L’incontro era terminato. Ta-Kumsaw si alzò e strinse la mano al generale. Alvin li sorprese entrambi facendo un passo avanti e tendendo a sua volta la mano.
Napoleone gliela strinse, divertito. «Di’ a questo ragazzo di evitare le compagnie pericolose» disse.
Ta-Kumsaw fece da interprete. Alvin lo guardò spalancando gli occhi. «Vuol riferirsi a te?» chiese.
«Penso di sì» disse Ta-Kumsaw.
«Ma se è lui l’uomo più pericoloso del mondo!» esclamò Alvin.
Quando Ta-Kumsaw gli tradusse le parole del ragazzo, Napoleone rise. «E che pericolo posso rappresentare? Un piccolo uomo piantato in queste terre selvagge, mentre il centro del mondo è in Europa, e là si combattono grandi guerre a cui non posso partecipare!»
Ta-Kumsaw non ebbe bisogno di tradurre… il ragazzo aveva già interpretato l’espressione di Napoleone. «È pericoloso perché sa farsi amare dagli altri senza meritarselo.»
Ta-Kumsaw avvertì la verità nelle parole del ragazzo. Era questo l’effetto che Napoleone faceva ai Bianchi e, sì, era un uomo pericoloso, pericoloso e malvagio e oscuro. È questo l’uomo dal quale mi aspetto un aiuto? Che mi sono scelto per alleato? Sì, è lui, perché non ho altra scelta. Anche se Napoleone insisté, Ta-Kumsaw non volle tradurgli le parole del ragazzo. Fino a quel momento il generale francese non aveva tentato di gettare il suo incantesimo su Alvin. Se avesse saputo quello che il ragazzo aveva detto, avrebbe potuto provarci, e non era detto che non ci riuscisse. Ta-Kumsaw stava cominciando a capire che cosa si nascondeva in quel ragazzo. Forse era già diventato troppo forte perché Napoleone riuscisse a incantarlo. Ma era anche possibile che Alvin si trasformasse in uno schiavo adorante come de Maurepas. Meglio non metterlo alla prova. Meglio portarselo via.
Alvin volle assolutamente vedere la cattedrale. Vedendo entrare nel tempio un uomo e un ragazzo che indossavano solo un perizoma, un prete parve raccapricciato ma un secondo prete lo rimproverò e li accolse cortesemente. Ta-Kumsaw restava sempre divertito dalle statue dei santi. Tutte le volte che era possibile, esse raffiguravano il santo mentre veniva sottoposto alle più atroci torture. I Bianchi parlavano tanto della barbara usanza dei Rossi di torturare i prigionieri in modo da consentir loro di dimostrare il proprio coraggio. E alla fine, di fronte a che cosa si genuflettevano in preghiera? Alle statue di uomini che avevano dimostrato il proprio coraggio sotto la tortura. Impossibile trovare un senso nel comportamento dei Bianchi.
Nell’uscire a passo lento dalla città, Ta-Kumsaw e Alvin parlarono di queste cose. Ta-Kumsaw cercò inoltre di spiegare al ragazzo come facessero i Rossi a correre così lontano e così in fretta, e quanto fosse straordinario che un ragazzo bianco riuscisse a tenere il loro passo.
Alvin parve capire in che modo i Rossi partecipassero della vita della terra; o almeno ci provò. «Penso di averlo provato anch’io. Mentre correvo. È come se non fossi più in me. I miei pensieri vagano in ogni direzione. Un po’ come sognare. E mentre non ci sono, qualcos’altro dice al mio corpo che cosa fare. Lo nutre, lo usa, lo porta dove vuole. È la stessa cosa che provi anche tu?»
No, non era affatto ciò che provava Ta-Kumsaw. Quando la terra entrava in lui, si sentiva più vivo che mai; non assente dal proprio corpo, ma più presente che in qualsiasi altro momento. Ma questo al ragazzo non lo spiegò, preferendo rispondere con un’altra domanda. «Hai detto che per te è come sognare. Che cos’hai sognato la notte scorsa?»
«Ho sognato le visioni che ho avuto quando mi trovavo nella torre di cristallo con l’Uomo Luminoso… col Profeta.»
«L’Uomo Luminoso. Sì, ti ho sentito chiamarlo così… Tenska-Tawa me ne ha spiegato il perché.»
«Ho sognato di nuovo quelle cose. Ma stavolta era diverso. Certe cose riuscivo a distinguerle più chiaramente, mentre altre me l’ero dimenticate.»
