«Non io. Non la mia gente. Nessuno di noi allungherà il collo in attesa del coltello dei Bianchi.»
Il Profeta afferrò Ta-Kumsaw per le spalle, mentre le lacrime gli rigavano il volto. Premendo la guancia contro quella di Ta-Kumsaw, bagnò con le proprie lacrime il viso del fratello.
«Quando tutto sarà finito, vieni a cercarmi di là dal Mizzipy» si raccomandò il Profeta.
«Non permetterò mai che la terra venga divisa» asserì Ta-Kumsaw «L’est non appartiene all’uomo bianco.»
«L’est morirà» disse il Profeta. «Seguimi a ovest, dove l’uomo bianco non arriverà mai.»
Ta-Kumsaw non rispose.
Alvin, il Ragazzo Bianco, toccò la mano del Profeta. «Tenska-Tawa, questo forse significa che non potrò mai andare all’ovest?»
Il Profeta rise. «Perché pensi che ti mandi con Ta-Kumsaw? Se c’è qualcuno al mondo che può trasformare in Rosso un ragazzo bianco, questi è Ta-Kumsaw.»
«Non lo voglio» protestò Ta-Kumsaw.
«Allora morirai» disse il Profeta.
Dette queste parole, Tenska-Tawa scese lungo il fianco della duna fino al gruppetto di uomini che lo attendevano, le mani grondanti sangue, per sigillare il patto. Insieme, si avviarono in direzione dei loro familiari, in attesa sulla sponda del lago. L’indomani sarebbero tornati a Prophetstown. Pronti al macello.
Ta-Kumsaw attese che il Profeta fosse scomparso dietro una duna. Quindi, alle centinaia di uomini che rimanevano, urlò: «Quando avrà pace l’uomo bianco?»
«Quando se ne andrà!» urlarono quelli di rimando. «Quando morirà!»
Ta-Kumsaw rise e spalancò le braccia. Avvertiva il loro amore e la loro fiducia come il calore del sole in una giornata d’inverno. Uomini da meno avevano provato quel calore e se n’erano sentiti oppressi, perché non erano degni della fiducia riposta in loro. Ma non Ta-Kumsaw. Aveva misurato le proprie capacità, e sapeva che non c’era compito del quale non sarebbe stato all’altezza. Solo il tradimento avrebbe potuto precludergli la vittoria. E Ta-Kumsaw sapeva penetrare nel cuore degli uomini. Capiva subito se di qualcuno ci si poteva fidare, se mentiva o diceva la verità. Non aveva forse capito il governatore Harrison fin dal primo momento? Un uomo di tal fatta non poteva nascondersi al suo sguardo.
Pochi minuti dopo erano già in cammino. Un gruppo di qualche decina d’uomini condusse le donne e i bambini nel luogo in cui il loro villaggio itinerante si sarebbe temporaneamente stabilito. Non restavano mai più di tre giorni nello stesso posto; un villaggio permanente come Prophetstown sarebbe stato un invito al massacro. L’unico punto a vantaggio del Profeta era il grande numero dei suoi seguaci. A Prophetstown abitavano ormai diecimila Rossi, più di quanti ne fossero mai vissuti in un unico centro. E quello era un luogo di grandi prodigi, lo stesso Ta-Kumsaw doveva riconoscerlo. Il mais produceva fino a sei pannocchie per pianta, straordinariamente grosse e succose. I bisonti e i cervi arrivavano a Prophetstown da un raggio di cento miglia, si avvicinavano spontaneamente ai fuochi di cottura e si stendevano a terra in attesa del coltello. Quando le oche volavano nel cielo, da ogni stormo se ne staccava un certo numero che scendeva nel Wobbish e nel Tippy-Canoe, e lì restava in attesa della freccia. Anche i pesci risalivano a frotte l’Hio per balzare nelle reti dei pescatori.
Tutto questo non avrebbe significato nulla, se l’uomo bianco avesse aperto il fuoco con i cannoni caricati a mitraglia e a shrapnel sulle tende e sulle capanne della città dei Rossi. Il micidiale metallo avrebbe attraversato le pareti come se fossero state di carta… una pioggia mortale che non sarebbe stata trattenuta da quelle fragili strutture di pali e di fango. Quel giorno, ogni Rosso di Prophetstown avrebbe rimpianto il suo giuramento.
