“Hanno udito, ma non hanno ascoltato, e non gli importava nulla di ascoltare” Daenerys non ne dubitava. “Sono autentici Uomini di Latte. Non hanno mai avuto intenzione di aiutarmi. Sono venuti spinti unicamente dalla curiosità. E dalla noia… ed erano molto più interessati al drago che avevo sulla spalla che non a me.”
«Dimmi le parole dei Superni» esortò Xaro Xhoan Daxos. «Dimmi che cosa hanno detto per rattristare la regina del mio cuore.»
«Hanno detto no» il vino aveva il gusto delle melegrane, dei caldi giorni dell’estate. «Oh, lo hanno detto con grande cortesia, questo è certo. Ma sotto tutte quelle parole delicate, c’era sempre un no.»
«Li hai adulati?»
«Vergognosamente.»
«Hai pianto?»
«Il sangue del drago non piange» rispose Daenerys con durezza.
Xaro sospirò: «Avresti dovuto farlo». La gente di Qarth piangeva spesso e facilmente: era considerato un segno di civilizzazione. «Gli uomini che abbiamo corrotto, che cosa hanno detto?»
«Mathos non ha detto nulla. Wendello ha lodato il modo in cui ho parlato. Lo Squisito ha detto anche lui no, ma poi si è messo a piangere.»
«Quale iattura che il popolo di Qarth debba essere così senza fede.» Xaro non era uno dei Superni, però aveva detto a Dany chi corrompere e quanto offrire. «Piangi, mia regina, piangi per la meschinità degli uomini.»
Ma se proprio doveva piangere per qualcosa, Daenerys avrebbe preferito farlo per l’oro sprecato. Con le offerte sottobanco che aveva elargito a Mathos Mallarawan, a Wendello Qar Deeth e a Egon Emeros, detto lo Squisito, avrebbe potuto comprarsi un’intera nave, o assoldare un’intera orda di mercenari. «Supponiamo che io mandi ser Jorah a esigere la restituzione dei miei doni?»
«Supponiamo che un Uomo del dispiacere penetri nel mio palazzo una notte e venga a ucciderti nel sonno» ribatté Xaro.
Quello degli Uomini del dispiacere era un antico ordine di assassini sacri. Il loro nome veniva dalla frase che bisbigliavano sempre alle loro vittime prima di ucciderle: “Sono molto dispiaciuto”. Erano veramente bene educati, gli abitanti di Qarth.
«C’è un vecchio detto, mia regina» aggiunse Xaro. «È più facile mungere una Vacca di Pietra di Faros che ottenere dell’oro da un Superno.»
Dany non sapeva dove si trovasse questa Faros, comunque, Qarth le sembrava piena di vacche di pietra. I principi mercanti, che avevano accumulato enormi fortune con i commerci marittimi, erano divisi in tre gelose fazioni: l’Antico Ordine degli Speziali, la Fratellanza della Tormalina e i Tredici, cui apparteneva Xaro Xhoan Daxos. Ogni fazione era in perenne conflitto con le altre due per il predominio, e tutte e tre erano in perenne conflitto con i Superni. A incombere su tutto e su tutti c’erano gli stregoni, con le loro labbra blu e i loro sinistri poteri, negromanti visti poco ma temuti molto.
Senza Xaro, Dany sarebbe stata perduta. Era ben consapevole di questo. Tutto l’oro elargito con fin troppa opulenza per aprire le porte della Sala dei Mille Troni proveniva largamente dalla generosità e dall’abilità del mercante. Quanto più la voce della presenza dei draghi si spargeva per l’oriente, tanto più cresceva il numero di coloro i quali si rendevano conto che non si trattava affatto di una fola ma di una precisa realtà. Xaro Xhoan Daxos aveva fatto in modo che tutti, dai più facoltosi ai più umili, offrissero un obolo alla Madre dei draghi.
Il rigagnolo si era rapidamente tramutato in un’inondazione. I capitani di mare avevano portato merletti da Myr, bauli di spezie da Yi Ti, ambra e vetro di drago da Asshai delle Ombre. I mercanti avevano offerto sacchi di monete, gli orafi anelli e collane d’argento. I flautisti avevano suonato e i giocolieri si erano esibiti per lei. I tintori e i sarti l’avevano rivestita di colori che Dany non aveva mai neppure immaginato potessero esistere. Una coppia proveniente dalla remota Jogos Nhai le aveva donato una delle loro zorze, una fiera a strisce bianche e nere. Una vedova le aveva offerto il cadavere mummificato del marito, ricoperto da uno strato di foglie argentate. Si diceva che simili reliquie fossero in possesso di grandi poteri, specialmente se il defunto, proprio come in questo caso, era stato uno stregone. La Fratellanza della Tormalina le aveva donato una corona lavorata a forma di drago a tre teste: la coda era fatta di oro giallo, le ali d’argento, gli artigli di giada, avorio e onice.