«Hai per caso sognato qualcosa che non avevi già visto?»
«Sì, questo posto. Le statue nella cattedrale. E l’uomo che siamo andati a trovare, quel generale. E una cosa ancora più strana. Una collina, alta, quasi circolare… no, ottagonale. Questo me lo ricordo bene, il sogno era chiarissimo. Una collina con otto facce piane, che dalla cima si allargavano fino alla base. E all’interno c’era una città con un sacco di piccole stanze, come in un formicaio, ma abbastanza grandi perché ci potessero vivere delle persone. O comunque, esseri più grandi delle formiche. E io mi trovavo in cima alla collina e mi aggiravo in mezzo a strani alberi — le foglie non erano verdi, ma d’argento — e cercavo mio fratello. Mio fratello Measure.»
Ta-Kumsaw tacque a lungo. Ma pensò molte cose. Nessun Bianco aveva mai visto quel luogo… la terra era ancora abbastanza forte da impedir loro di scoprirlo. Eppure quel ragazzo l’aveva sognato. E la Collina Ottagonale non si sognava mai per caso. Significava sempre qualcosa. E sempre la stessa cosa.
«Dobbiamo andare laggiù» decise Ta-Kumsaw.
«Dove?»
«Alla collina del sogno» spiegò Ta-Kumsaw.
«Esiste davvero un posto del genere?»
«Nessun Bianco vi ha mai messo piede. Per un Bianco avvicinarsi a quel posto sarebbe… una cosa sporca.» Alvin non rispose. Che avrebbe potuto dire? Ta-Kumsaw deglutì con sforzo evidente. «Ma se lo sogni, ci devi andare.»
«Ma che cos’è?»
Ta-Kumsaw scosse la testa. «È il posto che hai sognato. Non posso dirti altro. Se vuoi saperne di più, prova a sognarlo di nuovo.»
Quando raggiunsero l’accampamento, era ormai il crepuscolo. Minacciava di piovere, e i guerrieri avevano costruito delle capanne. Per via della profezia, gli altri avrebbero preferito che Ta-Kumsaw dormisse con Alvin. Ma Ta-Kumsaw non volle. Quel ragazzo gli faceva paura. La terra stava operando in lui strane cose, senza dare a Ta-Kumsaw il minimo indizio di ciò che stava accadendo.
Ma quando uno sogna di trovarsi sulla Collina Ottagonale, non ha scelta. Deve andarci. E siccome da solo Alvin non avrebbe mai trovato la strada, Ta-Kumsaw avrebbe dovuto accompagnarlo.
Ma questo agli altri non avrebbe mai potuto spiegarlo, e anche potendo non l’avrebbe fatto ugualmente. Se si fosse sparsa la voce che Ta-Kumsaw aveva condotto un Bianco nel luogo sacro dei loro antenati, molti Rossi si sarebbero rifiutati di prestare ascolto alle sue parole.
Perciò il mattino seguente disse agli altri che avrebbe condotto il ragazzo nella foresta per istruirlo, così come gli era stato ordinato dal Profeta. «Ci troveremo tra cinque giorni là dove il Pickawee si unisce all’Hio» disse. «Di lì, andremo a sud per parlare ai Chok-Taw e ai Chicky-Saw.»
Gli altri gli chiesero di poterlo accompagnare; da solo con Alvin, dissero, sarebbe stato troppo pericoloso. Ma Ta-Kumsaw non rispose, e ben presto gli altri rinunciarono. Così Ta-Kumsaw partì di corsa, e anche questa volta Alvin prese la sua stessa andatura, posando il piede esattamente dove lo posava lui, in perfetto unisono. Il viaggio che li attendeva era quasi pari a quello dal lago Mizogan a Detroit. Al tramonto si sarebbero trovati ai confini della Terra delle Selci, dove Ta-Kumsaw aveva intenzione di fermarsi a dormire. Anche lui aveva bisogno di sognare, prima di azzardarsi a condurre un ragazzo bianco alla Collina Ottagonale.
XII
CANNONI
Measure li udì arrivare solo pochi secondi prima che la porta si spalancasse e la luce invadesse la cantina. Ebbe appena il tempo di scaricare il terriccio, cacciarsi il perizoma sotto la cintura di pelle di daino e scavalcare carponi il mucchio di patate. Il perizoma era ridotto a un lurido straccio, ma non era certo il momento di fare lo schizzinoso.