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Nel momento peggiore di quella prima notte si mise di scatto a sedere diritto nel letto e mi fissò con occhi così spalancati che le iridi erano circondate dappertutto di bianco e, ansimando, esclamò:

«Mio Dio! Sono io che ho scritto la lettera per farlo venire qui! Papà ed io, tutti e due…!».

Ed emise un urlo d’angoscia che poté essere udito per tutta la casa.

Quella notte ho pensato che sarebbe morto, ma per la bontà di Dio, è vissuto e, prima del mattino seguente, stava un po’ meglio, sebbene cadesse ancora in un occasionale, leggero delirio. Dunya ha insistito per fare dei turni di veglia sebbene mi abbia lasciato dormire per la maggior parte del mio turno. Quella dolce ragazza si preoccupa per me. Io mi sento sempre terribilmente stanca, e il bambino scende ogni giorno.

Oggi Arkady sta meglio. La febbre è passata, e i suoi occhi sono quelli chiari e gentili che ho sempre conosciuto.

Anche Zsuzsanna è molto migliorata. Oggi è stata in grado di camminare fino al salotto, ma noi eravamo riluttanti a darle la notizia della malattia di Arkady, così i domestici ed io abbiamo cospirato nel mantenere il silenzio. Lei è dolce come non mai, ma perduta nei suoi sogni e, alle volte, noto una soddisfatta condiscendenza nel suo sorriso. Non posso fare a meno di pensare che la sua guarigione sia dovuta più a Dunya che al dottore, e così noi, con costanza, inghirlandiamo la finestra, ogni sera, con corone odorose che poi nascondiamo durante il giorno.

Ma qualcosa di straziante è accaduto quest’oggi a mezzogiorno, e io non penso che saremo in grado molto a lungo di nascondere la verità a Zsuzsanna. Il giorno era tiepido e assolato e, mentre Arkady stava sonnecchiando pacificamente, io sono uscita nel piccolo giardino all’inglese verso l’ala est, che cattura il sole del mattino.

Sedevo su un divanetto di ferro battuto con gli occhi chiusi, sonnecchiando nel delizioso calore del sole, quando ho udito dei passi vicini. Ho guardato e ho visto il giardiniere, Ion, che portava il grande e scuro Bruto come un cucciolo, nelle braccia. Dapprima ho sorriso a quella tenera vista, finché la testa del povero cane ha ciondolato all’indietro in un abbandono senza vita ed ho visto il sangue sulla gola e sul fianco dove era stato crudelmente morsicato.

Sono scoppiata immediatamente in singhiozzi e ho gridato:

«Che è successo?».

Ion si è fermato, ha guardato tristemente l’animale nelle sue braccia, poi ha scosso la testa; se per indicare il dispiacere per la morte dell’animale o la sua ignoranza del tedesco, non lo so.

Piangendo, ho indicato me stessa e ho detto:

«Lo dirò io a Zsuzsanna».

E ho alzato un dito alle labbra in segno di silenzio, sperando che avrebbe capito di non parlarle di quanto era accaduto, lui o chiunque altro, finché non l’avessi fatto io.

Mi ha guardato di nuovo ed ha annuito, mostrando di aver capito, poi ha proseguito lentamente, con la palese intenzione di seppellire l’animale.

Spero che lo abbia sepolto in qualche luogo vicino a un giardino o a degli alberi, dove c’è molto sole, piante, e piccoli animali da cacciare.

Io sono entrata e ho dato la triste notizia a Dunya. Lei ha ascoltato con aria solenne, con le labbra strette e gli occhi rivolti a terra per il dolore. Sebbene non le abbia detto assolutamente nulla dei miei sospetti riguardo alla morte del povero Bruto, le sue prime parole sono state un’offerta di dormire nella camera di Zsuzsanna stanotte.

Ho approvato immediatamente.

Può essere superstizioso e sciocco, ma sono stata testimone di eventi che la logica dice impossibili e ho un marito che sta impazzendo per qualche segreto terrore. Io so perché quel povero cane è morto; ne ho visto il motivo ghignare fuori della mia camera da letto di notte.

Prego soltanto che Dunya, dotata dello stesso cuore buono e leale ma di un cervello molto più astuto, riesca ad evitare lo stesso destino.