Ta-Kumsaw li condusse attraverso la foresta. Nella fila, il ragazzo bianco si trovava subito dietro di lui. Ta-Kumsaw impresse alla corsa un’andatura micidiale, due volte più veloce di quella che avevano tenuto nel condurre il ragazzo e suo fratello al lago Mizogan. Di lì a Fort Detroit c’erano duecento miglia, e Ta-Kumsaw era deciso a coprire l’intera distanza in un solo giorno. Nessun uomo bianco avrebbe potuto riuscirci… o, se era per quello, nessun cavallo. Un miglio ogni cinque minuti, sempre avanti, mentre il vento della corsa gli frustava il ciuffo di capelli alla sommità della testa. Tenere quel passo per più di mezz’ora avrebbe ucciso qualsiasi essere umano; ma l’uomo rosso poteva far ricorso alla forza della terra. Il terreno assecondava i suoi passi, aggiungendo forza alla forza. I cespugli si aprivano per lasciarlo passare; dove non c’era spazio, questo compariva; su fiumi e torrenti Ta-Kumsaw volava senza nemmeno toccare il fondo, affondando i piedi di quel tanto che bastava per far presa sull’acqua. Tanto bramava arrivare a Fort Detroit che la terra gli rispose dandogli nutrimento e forza. E non solo Ta-Kumsaw, ma ciascuno di coloro che lo seguivano, ogni Rosso capace di avvertire dentro di sé il contatto con la terra, s’imbevve della stessa forza che sosteneva il capo, posando il piede nello stesso punto, un passo dopo l’altro, come se fossero stati una sola grande anima che percorreva un unico angusto sentiero nella foresta.
Prima o poi il ragazzo bianco dovrò mettermelo in spalla, pensò Ta-Kumsaw. Ma i passi alle sue spalle — perché nel correre i Bianchi facevano rumore — gli tenevano dietro, seguendo un ritmo identico al suo.
Questo era evidentemente impossibile. Le gambe del ragazzo erano troppo corte, e per coprire la stessa distanza avrebbe dovuto fare un maggior numero di passi. Eppure a ogni falcata di Ta-Kumsaw ne corrispondeva una del ragazzo, con tale precisione che quel rumore di passi avrebbe potuto essere il suo.
Un minuto dopo l’altro, un miglio dopo l’altro, un’ora dopo l’altra, il ragazzo continuò a tenergli dietro.
Il sole tramontò dietro di lui, sopra la sua spalla destra. Spuntarono le stelle, ma non la luna. Sotto gli alberi il buio era completo. Eppure non rallentarono, per loro era facile trovare la strada nella foresta, perché non lo facevano con gli occhi o con la mente, ma era la terra stessa a guidarli nell’oscurità conducendoli dove non c’erano pericoli. Più volte, quella notte, Ta-Kumsaw notò che i passi del ragazzo non facevano più alcun rumore. In quelle occasioni si rivolgeva in shawnee all’uomo che correva dietro il ragazzo bianco chiedendogli che cosa questi facesse, e ogni volta l’uomo gli rispondeva: «Corre».
Si levò la luna, gettando chiazze di pallida luce tra gli alberi della foresta. Superarono un temporale: sotto i loro piedi il terreno si fece umido, poi bagnato; attraversarono di corsa brevi rovesci, poi una pioggia fitta e costante, poi altri rovesci; quindi il terreno si fece di nuovo asciutto. Ma non rallentarono mai il passo. Il cielo a oriente si fece grigio, poi rosa, poi azzurro. All’improvviso spuntò il sole. L’aria si era intiepidita e il sole era già tre palmi sopra l’orizzonte quando scorsero il fumo dei camini, poi la bandiera con i fiordalisi, afflosciata per mancanza di vento; infine, la croce della cattedrale. Solo allora rallentarono la corsa. Solo allora ruppero il perfetto unisono dei loro passi, allentarono mentalmente la presa sulla terra, e si fermarono a riposare su un prato così vicino alla città che si udivano le note dell’organo della cattedrale.
Ta-Kumsaw si fermò, e il ragazzo si fermò dietro di lui. Come aveva fatto Alvin, ragazzo bianco, a correre come un uomo rosso per tutta la notte? Ta-Kumsaw si inginocchiò davanti a lui. Anche se aveva gli occhi aperti, Alvin pareva non vedere nulla. «Alvin» disse Ta-Kumsaw, in inglese. Il ragazzo non rispose. «Alvin, stai dormendo?»
Alcuni guerrieri si radunarono intorno a loro. Dopo il lungo viaggio, erano silenziosi e stanchi. Non esausti, perché la terra stessa li aveva corroborati durante il tragitto. Il loro silenzio era piuttosto dovuto a un senso di meraviglia per essere stati così vicini alla terra; un viaggio del genere era considerato qualcosa di sacro, un dono della terra ai più nobili dei suoi figli. Numerosi erano i Rossi che avevano intrapreso un viaggio del genere ed erano stati respinti, costretti a fermarsi per dormire, riposare, mangiare; costretti a fermarsi dall’oscurità o dal cattivo tempo, perché il loro bisogno non era abbastanza grande, o il viaggio stesso andava contro ciò di cui la terra stessa aveva bisogno. Ta-Kumsaw non aveva mai subito un simile rifiuto; tutti i suoi compagni lo sapevano. Era questo uno dei motivi per cui Ta-Kumsaw non era tenuto in minor considerazione del fratello. Il Profeta sapeva compiere miracoli, ma nessuno poteva condividere le sue visioni; agli altri, egli poteva solo raccontarle. Quello che faceva Ta-Kumsaw, invece, i suoi guerrieri lo facevano insieme con lui, lo provavano insieme con lui.