Tra tutte quelle mirabolanti offerte, la corona era stata l’unica che Daenerys aveva tenuto. Il resto era stato venduto, il profitto inutilmente dissipato con i Superni. Xaro era più che pronto a vendere anche la corona — i Tredici gliene avrebbero procurata una molto più raffinata, sosteneva — Dany però non glielo aveva concesso. «Viserys vendette la corona che era stata di mia madre e gli uomini lo chiamarono mendicante. Io invece questa corona la terrò, in modo che gli uomini possano chiamarmi regina.» E così aveva fatto, anche se il peso del monile le faceva dolere il collo.
“Ho una corona, certo, ma sono anch’io una mendicante. Forse la più fulgida mendicante del mondo, ma pur sempre una mendicante.” Era una cosa che odiava, così come doveva averla odiata suo fratello. “Tutti quegli anni passati a fuggire di città in città, cercando di essere sempre un passo avanti alle lame assassine inviate dall’Usurpatore, invocando l’aiuto di maggiorenti, principi, magistri, comprando il cibo con la menzogna. Viserys deve essere stato consapevole di come tutti lo deridevano. Non c’è da sorprendersi che fosse diventato così pieno di rabbia e di amarezza.” Al punto da uscire di senno. “E se non erigerò una barriera dentro di me, anch’io farò la stessa fine.” Una parte di lei non chiedeva altro che fare ritorno con il suo esiguo khalasar a Vaes Tolorro, in modo da dare nuova vita a quell’antica città morta. “No, significherebbe la sconfitta. Io ho qualcosa che Viserys non ha mai avuto: i draghi, e questo fa tutta la differenza.”
Accarezzò Rhaegal. Il drago verde serrò le zanne attorno alla carne della sua mano e morse con forza. All’esterno del palanchino, la grande città mormorava e rullava e sibilava. Le sue miriadi di voci si fondevano in un unico basso mormorio, simile all’innalzarsi del mare.
«Fate largo, Uomini di Latte!» la voce di Jhogo, lo schioccare della sua frusta. «Fate passare la Madre dei draghi!»
E gli abitanti di Qarth in effetti si facevano da parte. Anche se questo doveva avere più a che fare con i due massicci buoi che trascinavano il palanchino che non con le grida e lo scudiscio del guerriero dothraki. Attraverso le tende che oscillavano, Dany lo vedeva per brevi tratti, in sella al suo stallone grigio. Di quando in quando, Jhogo incitava uno dei buoi con un colpo della frusta dall’impugnatura d’argento di cui lei gli aveva fatto dono. Aggo sorvegliava l’altro lato del carro. Rakharo, di retroguardia, scrutava senza sosta le facce attorno a loro, pronto a reagire al minimo segno di pericolo. Quel giorno, ser Jorah non l’accompagnava. Dany lo aveva lasciato a guardia degli altri draghi. Il cavaliere esiliato si era opposto a questa follia con i Superni fin dal primo momento. “Non si fida di nessuno” comprese Daenerys. “E forse ha ottime ragioni.”
Sollevò il calice per bere un altro sorso. Rhaegal annusò e arretrò la testa di colpo, sibilando.
«Il tuo drago ha un eccellente olfatto» Xaro si asciugò le labbra. «Questo vino è di qualità scadente. Si dice che, al di là del mare di Giada, esista una vendemmia talmente dorata che un unico sorso basta perché tutti gli altri vini sembrino aceto. Perché non prendiamo il mio scafo da diporto e andiamo a cercarla, mia regina, tu e io?»
«È Arbor a fare i migliori vini del mondo» dichiarò Daenerys. Ricordava che lord Redwyne aveva combattuto l’Usurpatore schierandosi a fianco di suo padre, uno dei pochi a rimanere fedeli fino all’ultimo. “Ma combatterà anche per me?” Dopo tanto tempo, era impossibile avere una risposta certa. «Vieni ad Arbor con me, Xaro, e avrai le annate migliori che tu abbia mai gustato. Ma dovremo andarci su una nave da guerra, non sul tuo scafo da diporto.»