Ecco la seconda cosa che Lolla-Wossiky notò: quando l’orso aveva guardato in acqua in cerca del pesce per poterlo colpire con una zampata, aveva guardato con l’altro occhio, con l’occhio che non c’era. Questo Lolla-Wossiky non lo capì. Era una cosa molto strana.
Ecco l’ultima cosa che Lolla-Wossiky notò: nel guardare l’orso, aveva tenuto chiuso l’occhio buono. E quando l’aveva aperto, il fiume c’era sempre, il sole c’era sempre, i moscerini continuavano a danzare nell’aria per poi scomparire, ma l’orso non c’era più. Quell’orso Lolla-Wossiky poteva vederlo solo tenendo chiuso l’occhio buono.
Lolla-Wossiky bevve due sorsi dal barilotto, e l’orso scomparve.
Un giorno Lolla-Wossiky attraversò una strada degli uomini bianchi, e se la sentì scorrere sotto i piedi come un fiume. Subito la corrente della strada lo trascinò via. All’inizio procedette incespicando, poi prese il ritmo e avanzò al piccolo trotto, il barilotto sulla spalla. I Rossi non usavano mai le strade dei Bianchi: col tempo asciutto il fondo diventava troppo duro, quando pioveva si affondava nel fango, e i solchi lasciati dalle ruote dei carri si protendevano come mani di Bianco per agguantare la caviglia dell’uomo rosso, farlo inciampare, sfiancarlo. Questa volta invece il terreno era morbido come l’erba primaverile sulla riva del fiume, purché Lolla-Wossiky continuasse a correre nella direzione giusta. Non più verso la luce, perché ora la luce si diffondeva tutt’intorno a lui, e Lolla-Wossiky capì che l’animale del sogno era ormai vicinissimo.
Per tre volte la strada giunse a un corso d’acqua — prima due torrentelli, poi un fiume — e ogni volta questo era attraversato da un ponte, fatto di grossi tronchi d’albero e robuste tavole di legno, con un tetto simile a quello delle case dei Bianchi. Lolla-Wossiky si fermò a lungo sul primo ponte. Non aveva mai sentito parlare di costruzioni del genere. Dove avrebbe dovuto esserci solo acqua si poteva stare ritti in piedi su una passerella così robusta e pesante e dalle pareti così spesse che l’acqua non si poteva né vederla né udirla.
E il fiume era infuriato. Lolla-Wossiky ne poteva avvertire la rabbia, sentiva come avrebbe voluto gonfiarsi e strappar via il ponte dai suoi sostegni. È così che fa l’uomo bianco, pensò Lolla-Wossiky. L’uomo bianco deve sempre conquistare, strappare le cose alla terra.
Eppure, in piedi sul ponte, avvertì anche qualcos’altro. Anche se il liquore aveva quasi lasciato il suo corpo, sul ponte il rumore nero era meno assordante. Là sopra udiva il silenzio verde meglio di quanto gli accadesse da molto, molto tempo. Quasi che il rumore nero provenisse in parte dal fiume. Com’era possibile? Il fiume non nutriva rancori contro l’uomo rosso. E nessun oggetto costruito dai Bianchi poteva avvicinare l’uomo rosso alla terra. Eppure era proprio ciò che accadeva in quel luogo. Lolla-Wossiky si affrettò a riprendere il cammino. Forse quando il suo animale del sogno l’avesse svegliato, avrebbe capito anche questo.
La strada sfociava in un paesaggio di prati e di pascoli, dove sorgevano alcuni edifici dell’uomo bianco. Tanti carri. Cavalli legati che brucavano l’erba. Il suono argentino dei martelli di metallo, i colpi regolari delle scuri sul legno, il rumore stridente delle seghe spinte avanti e indietro, un misto dei rumori prodotti dai Bianchi quando uccidono la foresta. Un’altra città dei Bianchi.
E invece no. Lolla-Wossiky si arrestò sul limitare della boscaglia. Che cos’era a renderla diversa, che cos’era che lui si sarebbe aspettato di vedere e non vedeva?
La palizzata. Non c’era alcuna palizzata.
Dov’era che i Bianchi andavano a nascondersi? Dove rinchiudevano i Rossi ubriachi e i Bianchi colpevoli di furto? Dove nascondevano le loro armi?
«Issa! Issa! Issa!» La voce di un Bianco si levò come uno squillo di campana nell’aria afosa di quel pomeriggio estivo.
Alla sommità di una collinetta erbosa, a circa mezzo miglio di distanza, stava sorgendo una strana costruzione in legno. Lolla-Wossiky non poteva scorgere gli uomini al lavoro, che gli restavano nascosti dietro la sommità della collina. Ma da dove si trovava vide sollevarsi una nuova intelaiatura in legno, spinta da lunghi pali.
