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Poul Anderson

Il popolo del vento

A Edmond Hamilton e Leigh Brackett con i miei ringraziamenti per tanti di avventure

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«Non puoi andartene adesso», disse al figlio Daniel Holm. «Da un giorno all’altro potremmo trovarci in guerra. Forse già lo siamo».

«È proprio per questo che devo andare», rispose il giovane. «Stanno convocando i Khruath in ogni parte del pianeta. E dove altro potrei recarmi, se non dal mio gruppo?».

Mentre parlava, non erano solo le sue parole a mutarsi in quelle di un uccello. Lo stesso accento cambiava. Non si serviva più dell’Anglico di Avalon con l’influenza Planha — vocali limpide, le erre vibrate, le emme e le enne pronunciate a mezza bocca, il modo di parlare più profondo, più lento e fortemente cadenzato; piuttosto, era come se cercasse di tradurre il pensiero di un cervello Ythrano per un ascoltatore umano.

L’uomo la cui immagine occupava lo schermo del videofono non obiettò: «Potresti restartene con la tua famiglia», come avrebbe fatto una volta. Invece, Daniel Holm annuì e disse con calma: «Vedo. Adesso non sei Chris, sei Arinnian», e all’improvviso sembrò più vecchio.

Quelle parole colpirono il giovane quasi con violenza. Si sporse in avanti, ma le sue dita incontrarono lo schermo. «Sono sempre Chris, papà», disse concitatamente. «È solo che sono anche Arinnian. E, beh, se ci sarà la guerra, bisognerà che i gruppi siano pronti ad affrontarla, no? Io devo dare il mio aiuto… non dovrebbe essere una cosa lunga, davvero».

«Certo. Buon viaggio».

«Salutami mamma e tutti gli altri».

«Perché non la chiami tu stesso?».

«Beh, ehm, io devo sbrigarmi… e poi non c’è nulla di insolito nel mio viaggio verso le montagne, e… oh…».

«Capisco», disse Daniel Holm. «Glielo dirò io. E tu salutami i tuoi compagni». Il Secondo Governatore del sistema Laurano chiuse la comunicazione.

Arinnian distolse lo sguardo dall’apparecchio. Per un attimo trasalì e si morse le labbra. Odiava fare del male a chi si preoccupava per lui. Ma perché non capivano? La loro razza definiva «diventare uccello» l’essere accolto in un gruppo, come se in qualche modo quelli che lo facevano ripudiassero la razza che li aveva generati. Aveva perso il conto delle ore sprecate cercando di far capire ai suoi genitori — e a tanti altri ortoumani — che in questo modo egli ampliava e purificava la sua umanità.

Gli tornò in mente un frammento di dialogo: «Papà, stammi a sentire; due specie non possono abitare per generazioni sullo stesso pianeta senza influenzarsi reciprocamente e in modo profondo. Perché tu vai a caccia nel cielo? Perché Ferune serve del vino alla sua tavola? E questi sono solo i sintomi più superficiali».

«Lo so bene. Fammi credito di una certa apertura mentale, eh? Il fatto è che tu stai facendo un salto smisurato».

«Perché sto per diventare un membro dello Stormgate? Senti, sono cento anni che i gruppi accettano umani».

«Ma non in quantità così massicce come negli ultimi tempi. E poi non c’era mio figlio, fra loro. Mi sarebbe… piaciuto vederti perpetuare le nostre tradizioni».

«Chi dice che non lo farò?».

«Tanto per cominciare, non sarai più sotto la legge umana, ma sotto la legge e le usanze del gruppo… Aspetta. È bello, se sei un Ythrano. Chris, non hai i cromosomi. Coloro che pretendevano di averli, non sono mai riusciti ad adattarsi a un’altra razza, mai».

«Dannazione, io non pretendo…».

Arinnian scacciò l’immagine di sé come se fosse una cosa materiale. Fu contento delle prosaiche necessità dei preparativi. Per raggiungere il nido di Lythran prima del buio doveva partire subito. Naturalmente un’aeromobile avrebbe coperto la distanza in meno di un’ora, ma chi voleva viaggiare ingabbiato fra metallo e plastica?

Era nudo. Sempre più coloro che vivevano come lui tendevano a liberarsi del tutto dai vestiti e a usare come abito una tinta color pelle. A volte, però, bisognava ricoprirsi. Un Ythrano stesso era raramente sprovvisto di cintura e borsa. Questo sarebbe stato un viaggio piuttosto freddo, e lui non aveva le penne. Attraversò il piccolo appartamento per andare a prendere una tuta e degli stivali.

