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«Se avesse saputo che potevano dischiudersi, si sarebbe messo lui di persona a covarle» grugnì ser Jorah.

«Oh, non ne dubito affatto, cavaliere» Daenerys non trattenne un sorriso. «Ma conosco Illyrio meglio di quanto tu non immagini. Ero una bambina quando ho lasciato la sua magione Pentos per andare in sposa al mio sole-e-stelle. Ma non ero né sorda né muta. E adesso non sono certo più una bambina.»

«Anche se Illyrio è davvero l’amico che tu pensi che sia» rispose il cavaliere con ostinazione «non è abbastanza potente da metterti sul trono, non più di quanto potesse farlo con tuo fratello.»

«È ricco, però. Non tanto quanto Xaro, forse, ma ricco abbastanza da comprare per me delle navi, e anche degli uomini.»

«I mercenari hanno la loro utilità, non lo nego» ammise ser Jorah. «Ma non riuscirai a riprenderti il trono di tuo padre con i residui delle Città Libere. Nulla rimette insieme un reame in pezzi tanto in fretta quanto un esercito d’invasione che arriva a invaderne la terra.

«Io sono la loro regina di diritto» asserì Daenerys.

«Tu sei una straniera che intende sbarcare sulle loro coste alla testa di un’armata di altri stranieri che non sanno neppure parlare la lingua comune. I lord dei Sette Regni non solo non ti conoscono, ma hanno tutte le ragioni per non fidarsi di te e per temerti. Prima di prendere il mare, sono loro che dovrai portare dalla tua parte.»

«E in che modo ci potrò mai riuscire se vado a est come tu mi suggerisci?»

«Questo non lo so, Maestà» ser Jorah mangiò un’oliva e sputò il nocciolo nel palmo della mano. «So però che quanto più a lungo rimaniano nello stesso posto, tanto più facile sarà per i tuoi nemici trovarti. Il nome Targaryen continua a fare paura. Tanto che mandarono un uomo ad assassinarti quando vennero a sapere che eri in attesa di un figlio. Che cosa faranno nel momento in cui sapranno dei tuoi draghi?»

Drogon era acciambellato sotto il braccio di lei, il corpo rettiliano torrido come una pietra lasciata esposta tutto il giorno al sole. Rhaegal e Viserion si contendevano un pezzo di carne, colpendosi l’un l’altro con le ali ed emettendo fumo dalle narici. “I miei furiosi figli… Non deve essere fatto loro del male. A nessun costo.”

«La cometa rossa mi ha guidato fino a Qarth per una ragione. Avevo sperato di trovare qui un esercito, ma ora questo non sembra possibile. Che altro resta, mi domando? Che altro…» “Ho paura” si rese conto Daenerys. “Ma devo comunque essere forte.”

«Domani devi andare da Pyat Pree.»

TYRION

Non versò neppure una lacrima. Pur essendo così giovane, Myrcella Baratheon era una principessa nata. “Ed è anche una Lannister, nonostante il nome che porta” ricordò a se stesso il Folletto. “Sangue di Cersei… e di Jaime.”

C’era ben più di un’ombra d’incertezza nel sorriso di Myrcella quando i suoi fratelli si congedarono da lei sul ponte della Freccia del mare. Ma la fanciulla sapeva cosa dire e lo disse con coraggio e dignità. E quando venne il momento della separazione, fu il principe Tommen a piangere e Myrcella a confortarlo.

Tyrion rimase a osservare il rito degli addii dal ponte superiore della Martello di re Robert, la grande galea da guerra da quattrocento remi. La Martello di Rob, come la chiamavano i suoi rematori, era la punta del cuneo formato dalle navi di scorta alla principessa. Completavano la squadra la Stella del leone, la Vento impetuoso e la Lady Lyanna.

Tyrion si sentiva più che a disagio nel distaccare una parte così consistente dalla già inadeguata flotta Lannister, duramente indebolita dalla perdita di tutti i vascelli che avevano salpato con lord Stannis per la Roccia del Drago e che non avevano più fatto ritorno. Cersei, però, non aveva voluto sentire ragioni. Forse aveva ragione lei. Se Myrcella fosse stata presa prigioniera prima di raggiungere Lancia del Sole, la primaria alleanza strategica con Dorne sarebbe crollata in mille pezzi.

