Hooch annuì. «Capisco. Ma non può trattarsi semplicemente di liberare vacche o roba del genere. No, per indurre quella gente lassù a nord a chiedere a gran voce il sangue dei Rossi ci vuole qualcosa di veramente brutto. Per esempio rapire qualche bambino e torturarlo a morte, scrivere sul suo corpo il nome di Ta-Kumsaw e poi lasciarlo dove verrà sicuramente ritrovato. Qualcosa del genere.»
«Be’, non arriverei al punto di ordinare a qualcuno di fare qualcosa di così spregevole, Hooch. Anzi, non credo nemmeno che darei istruzioni precise. Mi limiterei a dir loro di fare qualcosa che possa mandare su tutte le furie i Bianchi del nord, facendo poi circolare la voce che è stato Ta-Kumsaw.»
«Ma non rimarresti sorpreso se la faccenda finisse in stupri e torture.»
«Certamente non gli permetterei di toccare le donne bianche, Hooch. La cosa è fuori questione.»
«Oh, è giusto, la pura verità» disse Hooch. «Così si tratta proprio di torturare dei bambini. Dei maschietti.»
«Come ti ho già detto, non mi sognerei mai di ordinare a qualcuno una cosa del genere.»
Hooch annuì appena, gli occhi chiusi. Era senz’altro possibile che Harrison non ordinasse a nessuno di fare una cosa del genere, ma sicuramente non gli avrebbe neanche ordinato di non farla. «E ovviamente non possono essere Rossi di queste parti — vero, Bill? — perché non te n’è rimasto neanche uno, e i tuoi Rossi addomesticati sono la più inetta marmaglia che si sia mai vista sulla faccia della terra.»
«Direi che su questo hai ragione.»
«Perciò ti servono Rossi che vengano dalle regioni a sud del fiume. Rossi che non abbiano ancora sentito predicare il Profeta, e abbiano ancora voglia di ubriacarsi. Rossi assetati di sangue al punto di ammazzare un bambino molto, molto lentamente. E il mio carico ti serve come merce di scambio.»
«Penso proprio di sì, Hooch.»
«D’accordo, Bill. Ritira le accuse nei miei confronti, e prenditi gratis tutto il mio liquore. Ti chiedo solo il denaro per dare ai miei ragazzi quello che gli spetta, in modo che non mi accoltellino sulla via del ritorno. Spero che non sia chiedere troppo.»
«Ecco, Hooch, sai benissimo che non è tutto qui.»
«Ma, Bill, è tutto quello che posso fare.»
«Non posso essere io a chiederglielo, Hooch. Non posso essere io quello che va a spiegare a quei Cree-Ek o Choc-Taw che cosa debbono fare. Dev’essere qualcun altro, in modo che nell’eventualità che trapeli qualcosa io possa negare di avergli mai detto niente. È stato lui a offrire quel whisky agli indiani, io non ne sapevo niente.»
«Bill, capisco tutto perfettamente, ma avevi ragione fin dall’inizio. Sei riuscito a escogitare qualcosa di così infame che nemmeno io voglio averci a che fare.»
Harrison lo guardò torvamente. «In questo forte, assalire un ufficiale è un delitto punibile con l’impiccagione, Hooch. Non te l’avevo già spiegato?»
«Bill, per farmi strada nel mondo ho mentito, imbrogliato e qualche volta ucciso. L’unico delitto che non ho mai commesso è stato corrompere qualcuno perché rapisse dei bambini e li torturasse a morte. Questo onestamente non l’ho mai fatto, e non lo farò mai.»
Harrison studiò l’espressione di Hooch e capì che le cose stavano proprio così. «Ma guarda un po’ che roba. Esiste davvero un misfatto così grave che nemmeno Hooch Palmer è disposto a commetterlo, a costo di rimetterci la pelle.»
«Tu non mi ucciderai, Bill.»
«Ma certo che lo farò, Hooch. E per due motivi. Il primo è che hai dato la risposta sbagliata alla mia richiesta. Il secondo è che me l’hai sentita esprimere. Sei un uomo morto, Hooch.»
«Mi sta bene» convenne Hooch. «Vedi di procurarti una corda ruvida al punto giusto, e una forca bella alta, con una caduta di sei metri. Voglio un’impiccagione di quelle che la gente ricorda per un pezzo.»
