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«Questo posto appartiene a tutti. Tutti i Rossi qui sono in pace. Niente sangue, niente guerre, niente litigi… o la tribù resta senza selci.»

«Quanto vorrei che il mondo intero fosse così» disse Alvin.

«Basta ascoltare mio fratello abbastanza a lungo, ragazzo bianco, e uno comincia a pensare che la meta sia già raggiunta. No, no, non spiegarmi nulla. Non difenderlo. Lui ha preso la sua strada, io la mia. E sono convinto che in fondo alla sua strada i morti — Rossi e Bianchi — saranno molto più numerosi che in fondo alla mia.»

Quella notte Alvin fece un sogno. Camminava lungo la base della Collina Ottagonale, finché non arrivava al punto dove un sentiero scosceso sembrava condurre alla sommità della collina. Lo prendeva, e alla fine arrivava in cima. Mosse dalla brezza, le foglie d’argento degli alberi tremolavano accecandolo con i loro riflessi. Avvicinatosi a un albero, Alvin scorgeva un nido di pettirosso. Ciascuno di quegli alberi ne ospitava uno.

Tutti tranne uno, molto diverso dagli altri. Era vecchio e contorto, e i suoi rami invece di dirigersi verso l’alto si allargavano. Come quelli di un albero da frutto. E le foglie non erano d’argento, ma d’oro, e il loro riflesso era meno forte, ma caldo e gradevole. Appesi ai rami Alvin scorgeva dei frutti bianchi e rotondi, e capiva che erano maturi. Ma quando allungava la mano per coglierne uno e mangiarlo, udiva risate e grida di scherno. Si voltava, e alle sue spalle vedeva tutti coloro che lo avevano conosciuto, e tutti quanti ridevano di lui. Tranne uno… Scambiastorie. In piedi accanto a lui gli diceva: «Mangia». Alvin stendeva la mano, coglieva uno di quei frutti, se lo portava alla bocca e gli dava un morso. La polpa era soda e succosa, e il sapore era dolce e amaro, salato e acido insieme, così forte da farlo rabbrividire da capo a piedi… ma squisito, un sapore che Alvin avrebbe voluto conservare dentro di sé per sempre.

Stava per dare un secondo morso, quando si accorgeva che il frutto era sparito, e sull’albero non ne restava più neanche uno. «Per ora un morso è tutto ciò di cui hai bisogno» diceva Scambiastorie. «Ricorda sempre questo sapore.»

«Non me ne dimenticherò» assicurava Alvin.

Gli altri continuavano a ridere, più forte che mai; ma Alvin non se ne dava per inteso. Aveva dato un morso a quel frutto, e ora pensava soltanto a condurre a quell’albero i suoi familiari, tutti coloro che aveva conosciuto in vita sua, persino gli estranei, e far loro assaggiare quei frutti. Se solo li avessero assaggiati, pensava Alvin, avrebbero capito.

«Che cosa capirebbero?» chiedeva Scambiastorie.

Al non riusciva a farselo tornare in mente. «Capirebbero e basta» diceva. «Capirebbero tutto. Tutto quello che bisogna capire.»

«Giusto» ribatteva Scambiastorie. «Al primo morso, si capisce.»

«E al secondo?»

«Al secondo morso, si vive in eterno» diceva Scambiastorie. «E questa non è cosa da augurare a nessuno, ragazzo mio. Brutta cosa, mettersi in testa di poter vivere in eterno.»

Al mattino, quando si svegliò, Alvin aveva ancora in bocca il sapore di quel frutto. Per convincersi che era stato solo un sogno dovette quasi farsi violenza. Ta-Kumsaw era già in piedi. Dopo avere acceso un focherello, aveva chiamato a sé due trote del fiume Licking, che ora sfrigolavano sulle braci con un bastoncino infilato nella bocca. Ta-Kumsaw ne porse una ad Alvin perché la reggesse sul fuoco.