Il diario di Zsuzsanna Tsepesh

15 aprile, le 2 di notte. È fatta. Sono sua.

La schiena e il piede mi dolgono terribilmente ma io so che è un dolore buono… come le doglie, temporaneo, e che conduce a un risultato talmente meraviglioso che tutta la sofferenza sarà presto dimenticata. Nonostante il dolore, il mio intero corpo vibra, canta con un’incredibile forza appena scoperta; una tale forza, una tale vita, che non riesco a dormire. Non posso ritornare a letto ma, ora che se ne è andato, mi affaccio, nuda e coperta di sangue, dal davanzale della finestra aperta, tendendo le braccia alla luna calante e invitandola a danzare con me, ridendo alle stelle.

Ridendo di Dunya, pietosa e sciocca creatura. Giace a russare (proprio come faceva Bruto) sul pavimento accanto al letto in un sonno profondo, comatoso. Guardatela lì, con la sua brutta bocca aperta e il suo crocifisso puzzolente! Non si sveglierà fino al mattino, per quanto io possa ridere forte, per quanto la possa schernire a voce alta, cantandole nelle orecchie:

Stupida Dunya, stupida Dunya! Mio inutile cane da guardia!

So che niente la può svegliare. Ora so tutto quello che lui sa.

So tutto.

Un tempo ero una miserabile storpia, non amata, non voluta: ora sono forte e più bella di tutti voi! Immortale, perché lui mi ama. Non avevo idea della profondità di quell’amore fino a questa notte; sono ancora piena di timore, commossa e stupefatta al punto di tremare senza controllo.

Oh, quanto lo amo!

Questa sera mi hanno detto di Bruto: Mary e la sua piccola ombra, Dunya. Una parte di me, adesso una parte molto piccola, ha pianto. Ho dovuto: mi stavano guardando. Si aspettavano che fossi annientata e con il cuore spezzato. Le ho accontentate.

Ma ero così sollevata! Sollevata e felice, poiché sapevo che significava che quella notte — stanotte — sarebbe venuto, e sapevo quello che dovevo fare. E anche quando Mary mi ha detto che Dunya avrebbe passato la notte nella mia stanza “per sorvegliarmi nel caso che fossi stata triste”, non mi preoccupai. Sapevo che potevo fidarmi di lui (meglio Dunya di Mary; poiché adesso che so tutto, so anche che è più facile influenzare alcuni piuttosto che altri. Mary è una delle più difficili — ancor più del gelosamente devoto Bruto — e c’è sempre il pericolo che possa influenzare Arkady con il quale è già abbastanza difficile trattare a causa della vena di testardaggine che ha ereditato da mamma. Ma Dunya è superstiziosa e, come la maggior parte della gente del luogo, è presto influenzabile, specialmente se è addormentata).

Così, stanotte, quando siamo andate a letto, ho atteso con il cuore che mi batteva rapidamente per l’eccitazione, finché ho sentito l’avvicinarsi di quegli occhi belli, simili a gioielli, sempre verdi, immortali. Quando Dunya ha cominciato a russare sotto la sua coperta sul tappeto, ho capito che era l’ora. Sono scesa silenziosamente dal letto, ho raccolto le teste intrecciate di aglio dalla finestra e le ho nascoste nel ripostiglio, facendo smorfie per il loro odore ripugnante e il loro aspetto increspato, come la carta.

E poi mi sono sporta sul davanzale per aprire le imposte e alzare il vetro: entrò la luce argentea e energetica della luna e delle stelle. Stavo nel mezzo di quel magnifico lago splendente e guardavo gli atomi luccicanti di luce che cominciavano a girare vorticosamente con i colori dell’arcobaleno, come quando il sole si riflette su una bolla di sapone. Poi gli stessi granelli cominciarono a vibrare, a muoversi, a circondarmi, girando sempre più velocemente, finché i miei occhi sopraffatti non riuscirono più a mettere a fuoco e, da quella prismatica danza adamantina, lentamente apparve Vlad, dapprima debolmente e male, come un sogno ad occhi aperti, poi pian piano più concretamente, finché alla fine fu lì, con la sua pelle sottile non più tanto pallida ma che catturava ancora la luce con un instabile luccichio d’argento, rosa e turchese come la madreperla, come l’opale più ardente.