Ta-Kumsaw depose la pentola di fronte ad Al e a Measure, quindi si sfilò da dietro il collo due strisce di tessuto. «Vestito» disse, porgendo una striscia a ciascuno. Né Al né Measure avevano la minima idea di come indossare un perizoma, anche perché Ta-Kumsaw aveva ancora in mano le cinture di daino che avrebbero dovuto sorreggerlo. Di fronte alla loro perplessità Ta-Kumsaw rise, quindi fece cenno ad Al di mettersi in piedi e gli fece indossare lui stesso il perizoma, mostrando a Measure come doveva fare per coprirsi a sua volta. Non era l’abbigliamento a cui i due fratelli erano abituati, ma era sempre meglio che starsene nudi come vermi.
Poi Ta-Kumsaw si mise a sedere sull’erba, mettendo la pentola tra sé e loro, e mostrò loro come mangiare la farinata: si infilava la mano nella pentola, si estraeva una manata di quella poltiglia tiepida e gelatinosa, e la si cacciava nella bocca spalancata. Quella roba era così insipida che Alvin al primo boccone quasi si strozzò. Measure lo vide e disse: «Mangia». Così Alvin mangiò, e dopo qualche boccone cominciò a sentire che la sua pancia ne desiderava dell’altra, anche se doveva ancora esercitare una certa violenza per convincere la gola a svolgere le sue funzioni.
Quando la pentola fu ben ripulita, Ta-Kumsaw la mise da parte. Quindi fissò Measure per qualche istante. «Come hai fatto a farmi cadere, vigliacco d’un Bianco?» chiese.
Al avrebbe voluto prendere la parola, ma Measure lo anticipò, parlando troppo forte e troppo in fretta. «Non sono un vigliacco, capo Ta-Kumsaw, e se tu volessi batterti ancora con me, ti affronterei lealmente.»
Ta-Kumsaw sorrise con severità. «Perché tu mi faccia cadere a terra sotto gli occhi delle donne e dei bambini?»
«Sono stato io» si intromise Alvin.
Ta-Kumsaw girò la testa, lentamente, senza che il sorriso abbandonasse il suo viso… ma la sua espressione non era più così severa. «Tu, miserabile marmocchio? E tu saresti capace di farmi mancare il terreno sotto i piedi?»
«Ho questo dono» disse Alvin. «Non sapevo che non volevi fargli del male.»
«Ho visto un’accetta» rifletté Ta-Kumsaw. «Con dei segni fatti così.» Agitò il dito come a tracciare il contorno delle cavità che le dita di Measure avevano lasciato nella lama dell’accetta. «Sei stato tu?»
«Non è giusto tagliare le dita degli altri.»
Ta-Kumsaw rise fragorosamente. «Molto bene!» Poi si chinò avvicinando il viso a quello di Alvin. «I doni degli uomini bianchi fanno rumore, molto rumore. Ma tu agisci silenziosamente, così silenziosamente che nessuno se ne accorge.»
Al non aveva la minima idea di quello di cui Ta-Kumsaw stava parlando.
Dopo una pausa di silenzio, Measure si azzardò a fare una domanda. «Che cosa intendi fare di noi, capo Ta-Kumsaw?»
«Domani coniamo ancora» li informò il Rosso.
«Be’, perché allora non consideri la possibilità di lasciarci correre verso casa? In questo momento ci staranno cercando almeno un centinaio di uomini, infuriati come calabroni. Se non ci lasci tornare a casa, saranno guai.»
Ta-Kumsaw scosse la testa. «Mio fratello vi vuole.»
Measure guardò Alvin, poi di nuovo Ta-Kumsaw. «Ti riferisci al Profeta?»
«A Tenska-Tawa» disse Ta-Kumsaw.
Measure assunse un’espressione sofferente. «Vuoi dire che dopo che lui ha costruito la sua Prophetstown e per quattro anni nessuno gli ha dato il minimo fastidio e Bianchi e Rossi sono andati d’amore e d’accordo, adesso se ne va in giro a catturare Bianchi e a torturarli e…»
Ta-Kumsaw batté forte le mani. Measure ammutolì. «Sono stati i Chok-Taw a catturarvi! Sono stati i Chok-Taw a cercare di uccidervi! La mia gente non uccide, se non per difendere la propria terra e le proprie famiglie dai ladri e dagli assassini bianchi. E i seguaci di Tenska-Tawa non uccidono neanche ladri e assassini.»
Era la prima volta che Al sentiva accennare a una distinzione tra la gente di Ta-Kumsaw e quella del Profeta.