Ma Alvin non aveva voglia di mangiare. Se l’avesse fatto, non avrebbe più sentito il sapore di quel frutto. Avrebbe cominciato a dimenticare, e invece voleva ricordare. Certo, sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto mangiare qualcosa… A forza di digiunare, si rischia di dimagrire un po’ troppo. Ma quel giorno, o almeno per il momento, non voleva mangiare.

Ciò nonostante, prese lo spiedo e guardò la trota sfrigolare. Ta-Kumsaw intanto parlava, spiegandogli che quando uno aveva bisogno di nutrirsi poteva chiamare i pesci e gli altri animali. Chiedendo loro di venire. Se la terra vuole che tu mangi, gli animali da te chiamati arrivano; o magari ne arrivano altri, non importa, comunque mangi ciò che la terra ti dona. Alvin pensò al pesce che stava cuocendo. Non lo sapeva, la terra, che quella mattina non avrebbe avuto voglia di mangiare? O gli aveva mandato quel pesce per fargli capire che avrebbe dovuto cibarsi?

Né l’una né l’altra cosa. Nel preciso istante in cui i pesci furono pronti, infatti, si udì il tipico rumore di passi pesanti e rami spezzati che preannunciava l’arrivo di un Bianco.

Ta-Kumsaw si immobilizzò, ma non fece nemmeno il gesto di prendere il coltello. «Se la terra ha permesso a un Bianco di arrivare fin qui» disse «questo significa che non è mio nemico.»

Qualche istante dopo, l’uomo bianco faceva il suo ingresso nella radura. Dove non era calvo, aveva i capelli bianchi. Il cappello lo portava in mano. Sulla spalla aveva una bisaccia semivuota, ed era completamente disarmato. Alvin seppe immediatamente che cosa c’era in quella bisaccia. Qualche indumento di ricambio, un po’ di cibo e un libro. Il primo terzo di quel libro conteneva le frasi di coloro che vi avevano descritto la cosa più importante che avessero visto con i loro occhi. Gli altri due terzi del libro, invece, erano chiusi da una cinghia di pelle. Qui Scambiastorie scriveva le sue storie, quelle in cui credeva e della cui importanza era convinto.

E infatti si trattava proprio di Scambiastorie, che Alvin non aveva più sperato di rivedere. A un tratto, rivedendo il suo vecchio amico, Alvin capì come mai al richiamo di Ta-Kumsaw avessero risposto due pesci. «Scambiastorie» disse Alvin «spero che tu abbia fame, perché ho qui un pesce che ti aspetta.»

Scambiastorie sorrise. «Sono proprio contento di vederti, Alvin, e sono proprio contento di vedere quel pesce.»

Alvin gli porse lo spiedo. Scambiastorie si mise a sedere sull’erba sul lato opposto del fuoco rispetto ad Alvin e a Ta-Kumsaw. «Ti ringrazio infinitamente, Alvin» disse. Tirato fuori il coltello, cominciò a tagliare sottili fette di pesce. Gli scottavano le labbra, ma lui continuò imperterrito a leccare e a far schioccare la lingua. Nel giro di pochi minuti la trota era sparita. Nel frattempo anche Ta-Kumsaw mangiava, mentre Alvin li osservava entrambi. Ta-Kumsaw non distolse mai lo sguardo da Scambiastorie.

«Questo è Scambiastorie» lo presentò Alvin. «È l’uomo che mi ha insegnato a guarire.»

«Io non ti ho insegnato nulla» disse Scambiastorie. «Ti ho solo suggerito qualche idea sul modo in cui avresti potuto imparare a farlo. E ti ho persuaso a provare.» Scambiastorie si rivolse a Ta-Kumsaw. «Era deciso a lasciarsi morire, piuttosto che usare il suo dono per curare se stesso. Incredibile, vero?»

«E questo è Ta-Kumsaw» terminò le presentazioni Alvin.

«Ah, l’ho capito dal primo momento che ti ho visto. Lo sai che tra i Bianchi sei una leggenda? Sei come Saladino ai tempi della crociata… ti ammirano più di quanto non ammirino i loro stessi capi, anche se sanno che hai giurato di non deporre le armi finché l’ultimo Bianco non se ne sarà andato dall’America.»