Napoleone era irritato, ma rise. «È vero per metà» disse. «Anche se di te non m’importerà più nulla, continuerò a pensarti. Da te ho imparato molto, Ta-Kumsaw. Ho imparato che per un soldato l’amore per il comandante è più importante dell’amor di patria, che l’amor di patria è più importante della speranza di gloria, che la speranza di gloria è più importante del saccheggio, e che il saccheggio è più importante della paga. Ma la cosa più importante di tutte è combattere per una causa. Per un sogno grande e nobile. I miei uomini mi hanno sempre amato. Per me sarebbero disposti a morire. Ma, per una causa, lascerebbero morire la moglie e i figli, sicuri che ne valga la pena.»
«Com’è possibile che sia stato io a insegnarti queste cose?» si schermì Ta-Kumsaw. «Sono discorsi che potrebbe fare mio fratello, non io.»
«Tuo fratello? Avrei pensato che secondo lui non esista niente per cui valga la pena di morire.»
«No, riguardo al morire è di manica larga. È l’uccidere che non ammette.»
Napoleone rise, e Ta-Kumsaw rise insieme con lui. «Hai ragione, lo sai? Noi due non siamo amici. Ma tu mi piaci. Quello che mi sconcerta è che… Quando avrai vinto, e gli uomini bianchi non ci saranno più, te ne andrai veramente per la tua strada lasciando che tutte le tribù se ne tornino là da dove sono venute, divise, litigiose, deboli?»
«Felici. Com’eravamo una volta. Molte tribù, molte lingue, ma una sola terra vivente.»
«Deboli» ribadì Napoleone. «Se mai riuscissi a unire tutta la mia terra sotto la mia bandiera, Ta-Kumsaw, la terrei unita così strettamente e tanto a lungo che i suoi abitanti diventerebbero un solo grande popolo, grande e forte. E se mai ci riuscirò, puoi far conto su una cosa. Torneremo, e ci riprenderemo questa terra, come qualsiasi altra terra sulla terra. Contaci.»
«Questo perché sei un malvagio, generale Bonaparte. Tu vuoi piegare tutto e tutti sotto il tuo comando.»
«La mia non è malvagità, stupido selvaggio. Se tutti mi obbedissero, sarebbero felici e sicuri, in pace, e — per la prima volta nella storia — liberi.»
«Sicuri, a patto di non contraddirti. Felici, a patto di non odiarti. Liberi, a patto di non desiderare qualcosa di contrario alla tua volontà.»
«Ma guarda un po’, un Rosso filosofo. Lo sanno, quei bifolchi del sud, che hai letto Newton, Voltaire, Rousseau e Adam Smith?»
«Probabilmente non sanno nemmeno che so leggere nella loro lingua.»
Napoleone si chinò sulla scrivania. «Li distruggeremo, Ta-Kumsaw, tu e io insieme. Ma devi procurarmi un esercito.»
«Mio fratello prevede che l’avremo prima della fine dell’anno.»
«È una profezia?»
«Tutte le sue profezie si avverano.»
«Ti ha per caso detto se vinceremo?»
Ta-Kumsaw rise. «Dice che sarai conosciuto come il più grande generale europeo mai vissuto, e io come il più grande capo dei Rossi.»
Napoleone si passò le dita tra i capelli e sorrise, con un’espressione quasi fanciullesca; nel giro di un istante poteva farsi minaccioso, amichevole o adorabile, a volontà. «Mi sembra che la tua non sia una vera risposta. Anche i morti possono essere chiamati grandi.»
«Ma coloro che perdono le battaglie non sono mai chiamati grandi, non è vero? Nobili, forse, o magari eroi. Ma non grandi.»
«È vero, Ta-Kumsaw, è vero. Ma tuo fratello è troppo oscuro. Oracolare. Delfico.»
«Non conosco queste parole.»
«Ma certo che non le conosci. Sei un selvaggio.» Napoleone si versò da bere. «Me n’ero dimenticato. Un po’ di vino?»
Ta-Kumsaw scosse la testa.
«Immagino che nemmeno il ragazzo ne beva.»
«Ha solo dieci anni» disse Ta-Kumsaw.
«In Francia, gli daremmo vino allungato con l’acqua. Che cosa te ne fai di un ragazzo bianco, Ta-Kumsaw? Ti sei messo a rapire bambini, adesso?»
