Gli abitanti del villaggio accettarono, e la città prosperò; nessuno fu ucciso tranne quelle poche anime sciocche che disobbedirono. Una generazione fa, quando il mondo era diviso e moriva di fame a causa delle guerre di Napoleone, noi eravamo al sicuro e ben nutriti. Grazie allo strigoi, non siamo mai stati affamati in un paese che conosce la fame. Il bestiame e i cavalli non morivano più quando i lupi attaccavano in inverno, e i rumini vivevano bene, talmente bene che si stabilì l’usanza di offrire spontaneamente quei bambini nati troppo ammalati o deformi per sopravvivere, che adesso sono molti, poiché pochi forestieri si stabiliscono nel villaggio, essendosi sparsa per le campagne la notizia del Patto.
Accettò anche questo: nessun altro strigoi oltre lui, per il bene di tutti. Egli trapassa i loro corpi con dei pali, poi li decapita in modo che essi non risorgano come morti viventi.
Nonostante tutto il bene che ci ha portato, noi abitanti del villaggio lo temiamo; poiché ci sono molte storie sulle terribili punizioni che infligge a coloro che infrangono il Patto, che cercano di fargli del male, o che avvertono coloro che sono scelti come vittime. Nessuno che abbia cercato di distruggere lo strigoi è sopravvissuto. Molti al villaggio borbottano e gli augurano del male; borbottano e si ingrassano dei frutti dei campi dello strigoi.
Dicono anche che egli abbia stipulato un Patto simile con la sua stessa famiglia, un accordo secondo il quale lui non farà del male a nessuno dei suoi, mentre gli altri membri della famiglia potranno vivere nella beata ignoranza della verità.
A questo punto fummo disturbate dal bussare di Ilona, venuta a cambiare la biancheria. Dunya ha sussultato colpevolmente e se ne è andata subito; avrei voluto chiederle altro circa il Patto di Famiglia, ma lei è chiaramente riluttante a discuterne in presenza di altri domestici — e non fa meraviglia, poiché parlandomene rischia una terribile punizione — così dovrò aspettare.
Pensavo allo strano racconto di Dunya questa notte, mentre giacevo insonne preoccupandomi di Zsuzsanna, di mio marito, e di mio figlio, che presto nascerà in questa strana e spaventosa casa.
Nel mezzo della mia agitata veglia sono caduta in un improvviso stato di sogno, simile, ma più profondo e più difficile da scuotere via, a quello provocato dal laudano. Dapprima ho pensato che finalmente fosse arrivato il sonno, e l’ho accolto con gratitudine, poiché era assai gradevole.
Ho fluttuato in quello stato beato per un periodo imprecisato di tempo finché sono diventata gradualmente consapevole di una solitaria immagine ipnotica che dominava la mia coscienza: i profondi occhi verdi di Vlad.
Immediatamente mi sono forzata a svegliarmi e mi sono seduta intontita sul letto, con il cuore che batteva forte per l’ansia.
Sapevo — sapevo, sebbene non potessi spiegare come ero arrivata a una tale rivelazione — che egli era di nuovo con Zsuzsanna. Mi sono alzata, e a piedi nudi mi sono avvicinata furtivamente alle tende di velluto. La luce brillava sotto la porta, segnalando che Arkady era ancora dall’altra parte del corridoio, nello studio.
Ho alzato una mano per spostare di lato una tenda… Poi ho esitato dicendomi che ero ridicola dato che Dunya in quello stesso momento si trovava con Zsuzsanna nella sua stanza, e che la sua robusta e forte presenza nonché l’aglio assicuravano che non sarebbe accaduto loro alcun male.
Eppure non riuscivo a liberarmi dal presentimento di un pericolo. Timidamente, ho tirato indietro la tenda di un pezzetto e ho guardato attraverso la fessura.
La luna stava calando e la notte non era più così luminosa, ma i miei occhi erano abituati all’oscurità. Non ho visto niente sul terreno tra le nostre due camere e stavo proprio per lasciar andare la tenda e rimproverarmi di essere in ansia senza motivo, quando ho visto che le imposte di Zsuzsanna erano state aperte.