«Ti daremo il ramo di un albero, e la corda la tireremo su pian piano, in modo che invece di romperti il collo tu muoia strangolato.»
«Purché sia memorabile» disse Hooch.
Harrison chiamò i soldati, e ordinò loro di riportare in cella Hooch. Questa volta qualche calcio e qualche spintone effettivamente volarono, tanto che Hooch si ritrovò con una nuova serie di lividi, e forse una costola rotta.
Non gli era rimasto molto tempo.
Perciò restò tranquillamente disteso sul pavimento della cella. Gli ubriaconi non c’erano più, ma i tre arrestati per rissa si trovavano ancora lì e occupavano tutte le brande disponibili; a lui non restava altro che il pavimento. Per Hooch non faceva molta differenza. Sapeva che Harrison gli avrebbe concesso un paio d’ore per meditarci su, poi l’avrebbe fatto portare in piazza dove gli avrebbero messo una corda al collo e l’avrebbero impiccato. Forse Harrison avrebbe fatto finta di dargli un’ultima possibilità, ma sarebbe stata soltanto una messinscena, perché ora non si fidava più di lui. Hooch si era già rifiutato una volta di fare quello che lui chiedeva, e Harrison non poteva più esser sicuro che una volta libero il trafficante di liquori avrebbe veramente portato a termine la sua missione.
Così Hooch aveva tutte le intenzioni di impiegare oculatamente il suo tempo. L’inizio fu semplice. Chiuse gli occhi e lasciò che nel suo corpo si formasse un punto di calore. Una scintilla. Poi la inviò all’esterno. Era un po’ come facevano i rabdomanti con la loro «cimice», che una volta uscita dal corpo andava in esplorazione sotto terra. Anche Hooch inviò la sua scintilla in ricognizione, e ben presto trovò quello che cercava. La casa del governatore Bill. La scintilla era ormai troppo lontana per poter mirare a un bersaglio preciso. Ma Hooch non fece altro che concentrare nella scintilla tutto il suo odio, la sua rabbia e la sua sofferenza, riscaldandola sempre di più, abbandonandosi ai propri poteri come mai aveva fatto in vita sua. Alla fine udì il segnale che ansiosamente attendeva.
«Al fuoco! Al fuoco!» Le prime grida, deboli e lontane, si diffusero e si avvicinarono rapidamente passando di bocca in bocca. Ben presto si udirono i primi colpi di arma da fuoco… segnali d’allarme.
Anche i tre arrestati per rissa udirono quelle grida. Uno di loro dalla fretta pestò Hooch, disteso sul pavimento. Tutti e tre in piedi davanti alla porta, cominciarono a tempestarla di colpi chiamando a gran voce la guardia. «Fateci uscire! Non andate via senza farci uscire! Non lasciateci morire qui dentro!»
Dolorante com’era, Hooch neanche si accorse dell’uomo che l’aveva pestato. Senza muoversi, fece di nuovo ricorso alla scintilla, stavolta per riscaldare il metallo all’interno della serratura. Adesso poteva mirare con cura, e la scintilla poteva raggiungere temperature molto superiori.
La guardia arrivò, infilò la chiave nella toppa, la girò e aprì la porta. «Voialtri potete uscire» disse. «Il sergente dice che c’è bisogno anche del vostro aiuto.»
Hooch si tirò faticosamente in piedi, ma la guardia lo respinse a braccio teso, scaraventandolo di nuovo nella cella. Hooch non ne rimase sorpreso e per tutta risposta riscaldò ancora la scintilla, tanto che il metallo all’interno della serratura cominciò a fondersi, mentre la superficie cominciava a farsi rossa e incandescente. Il soldato sbatté la porta e fece per girare la chiave. Ma ormai questa era così calda che gli ustionò la mano. L’uomo imprecò e cercò di afferrare la chiave con la falda della camicia, ma Hooch aprì la porta con un calcio sbattendo il soldato a terra. Prima che potesse rialzarsi, gli diede un pestone in pieno viso, poi gli sferrò un violento calcio alla testa, probabilmente spezzandogli il collo. Per Hooch tuttavia quello non era un assassinio. Era solo un atto di giustizia, visto che la guardia era stata fermamente decisa a lasciarlo chiuso lì dentro, condannandolo a morire bruciato.