Fino a quel momento, l’unico atto compiuto dal principe Doran Martell per onorare il patto era stato chiamare a raccolta i vessilli di guerra. Una volta che Myrcella fosse arrivata sana e salva alla Città Libera di Braavos, il signore di Dorne aveva giurato di spostare il suo esercito sugli alti passi montani. Questo avrebbe costituito una minaccia sufficiente per indurre parecchi lord delle Terre Basse a riconsiderare a chi erano leali e a costringere Stannis a compiere una battuta d’arresto nella sua marcia verso nord. In realtà, quella mossa era una frode. I Martell non sarebbero scesi in campo direttamente a meno che la stessa Dorne non si fosse trovata sotto attacco. E in un momento simile, Stannis Baratheon non era così sciocco da rischiare uomini e mezzi per invadere la regione più meridionale del reame. “Per quanto, alcuni dei suoi alfieri potrebbero farlo” rimuginò Tyrion. “È qualcosa cui forse dovrei pensare.”

Si schiarì la voce: «Conosci gli ordini, comandante».

«Li conosco, mio signore. Dobbiamo seguire la costa, rimanendo sempre in vista della terra, fino a raggiungere Capo Chela spezzata. Da là, faremo rotta per Braavos. Per nessuna ragione dobbiamo avvicinarci alla Roccia del Drago.»

«E se i nostri nemici ti attaccassero comunque?»

«Nel caso di una singola nave, dobbiamo metterla in fuga o affondarla. Nel caso di più di una nave, Vento impetuoso proteggerà la Freccia del mare mentre il resto della squadra darà battaglia.»

Tyrion assentì. Dovesse accadere il peggio, Treccia del mare era in grado di disimpegnarsi dallo scontro. Quella piccola nave, dotata di grandi vele, era lo scafo più veloce dell’intera flotta. O almeno così affermava il suo capitano. Raggiunta Braavos, Myrcella avrebbe dovuto trovarsi definitivamente al sicuro. Il Folletto inviava ser Arys Oakheart della Guardia reale quale suo protettore giurato, e aveva arruolato i guerrieri braavosiani per scortare la principessa nell’ultimo tratto, fino a Lancia del Sole. Perfino Stannis avrebbe esitato a scatenare la rabbia della più grande e potente delle Città Libere. Andare da Approdo del Re a Braavos e da là a Dorne non era quella che si sarebbe definita la via più lineare. Ma poteva essere la più sicura… O almeno era questa la speranza di Tyrion.

“Se lord Stannis venisse a sapere di questa crociera, riconoscerebbe che è il momento migliore per attaccarci con la sua flotta.” Tyrion spostò lo sguardo sulla zona in cui il fiume delle Rapide nere andava a gettarsi nella baia delle Acque nere. Nessun segno di vele sul vasto orizzonte verde, il che lo fece sentire inevitabilmente meglio. Secondo l’ultimo rapporto, la flotta Baratheon era ancora alla fonda a Capo Tempesta, dove ser Cortnay Penrose continuava a reggere l’assedio in nome di Renly. Intanto, le torri dell’argano che Tyrion stava facendo costruire erano ormai complete per tre quarti. In quel medesimo momento, gli operai stavano sistemando i pesanti blocchi di pietra, maledicendolo, questo era poco ma sicuro, per averli costretti a lavorare nel periodo delle festività. Che lo maledicessero pure. “Soltanto un’altra settimana, Stannis. Non chiedo di più. Un’altra settimana e sarò pronto ad accoglierti.”

Tyrion osservò la nipote inginocchiarsi al cospetto dell’Alto Sacerdote, per ricevere la sua benedizione prima del viaggio. I raggi del sole illuminavano la corona di cristallo della principessa, soffondendo il suo viso rivolto al cielo dei colori dell’arcobaleno. Il rumore che saliva dalla riva del fiume rendeva impossibile udire la preghiera. Tyrion si augurò che gli dei avessero orecchi più fini dei suoi. L’Alto Sacerdote era un grassone indegno, addirittura più pomposo e ampolloso di Pycelle. “Su, vecchio: dacci un taglio” Tyrion stava cominciando a scocciarsi. “Gli dei hanno di meglio da fare che starti a sentire. E anch’io.”