Mi sono sforzata molto per vedere ma, nell’oscurità, ho potuto essere sicura solo del fatto che le imposte erano aperte. Era impossibile giudicare se il vetro era stato aperto. Mi sono sporta ancora, con il naso che quasi toccava la finestra.
Una scura forma ringhiarne è comparsa all’improvviso dall’ombra e ha colpito il vetro con una tale forza che l’ha incrinato ad appena pochi centimetri di distanza dal mio viso.
Ho gridato per la sorpresa. L’aggressore è ricaduto all’indietro, ma si è ripreso e ha caricato nuovamente, premendo contro il vetro il muso e una lunga bocca piena di gialli denti aguzzi, scoperti in una ringhio terrificante.
Ho lasciato cadere la tenda e sono corsa verso la porta, ma nel frattempo Arkady l’aveva già spalancata. Con mia sorpresa brandiva una pistola, come se fosse stato pronto e armato per una simile emergenza. Ha allungato il braccio per allontanarmi dal pericolo e, seguendo il mio sguardo terrorizzato, ha tirato indietro la tenda e ha mirato con l’arma proprio mentre il lupo saltava per la terza volta, rompendo la finestra e facendola muovere nel telaio.
Ha fatto fuoco nell’oscurità, barcollando leggermente mentre l’arma rinculava nella sua mano; il vetro è andato in frantumi con un forte rumore cristallino. Mi attendevo di sentire un guaito, un lamento acuto, ma tutto fuori era silenzio. Ero troppo spaventata per avvicinarmi a sufficienza da sbirciare fuori, ma l’espressione interrogativa e incerta di Arkady disse che l’animale era semplicemente svanito. Egli si sporse e guardò attentamente fuori della finestra, e io mi avvicinai dietro di lui quanto più potei, facendo attenzione ai vetri con i miei piedi nudi, poi allungai il collo per vedere sopra la sua spalla.
Non c’era nemmeno una traccia dell’aggressore, tranne che per il vetro in frantumi, sporco di saliva.
Poi lui si voltò verso di me ed io confesso che, in quel momento, i miei nervi cedettero e feci qualcosa che non avevo mai fatto davanti a mio marito: piansi come un bambino isterico, terrorizzato. So che era terribilmente preoccupato nel vedermi così e volevo smettere immediatamente poiché lui ne aveva passate così tante di recente, ma trascorsero alcuni minuti prima che fossi in grado di controllarmi. Singhiozzando, lo supplicai di portarci via, a Vienna. Promise che lo avrebbe fatto, ma io so che lo disse semplicemente per tranquillizzarmi. Non riuscì, in quel momento, a sostenere del tutto il mio sguardo.
Ion e Ilona vennero a bussare alla porta avendo udito il colpo di pistola; Arkady li mandò via bruscamente, poi tirò fuori il laudano in uno sforzo disperato di calmarmi, ma ne bevve più di me.
Come posso permettermi di dormire? Nessuna creatura normale potrebbe aver saltato due piani per colpire il vetro. Sono così spaventata! Spaventata al pensiero di quello che sarà di Zsuzsanna; spaventata al pensiero di quello che sarà di mio figlio.
Sono stata avvertita.
No, peggio… sono stata apertamente minacciata. Lo so, poiché in quel terribile istante in cui il mio viso era separato da quel lupo ringhiante da meno di tre centimetri di vetro, ho guardato nel profondo dei suoi selvaggi occhi intelligenti.
Occhi affamati, irresistibili; occhi del verde più scuro della foresta.
Lui sa che l’ho visto là fuori; che ho capito di Zsuzsanna; che sto cercando di persuadere Arkady a portarci via. Dio mio, in qualche modo lo sa e, con l’istinto di una madre, so che non permetterà mai che io, mio marito o il bambino, lasciamo questo posto.
Il diario di Zsuzsanna Tsepesh
17 aprile. Le imposte sono tutte aperte.
Ero troppo debole per chiuderle, troppo debole per rimettere a posto l’aglio, troppo debole per continuare la farsa. Meglio così: ora, dal mio letto, guardo i primi raggi del sole che filtrano attraverso la foresta come burro fuso, attraversando la stanza grigia e silenziosa per cadere su Dunya che dorme sul monticello delle mie gambe sotto la coperta.