«Questo ragazzo bianco» spiegò Ta-Kumsaw «è più di quel che sembra.»
«Con quel perizoma, francamente non sembra gran che. Il francese lo capisce?»
«Nemmeno una parola» disse Ta-Kumsaw. «Il motivo per cui sono venuto è… puoi fornirci dei fucili?»
«No» rispose Napoleone.
«Frecce contro pallottole, possiamo fare ben poco» borbottò Ta-Kumsaw.
«La Fayette non intende autorizzarci a fornirvi armi da fuoco. E Parigi è d’accordo con lui. Di voi non si fidano. Hanno paura che, se vi dessimo dei fucili, finireste con l’usarli contro di noi.»
«E allora a che pro radunare un esercito?»
Napoleone sorrise, sorseggiando il suo vino. «Ho avuto occasione di parlare con alcuni mercanti Irrakwa.»
«Gli Irrakwa non sono che urina di cane tignoso» disse Ta-Kumsaw. «Erano già animali selvaggi e crudeli prima che arrivassero i Bianchi. Ora sono peggio.»
«Strano. Gli inglesi sembrano considerarli anime gemelle. E La Fayette li adora. L’unica cosa che ci interessa in questo momento, tuttavia, è che fabbricano fucili in quantità e a basso costo. In fatto di efficienza possono lasciare un po’ a desiderare, ma usano tutti munizioni dello stesso tipo. Questo vuol dire che i proiettili da loro prodotti sono esattamente della stessa misura della canna, e questo assicura una maggiore precisione nel tiro. E li vendono a prezzo più basso degli altri.»
«E voi sareste disposti ad acquistarli per noi?»
«No. Sarete voi ad acquistarli.»
«Noi non abbiamo denaro.»
«Pellicce» suggerì Napoleone. «Pellicce di castoro e di visone. Pelli di daino e di bisonte.»
Ta-Kumsaw scosse la testa. «Non possiamo chiedere agli animali di morire solo perché abbiamo bisogno di fucili.»
«Peccato» fu il commento di Napoleone. «Mi dicono che voi Rossi avete un certo talento per la caccia.»
«I veri Rossi sì. Non gli Irrakwa. Ormai è troppo tempo che usano le macchine dell’uomo bianco. Per la terra sono morti, proprio come i Bianchi. Altrimenti quelle pellicce andrebbero a cercarsele da soli.»
«Vorrebbero anche qualcos’altro. Oltre alle pellicce» commentò Napoleone.
«Noi non abbiamo niente che gli Irrakwa possano volere.»
«Ferro» disse Napoleone.
«Noi non abbiamo ferro.»
«No. Ma gli Irrakwa sanno dove si trova. All’estremo nord del bacino del Mizzipy, e lungo il Mizota. Nei pressi della sponda settentrionale del lago High Water. Da voi vogliono soltanto una promessa: che non assalirete le imbarcazioni che trasporteranno il minerale ferroso verso l’Irrakwa, né i minatori che lo estrarranno dalle viscere della terra.»
«Pace per il futuro, in cambio di fucili adesso?»
«Sì» disse Napoleone.
«E non temono che quei fucili possano essere usati contro di loro!»
«Ti chiedono di promettere che non lo farai.»
Ta-Kumsaw soppesò la questione. «Agli Irrakwa puoi dire questo. Prometto che se ci riforniranno di fucili, nessuna di quelle armi verrà mai usata contro di loro. Tutti i miei uomini pronunceranno questo giuramento. In più, non assaliremo le loro imbarcazioni sull’acqua, né i minatori che estrarranno il minerale dalla terra.»
«E manterrai la promessa?» chiese Napoleone.
«Quello che ho detto lo manterrò» disse Ta-Kumsaw.
«Anche se li odi?»
«Se li odio è perché la terra stessa li odia. Quando l’uomo bianco se ne sarà andato, e la terra sarà di nuovo forte, e non più malata, i minatori saranno inghiottiti dai terremoti, le imbarcazioni saranno affondate dalle tempeste, e gli Irrakwa torneranno a essere veri uomini rossi, o periranno. Quando l’uomo bianco se ne sarà andato, la terra si mostrerà inflessibile con i suoi figli rimasti.»