«E se mi uccideranno, morirai anche tu?»
Ta-Kumsaw studiò per qualche istante il corpo di Measure. Magro e forte Measure sapeva di esserlo, a forza di abbattere alberi e spaccar legna, portare secchi d’acqua, sollevare balle di fieno e issare sacchi di grano nel mulino. Ma non era duro. La sua pelle era malamente scottata a causa del sole preso sulle dune, anche se aveva cercato di proteggersi con una coperta. Forte ma morbido, così lo giudicò Ta-Kumsaw dopo averlo studiato.
«Il colpo capace di ucciderti» disse Ta-Kumsaw «a me non procurerebbe che qualche livido.»
«Allora ammetti che non è leale.»
«Lealtà è quando due uomini affrontano lo stesso dolore. Coraggio è quando due uomini affrontano lo stesso dolore. Tu non vuoi una prova leale, vuoi una prova facile. Vuoi esser sicuro. Sei un vigliacco. Sapevo che non l’avresti fatto.»
«Lo farò» disse Measure.
«E tu!» esclamò Ta-Kumsaw, puntando il dito verso Alvin. «Non toccherai nulla, non curerai nulla, non guarirai nulla, non allevierai il dolore di nessuno!»
Alvin non proferì verbo, limitandosi a fissarlo. Era l’espressione che Alvin assumeva quando non aveva la minima intenzione di fare quello che gli dicevi.
«Al» intervenne Measure. «Devi promettermi che non ti immischierai.»
Al strinse più forte le labbra e non rispose.
«È meglio che tu mi prometta di non immischiarti, Alvin Junior, o io a casa non ci andrò proprio.»
Alvin promise. Ta-Kumsaw annuì e si avvicinò ai suoi ragazzi, rivolgendosi a loro in shawnee. A Measure dalla paura veniva voglia di vomitare.
«Perché hai paura, uomo bianco?» chiese il Profeta.
«Perché non sono uno stupido» disse Measure. «Solo uno stupido non avrebbe paura di passare sotto il gatlopp.»
Il Profeta rise e se ne andò.
Alvin era di nuovo seduto sulla sabbia, intento a disegnare col dito, o a scrivere, o quel che era.
«Non sei arrabbiato con me, vero, Alvin? Perché devo proprio dirtelo, non puoi essere arrabbiato con me più di quanto io non sia arrabbiato con te. Verso questi Rossi non hai alcun debito, ma verso papà e mamma ce l’hai, eccome. Così come stanno le cose, non posso costringerti a far nulla, ma posso dirti che mi vergogno di vederti dalla loro parte, contro di me e il resto della tua famiglia.»
Al sollevò lo sguardo, e i suoi occhi erano pieni di lacrime. «Forse in realtà sono dalla parte della mia famiglia, non ci hai pensato?»
«Mi pare un modo ben strano, visto che in questo modo sicuramente farai star male tuo padre e tua madre per mesi e mesi.»
«Non ti viene mai da pensare a qualcosa di più grande della nostra famiglia? Non ti viene da pensare che forse il Profeta stia preparando un piano per salvare la vita a migliaia e migliaia di Rossi e di Bianchi?»
«Ecco la differenza tra me e te» disse Measure. «Io non credo che esista qualcosa di più grande della famiglia.»
Quando Measure se ne andò, Alvin stava ancora scrivendo. Measure non aveva fatto caso a ciò che Alvin aveva scritto sulla sabbia. L’aveva visto, ma non l’aveva guardato, non l’aveva letto. Ora, tuttavia, quelle parole gli balzarono alla mente, SCAPPA SUBITO, ecco quello che Alvin stava scrivendo. Un messaggio per lui? E allora perché non gliel’aveva comunicato a voce? La cosa non aveva senso. Probabilmente quelle parole non erano dirette a lui. E sicuramente Measure non aveva la minima intenzione di scappare. Se l’avesse fatto, Ta-Kumsaw e tutti quei Rossi lo avrebbero considerato per sempre un vigliacco. E poi che differenza ci sarebbe stata? In quei boschi i Rossi l’avrebbero acchiappato in un batter d’occhio, e l’avrebbero comunque fatto passare sotto il gatlopp, solo che stavolta sarebbe stato molto peggio.
