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Anche con tutti quei cambiamenti, Alvin sapeva bene dove andare. Questo almeno non era cambiato: lungo la strada che conduceva a casa di suo padre, ogni corso d’acqua era scavalcato da un ponte. Alvin si concentrò cercando di sentire la rabbia dell’acqua verso di lui. Ma il male nero che una volta era stato suo nemico ora non lo riconosceva quasi più, perché camminava come un Rosso, in perfetta unità col mondo vivente. Non importa, pensò Alvin. Quando la terra sarà addomesticata e asservita, io camminerò di nuovo come un Bianco, e il Distruttore mi troverà. Com’è riuscito a spezzare la benefica presa dell’uomo rosso sulla terra, cercherà di spezzare anche me, e se Ta-Kumsaw non era abbastanza forte, se Tenska-Tawa non era abbastanza saggio da potersi opporre al Distruttore, che mai potrò fare io? Tirare avanti, momento per momento, come diceva quel vecchio inno. Tirare avanti, momento per momento, o mio Signore, luce d’amore, il mio cuore alleggerisci, l’anima mia guarisci, colma la mia tazza, donami la pienezza. Amen. Amen.

Cally era in veranda, senza far nulla, quasi si fosse messo lì di guardia nel caso che Alvin Junior avesse scelto proprio quel giorno per tornare a casa. E forse era proprio così, forse si trovava lì proprio per quello. A ogni modo fu Cally a urlare, fu Cally a riconoscerlo immediatamente nonostante suo fratello fosse tanto cambiato.

«Alvin! Ally! Alvin Junior! È tornato! Sei tornato!»

Il primo ad accorrere a quel richiamo, girando l’angolo della casa con le maniche arrotolate e la scure ancora stretta in mano, fu Measure. Non appena vide che si trattava veramente di Alvin, lasciò cadere la scure e preso Alvin Junior per le spalle lo esaminò da capo a piedi in cerca di ferite o cicatrici, e lo stesso fece Alvin, nel caso Measure recasse ancora qualche cicatrice. Nessuna, neanche un piccolissimo segno. Ma Measure trovò in Alvin i segni di ferite più profonde, e a bassa voce gli disse: «Sei diventato più vecchio, Al». Al che Alvin non seppe proprio che cosa rispondere, perché era vero, e per un istante rimasero a guardarsi negli occhi, ciascuno dei due ben consapevole di quanto lontano l’altro si fosse spinto sulla lunga via della sofferenza e dell’esilio al fianco dell’uomo rosso. Ciò che loro due sapevano, nessun altro Bianco l’avrebbe mai saputo.

Poi la mamma uscì sulla veranda, e papà uscì di corsa dal mulino, e seguirono baci, abbracci, lacrime, risate, grida e silenzi. Non uccisero il vitello grasso, ma un porcellino non vide l’alba del giorno dopo. Cally corse a casa dei fratelli e alla bottega di Corazza-di-Dio a portare la notizia dell’accaduto, e ben presto l’intera famiglia si trovò riunita per dare il benvenuto ad Alvin Junior, del quale tutti sapevano che era vivo, ma che nessuno avrebbe più sperato di rivedere.

E poi, siccome si stava facendo tardi, arrivò il momento in cui papà si nascose le mani in tasca, e gli uomini tacquero, e poi le donne, finché Alvin non annuì e disse: «Conosco la storia che dovete raccontarmi. Perciò raccontatemela, tutti quanti, e poi vi racconterò di me».

Così fecero, e altre lacrime vennero versate, stavolta non di gioia ma di dolore. La valle del Wobbish era l’unica dimora che i suoi abitanti avrebbero mai conosciuto; solo così avrebbero potuto continuare a vivere tutti coloro che avevano partecipato al massacro del Tippy-Canoe; solo così avrebbero potuto vivere in pace, senza vedere stranieri. Altrimenti, dove mai avrebbero potuto trovare un po’ di tranquillità, condannati com’erano a raccontare la loro storia a ogni nuovo venuto? «Perciò siamo costretti a restare, Al Junior. Ma questo non vale per te, né per Cally. Potremmo sempre chiedere al fabbro se ti vuole ancora come apprendista, che ne diresti?»

«Abbiamo tutto il tempo per pensarci» disse la mamma. «Tutte queste domande ce le faremo più tardi. È tornato a casa, e per ora questo è tutto, mi avete capito? È tornato a casa, anche se ormai ero sicura che non l’avrei più riveduto. Siano rese grazie a Dio per non avermi concesso il dono della profezia, quando dissi che non avrei più posato lo sguardo sul mio piccolo Alvin.»

Alvin ricambiò con uguale forza l’abbraccio di sua madre. Ma non le disse che la sua profezia in realtà si era realizzata. Quello che era tornato a casa non era più il piccolo Alvin. E prima o poi avrebbe dovuto rendersene conto. Adesso bastava sapere che l’anno era trascorso, che aveva visto dispiegarsi grandi cambiamenti, che ora, per quanto diversa, per quanto amara, la vita poteva procedere diritta per la sua strada, senza sentirsi franare il terreno sotto i piedi.

Quella notte, nel suo letto, Alvin ascoltò il canto lontano della foresta, ancora caldo e meraviglioso, ancora vivace e pieno di speranza, anche se la foresta si stava facendo ogni giorno più rada, anche se il futuro era così vago e incerto. Perché nel canto della vita non c’è paura del futuro, solo l’eterna gioia dell’attimo presente. E questo per adesso è tutto quello che voglio, pensò Alvin. L’attimo presente, e tanto mi basta.

FINE

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