«E allora come hai fatto a sapere dov’eravamo?» chiese Measure. «Come hai fatto a sapere dove ci trovavamo?»
«È stato Tenska-Tawa a vedervi» disse Ta-Kumsaw. «Mi ha detto di trovarvi il prima possibile, liberarvi dai Chok-Taw e portarvi al lago Mizogan.»
Measure, che conosceva meglio di Alvin le carte di Corazza-di-Dio, riconobbe quel nome. «È il grande lago dove si trova Fort Chicago.»
«Noi non andiamo a Fort Chicago» disse Ta-Kumsaw. «Andiamo nel luogo sacro.»
«Una chiesa?» chiese Alvin.
Ta-Kumsaw rise. «Voi Bianchi quando fate sacro un luogo costruite delle mura in modo che niente di ciò che fa parte della terra possa entrarvi. Il vostro dio non è niente e non sta da alcuna parte, perciò voi costruite chiese in cui non c’è niente di vivo, chiese che potrebbero stare ovunque, non importa dove… niente e da nessuna parte.»
«E allora che cos’è a rendere sacro un posto?» chiese Alvin.
«È dove l’uomo rosso parla alla terra, e la terra gli risponde.» Ta-Kumsaw sorrise. «Dormite, ora. Domani partiremo prima dell’alba.»
«Stanotte ha l’aria di volere far freddo» disse Measure.
«Le donne vi porteranno delle coperte. I guerrieri non ne hanno bisogno. Siamo d’estate.» Ta-Kumsaw si allontanò di qualche passo, quindi si voltò per rivolgersi nuovamente a Alvin. «Weaw-Moxiky correva dietro di te, ragazzo bianco. Ha visto che cosa facevi. Quando sarai di fronte a Tenska-Tawa, non nascondere nulla. Se tu mentissi, se ne accorgerebbe subito.» Un istante dopo il capo era scomparso.
«Di che diavolo sta parlando?» chiese Measure.
«Mi piacerebbe saperlo» disse Al. «Mi sa proprio che avrò dei problemi a dire la verità, se non ho la minima idea di quel che vogliono sapere.»
Poco dopo arrivarono le coperte. Al si accoccolò contro il fratello maggiore, più per farsi coraggio che per scaldarsi. Lui e Measure continuarono a bisbigliare per qualche tempo, cercando di risolvere i numerosi enigmi della giornata. Se inizialmente Ta-Kumsaw non aveva avuto niente a che fare con quella storia, per quale motivo i Chok-Taw avevano inciso sulle selle il suo nome e quello del Profeta? Anche ammettendo che quella fosse solo una messinscena, alla fine i prigionieri se li era presi lui e ora li stava portando al lago Mizogan, invece di lasciarli semplicemente andare a casa. E questo avrebbe fatto una pessima impressione. Per evitare una guerra, qualcuno avrebbe dovuto dar fondo a tutte le sue risorse dialettiche.
Ma alla fine tacquero, sfiniti dopo tanto correre, per non parlare della fatica fatta per spostare l’albero, e della paura che si erano presi quando i Chok-Taw si erano messi in mente di torturarli. Measure cominciò a russare piano. Alvin si sentì a poco a poco invadere dalla sonnolenza. Negli ultimi istanti prima di addormentarsi, udì di nuovo quella musica verde, o la vide, o comunque ne avvertì la presenza. Ma prima di poterla veramente ascoltare, si assopì. Si assopì e dormì tranquillamente, con la brezza notturna che portava fino a loro la frescura del fiume; con la coperta e il tepore del corpo di Measure a tenergli caldo, i versi degli animali notturni, il pianto di un lattante affamato da una capanna, chissà dove; tutto questo faceva parte della musica verde che gli fluiva nella testa.
VIII
AMICO DEI ROSSI
Si radunarono nella spianata, una trentina di uomini bianchi torvi in viso, infuriati e stanchi per la dura marcia attraverso i boschi. La pista era abbastanza facile da seguire, ma sembrava che i rami non facessero che agguantarli, e che le radici li facessero inciampare a bella posta. Con i Bianchi la foresta non era mai accogliente. Poi avevano perso un’ora quando la pista era arrivata a un ruscello, e loro avevano dovuto batterne le rive a monte e a valle per capire dove i Rossi avevano fatto uscire dall’acqua i ragazzi per riprendere il cammino sul terreno asciutto. Quando aveva visto che i ragazzi erano stati costretti a entrare in acqua, il vecchio Alvin Miller era quasi uscito di senno. Prima di poter riprendere il cammino, suo figlio Cairn aveva dovuto impiegare dieci minuti buoni. Quell’uomo era praticamente impazzito dalla paura.