«Adesso la parete laterale! Issa! Issa! Issa!»
Una seconda intelaiatura si sollevò lentamente, molto lentamente, ad angolo retto rispetto alla prima. Quando entrambe furono in piedi, si trovarono a contatto di spigolo. Per la prima volta Lolla-Wossiky scorse degli uomini. Alcuni ragazzi bianchi si arrampicarono velocissimi sulla struttura, levarono i martelli e li calarono come tommy-hawk per costringere il legno alla sottomissione. Dopo aver martellato per qualche tempo, si alzarono in piedi (erano in tre) proprio in cima all’intelaiatura coi martelli levati come lance appena estratte dal corpo di un bisonte. I pali che erano serviti a spingere le pareti in posizione vennero tolti. Le pareti rimasero in piedi, sostenendosi a vicenda. Lolla-Wossiky udì un applauso.
Poi a un tratto tutti i Bianchi comparvero in cima alla collina. L’avevano visto? Sarebbero venuti a scacciarlo, o ad arrestarlo? No, scendevano semplicemente il fianco della collina fino al luogo in cui si trovavano carri e cavalli. Lolla-Wossiky sparì nella boscaglia.
Bevuti quattro sorsi dal barilotto, salì su un albero e sistemò il barilotto nel punto dove dal tronco si dipartivano tre grossi rami. Bello fermo, bello sicuro. Le foglie, belle fitte; nessuno avrebbe potuto vederlo dal basso, neanche un Rosso.
Stavolta Lolla-Wossiky la prese alla larga, ma ben presto si trovò sulla collina dove sorgeva la nuova struttura. Lolla-Wossiky la studiò a lungo, ma non riuscì a capire a che cosa potesse servire. Quelle pareti intelaiate erano il loro nuovo sistema per costruire. Anche la nuova residenza di Assassino Bianco Harrison era stata costruita così, ma questo edificio era molto più grande. Più grande di qualsiasi altra cosa costruita dai Bianchi che Lolla-Wossiky avesse mai visto, più alto della palizzata del forte.
Prima quegli strani ponti, chiusi come case. Ora questo strano edificio, alto come gli alberi della foresta. Lolla-Wossiky uscì dal riparo della foresta incamminandosi sul terreno erboso, ondeggiando leggermente perché quando aveva bevuto il terreno non voleva mai saperne di restargli fermo sotto i piedi. Raggiunto l’edificio, mise piede sul pavimento di legno. Sì, quello era un pavimento da uomo bianco, quelle erano pareti da uomo bianco, ma l’edificio nel suo complesso non somigliava a niente che Lolla-Wossiky avesse mai visto. Dentro, un grande spazio aperto. Pareti altissime. Era la prima volta che vedeva l’uomo bianco costruire qualcosa che non desse una sensazione di angustia soffocante. Poteva perfino darsi che in quel luogo anche un uomo rosso potesse trovarsi a suo agio.
«Che cosa vuoi? Chi sei?»
Lolla-Wossiky si voltò così bruscamente che quasi perse l’equilibrio. Un Bianco di alta statura era in piedi accanto all’edificio. Il pavimento sopraelevato gli arrivava alla cintura. Non era vestito di pelle come un cacciatore, o in uniforme come un soldato. Era vestito all’incirca come un contadino, ma pulito. A Carthage City Lolla-Wossiky non aveva mai visto nessuno che gli somigliasse.
«Chi sei?» ripeté l’uomo.
«Uomo rosso» disse Lolla-Wossiky.
«Si sta facendo buio, ma di certo non è ancora notte. Dovrei essere cieco per non vedere di che colore sei. Ma io i Rossi li conosco bene, e tu non sei di queste parti.»
Lolla-Wossiky rise. Possibile che tra i Bianchi ci fosse qualcuno capace di distinguere i Rossi uno dall’altro, al punto da capire chi veniva da vicino e chi da lontano?
«Hai un nome, uomo rosso?»
«Lolla-Wossiky.»
«Hai bevuto, eh? Lo sento di qui, e non mi sembri neanche tanto sicuro sulle gambe.»
«Bevuto molto. Molto whisky.»
«E chi te l’ha dato? Dimmelo! Dove te lo sei procurato?»
Lolla-Wossiky era sconcertato. Prima d’allora nessun Bianco gli aveva mai chiesto dove si fosse procurato il liquore. Non ce n’era uno che non lo sapesse già. «Da Assassino Bianco Harrison» rispose.