I guerrieri formarono una doppia fila sulla sabbia. Ciascuno aveva in mano un bastone o un grosso ramo. Measure guardò un vecchio togliere a Ta-Kumsaw la collana che questi portava al collo, quindi il perizoma. Ta-Kumsaw si girò verso Measure e sorrise: «L’uomo bianco quando non ha vestiti è nudo. L’uomo rosso nella sua terra non è mai nudo. I miei vestiti sono il vento, il calore del sole, la polvere della terra, l’acqua della pioggia. Sono questi i vestiti che indosso. Io sono la voce e il volto della terra!»
«Tagliamo corto» borbottò Measure.
«Conosco qualcuno che direbbe che un uomo come te non ha la poesia nell’anima» disse Ta-Kumsaw.
«E io conosco un sacco di gente che direbbe che un uomo come te l’anima non ce l’ha proprio.»
Ta-Kumsaw gli lanciò un’occhiata di fuoco, latrò qualche parola ai suoi uomini, quindi si avviò tra le due file di guerrieri.
Avanzò lentamente, alzando il mento con aria arrogante. Il primo Rosso lo colpì sulle cosce, usando la parte più sottile di un ramo. Ta-Kumsaw gli strappò il ramo dalle mani, lo girò, e gli fece cenno di colpirlo di nuovo, stavolta al petto, un colpo violento che gli vuotò i polmoni dell’aria che contenevano. Da dove si trovava, Measure lo udì grugnire.
I Rossi erano disposti sulla pendice di una duna, e il terreno in salita costringeva Ta-Kumsaw a procedere lentamente. Ma anche sotto i colpi che gli grandinavano addosso, non ebbe mai la minima esitazione. I suoi uomini avevano un’espressione dura, decisa. Lo stavano aiutando a dimostrarsi coraggioso, e di conseguenza gli facevano male… ma niente che potesse causare danni seri. Il peggio lo prese sulle cosce, sul ventre e sulle spalle. Niente sugli stinchi, niente sulla faccia. Ma questo non significava che gliela facessero passare liscia. Measure poteva vedere il sangue colargli sulle spalle, ferite dalla ruvida scorza dei rami. Si immaginò di ricevere ciascuno di quei colpi, e capì che lui sarebbe stato colpito con più forza. Sono un vero pollo, si disse. Ho voluto fare a gara di coraggio con l’uomo più nobile d’America.
Ta-Kumsaw arrivò alla fine, si voltò e guardò Measure dall’alto della duna. Sorrideva, col corpo lucido di sangue. «E adesso tocca a te, mio coraggioso uomo bianco» lo invitò.
Measure non esitò. S’incamminò verso il gatlopp. A fermarlo fu una voce alle sue spalle. Era il Profeta, che urlava qualcosa in shawnee. I Rossi lo guardarono. Quando ebbe finito, Ta-Kumsaw sputò. Measure, senza sapere che cosa fosse stato detto, riprese a camminare. Quando arrivò davanti al primo Rosso, si aspettava come minimo un colpo come quello che aveva ricevuto Ta-Kumsaw. Ma non accadde nulla. Fece un altro passo. Nulla. Forse, per mostrargli il loro disprezzo, volevano colpirlo alla schiena; ma mentre continuava a risalire il fianco della duna nessuno lo colpì, nessuno si mosse.
Avrebbe dovuto sentirsi sollevato, lo sapeva, e invece provava solo rabbia. Dopo aver aiutato Ta-Kumsaw a mostrare il proprio coraggio, adesso facevano in modo che la marcia di Measure attraverso il gatlopp non avvenisse sotto il segno dell’onore, ma sotto quello della vergogna. Measure si voltò di scatto a guardare il Profeta, ritto ai piedi della duna con il braccio intorno alle spalle di Alvin.
«Che cosa gli hai detto?» chiese Measure.
«Ho detto loro che, se ti avessero ucciso, tutti avrebbero detto che Ta-Kumsaw e il Profeta vi avevano rapito per uccidervi. Ho detto loro che se ti avessero lasciato il minimo segno, quando fossi tornato a casa tutti avrebbero detto che vi avevamo torturati.»
«E io dico che voglio una possibilità per dimostrarvi che non sono un vigliacco!»
«Il gatlopp è un’idea stupida per un uomo che ha dimenticato quale sia il proprio dovere.»
Measure stese la mano afferrando un bastone dalla mano di un Rosso. Quindi cominciò a colpirsi ripetutamente sulla coscia, cercando di farne uscire il sangue. Faceva male, ma non abbastanza, perché, per quanta volontà ci mettesse, al momento di ferirsi il suo braccio esitava. Allora restituì il bastone in malo modo al guerriero e gli ordinò: «Colpiscimi!»