi ero completamente dimenticato che al cader della notte i lupi se ne vanno in giro.

Non era tanto pericoloso come in inverno, quando si raggruppavano in branchi mortali, ma il pensiero di incontrarne anche uno solo, mi spinse ad affrettare il passo. Nondimeno, mi concessi una deviazione che mi ero ripromesso alla tomba di famiglia, per restare un momento da solo con mio padre.

Ma, mentre mi avvicinavo alla recinzione di ferro nero, potei vedere attraverso le sbarre uno strano spettacolo: i cadaveri di due lupi giacevano appena al di là del cancello spalancato. Capii immediatamente che qualcosa non andava, che terribilmente non andava.

Mi misi a correre e sfrecciai attraverso il cancello aperto. I lupi giacevano su un fianco, uno accanto all’altro, con gli occhi velati dalla morte; il cranio di uno di essi era stato fracassato, e il ventre dell’altro era reso duro dal sangue rappreso. Era evidente che in quel punto avevano attaccato un visitatore che li aveva uccisi ed era scappato, dimenticando, nella fretta, di chiudere il cancello.

C’era qualcos’altro: alzai lo sguardo dai corpi dei lupi, e vidi che la porta che conduceva alla tomba era stata aperta e così era rimasta. Pieno d’orrore, corsi all’interno; l’entrata alla tomba era bloccata da un altro lupo ucciso. Ne oltrepassai rapidamente il corpo e corsi alla nicchia dove giaceva mio padre.

La tomba era stata aperta, qualcuno era entrato, e l’ultimo luogo di riposo di mio padre era stato violato. Le belle rose rosse erano state gettate da una parte ed erano sparse dappertutto sul bianco pavimento di marmo. Per quanto riguardava la bara, le viti erano state levate e lasciate dove erano cadute, e il coperchio di legno tolto e appoggiato contro il muro più vicino. Il rivestimento di piombo era stato segato e tolto.

All’interno della bara, il cadavere di mio padre giaceva straziato. Un grosso palo di legno era conficcato nel suo petto, come se fosse stato messo lì con un martello. Gli era stata aperta la bocca e qualcosa di bianco (dapprima pensai a un fazzoletto) gli era stato ficcato dentro; e il collo…

Oh, Dio! Stefan! Padre!

Chi aveva commesso quella vile azione era riuscito a segare per tre quarti il collo, ma si era fermato prima che si staccasse del tutto. Dato che papà era morto da due giorni, c’era poco sangue, e la sua espressione era rimasta quella di un pacifico riposo, ma il peso del cranio, ora staccato dai muscoli anteriori del collo, faceva sì che la testa si chinasse leggermente all’indietro e il mento fosse rivolto verso l’alto, rivelando un taglio rosso che si apriva come un sogghigno sotto la mascella. Il profanatore aveva tagliato così in profondità che vidi, nascosta dentro la massa rossa e violacea dei muscoli e delle vene, la sua spina dorsale. Per un istante, sembrò come se fossi stato trasportato indietro di due decenni, a guardare ancora una volta la gola squarciata di mio fratello Stefan.