Nel passare gettò un’occhiata sullo scrittoio su cui giacevano gli appunti del suo lavoro, e, in un mucchio, i testi e le opere di consultazione di cui si serviva al momento, tutti editi dalla Biblioteca Centrale. Dannazione!, pensò. Mi dispiace abbandonarli proprio adesso che sono quasi riuscito a dimostrare il teorema.

Con la matematica riusciva a volare. Spesso aveva immaginato di poter provare con la mente la stessa pura estasi che un Ythrano, tutto solo lassù in alto, prova nella carne. E così aveva accettato il compromesso di riconciliazione col padre. Avrebbe continuato i suoi studi, e con essi il suo obiettivo, quello di diventare un matematico di professione. A tal fine aveva accettato un certo aiuto economico, benché non ci si potesse più aspettare che rimanesse in casa. Quel poco che gli serviva ancora per vivere se l’era guadagnato da solo, facendo il mandriano e il cacciatore quando se ne andava dagli Ythrani.

Daniel Holm aveva borbottato, dietro un accenno di sorriso: «Tu hai una mente brillante, figliolo. Non avrei voluto vederla sprecata così. E nello stesso tempo, è troppo brillante. Se non fosse che stai diventando uccello saresti tutto preso dai tuoi libri, o dal disegno o la poesia, e non ti muoveresti neppure: alla fine ti verrebbe il sedere quadrato e nemmeno te ne accorgeresti. Immagino che dovrei provare un po’ di gratitudine verso i tuoi amici, per aver fatto di te un atleta».

«I miei compagni di gruppo», lo aveva corretto Arinnian. Aveva appena ricevuto il nuovo nome, ed era pieno di orgoglio e di franchezza. Questo era stato quattro anni prima; oggi poteva sorridere a se stesso. Il governatore non si era sbagliato del tutto.

A trent’anni — secondo il computo di Avalon — Christopher Holm era alto, magro e aveva spalle ampie. Tanto nei lineamenti che nella corporatura ricordava sua madre: testa allungata, volto stretto, naso e labbra sottili, occhi azzurri, capelli color mogano (tagliati corti secondo la moda di coloro che praticano assiduamente il volo con cintura gravitazionale), barba abbastanza rada da meritarsi solo regolari applicazioni di enzimi anticrescita. La sua carnagione, naturalmente chiara, aveva acquistato un colorito scuro per l’esposizione al sole. Laura, una stella di tipo G5, ha solo il 72 per cento della luminosità del Sole e, proporzionalmente, minor quantità di raggi ultravioletti; ma Avalon, che orbita ad una distanza media di 0,81 unità astronomiche in un periodo che è 0,724 di quello terrestre, riceve il dieci per cento in più di irradiazione totale di quella a cui è abituato l’uomo.

Come d’abitudine ispezionò accuratamente la sua unità prima di infilare le braccia nelle cinghie e di allacciare la fibbia alla cintura. Si augurò che i due cilindri a punta di cono sulla sua schiena contenessero accumulatori ben carichi e circuiti perfettamente funzionanti. In caso contrario, era un uomo morto. Un Ythrano non avrebbe mai potuto salvare un umano che precipitasse dal cielo. Un paio di volte parecchi di loro, tutti insieme, avevano effettuato dei salvataggi, ma si trattava di pastori muniti di lazo che potevano lanciare verso il loro compagno, e tirare senza intralciarsi l’un l’altro. Non c’era da fare conto su una fortuna simile. Oh Dio, se avesse avuto delle vere ali!

Si infilò un elmetto di pelle ed abbassò gli occhiali che costituivano il misero sostituto di una membrana nittitante. Infilò il coltello nel fodero e si sistemò il lanciaproiettili sul fianco. Non che ci fosse qualche pericolo — nessun rischio di essere sfidato a duello, perché un Khruath era sacro e simbolo di pace, e del resto le contese per motivi di orgoglio non erano mai state troppo frequenti — ma i membri dello Stormgate erano in massima parte cacciatori e non abbandonavano mai la loro attrezzatura. Non c’era bisogno invece di portarsi delle provviste. A quello avrebbero pensato le riserve di famiglia, alle quali contribuiva con quote regolari, e che venivano trasportate ai luoghi di raduno mediante slitte antigravitazionali.