Superarono la Piazza della Pescheria e imboccarono la Strada Fangosa, avvicinandosi alla stretta a gomito dell’Uncino prima d’iniziare la salita dell’alta collina di Aegon.
«Viva Joffrey! Viva Joffrey!» tentarono alcune voci al passaggio del giovane re. Ma per ognuno che si aggiungeva al grido, cento altri rimanevano in un cupo silenzio. I Lannister continuarono a muoversi in quella massa composta da uomini coperti di stracci e donne scavate dagli stenti, seguiti da molti, troppi occhi ostili. Poco avanti a Tyrion, Cersei stava ridendo a una battuta di Lancel, ma la sua risata suonava falsa. La regina era sempre stata una strenua sostenitrice della necessità di dare un’immagine di forza, ma non poteva non vedere il disastro tutto intorno a loro.
A circa metà della salita, una donna disperata riuscì a infilarsi tra due cappe dorate. Corse in mezzo alla strada, proprio davanti al re e al suo seguito. Sollevò alto sopra la testa il cadavere di un neonato. Era bluastro e rigonfio, assolutamente grottesco. Ma l’orrore maggiore erano gli occhi della madre. Per un momento, Joffrey parve sul punto di dare di speroni e schiacciarla sotto gli zoccoli. Sansa si protese a dirgli qualcosa. Il sovrano frugò goffamente nella sua bisaccia e gettò alla donna un cervo d’argento. La moneta rimbalzò contro il cadavere del bambino e rotolò sull’acciottolato, finendo tra le gambe degli armati e perdendosi nella folla, dove una dozzina di uomini si avventarono tutti assieme, lottando gli uni con gli altri come cani idrofobi. La madre non batté ciglio. Le sue braccia scarne tremavano per lo sforzo prolungato di sostenere il peso del piccolo corpo privo di vita.
«Lasciala, vostra Grazia» gridò Cersei al re. «Non può essere aiutata, povera infelice.»
In qualche modo, la voce della regina fece breccia nella mente ottenebrata della donna. Il suo viso lurido si deformò in un’espressione di viscerale disprezzo.
«Puttana!» un urlo distorto, lacerante. «Puttana dello Sterminatore di re! Hai chiavato tuo fratello!»
Lasciò cadere il cadavere del bambino come fosse stato un sacco di stracci. Indicò Cersei con il braccio teso.
«Hai chiavato tuo fratello! Hai chiavato tuo fratello! Hai chiavato tuo fratello!»
Tyrion non vide chi gettò dello sterco. Udì solamente il gemito di Sansa e l’imprecazione di Joffrey. Si girò. Il suo re si stava togliendo la putrida melma marrone dalla guancia. Altra melma era andata a lordare la corona, schizzando l’abito di Sansa.
«Chi è stato?» ringhiò Joffrey. «Chi l’ha lanciata?…» Si passò le dita tra i capelli, con espressione inferocita, gettando via un intero pugno di sterco. «Voglio l’uomo che l’ha lanciata!» urlò. «Cento dragoni d’oro a chi me lo consegna!»
«Lassù! Era lassù!» gridò qualcuno nella folla.
Joffrey fece fare un giro al cavallo, mentre gli occhi frugavano i tetti, spiavano i balconi. Tutto attorno, la gente indicava, si spingeva, s’insultava. E imprecava contro il re.
«Maestà, ti prego» implorò Sansa. «Lascia perdere.»
Il re non la guardò nemmeno: «Portatemi l’uomo che ha osato gettare questo schifo!» ringhiò. «Me lo leccherà di dosso o avrò la sua testa. Mastino! Portamelo qui!»
Sempre pronto a obbedire, Sandor Clegane smontò dalla sella. Ma non c’era modo di aprirsi la strada nella barriera di corpi assiepati. Quanto a raggiungere i tetti, nemmeno a pensarci. Quelli più vicini a lui si misero a contorcersi, a spingere, cercando di allontanarsi dalla sua temibile figura. Ma gli altri, quelli più indietro, cominciarono a spingere per riuscire a vedere.
«Clegane! No!» Tyrion sentì la garrota del disastro incombente che si serrava. «Lascia stare! È scappato da un pezzo!…»
«Ho detto che lo voglio!» Joffrey indicò uno dei tetti. «Mastino, falli sgombrare con la spada! Voglio…»
Qualsiasi cosa volesse, il rombo della folla inghiottì le sue parole. Un ruggito fatto di ferocia, di disperazione, di odio primitivo esplose da tutti i lati. «Bastardo!» era contro Joffrey che stavano urlando. «Stronzo bastardo!» Poi venne il turno della regina: «Puttana!», «Fotti tuo fratello!». E toccò a Tyrion: «Mostro!», «Mezzo-uomo!». Ma c’erano anche altre grida mescolate con gli insulti: «Giustizia!», «Robb! Re Robb, Giovane lupo!». E anche: «Stannis!». Addirittura: «Renly!».
Da entrambi i lati della strada, la folla si avventò contro le cappe dorate della Guardia cittadina, premendo sulle picche messe di traverso. Ebbe inizio un incessante bombardamento: pietre, sterco e peggio ancora.
«Dateci da mangiare!» urlò una donna. «Pane!» fece eco un uomo alle sue spalle. «Vogliamo pane, bastardo!» Tutti i vari re, Joffrey, Stannis, Renly, Robb, vennero dimenticati. In un battito di ciglia, fu quello il grido che divenne l’inno della folla. Rimase un solo, unico sovrano: Re Pane. «Pane!» urlava la massa. «Pane! Pane!»
Tyrion diede di speroni, riuscì a portarsi a fianco di sua sorella. «Via di qui! Al castello! Subito!» Cersei annuì in modo secco. Ser Lancel sfoderò la sua spada. In testa alla colonna, Jacelyn Bywater stava ringhiando ordini. I suoi cavalieri abbassarono le lance e avanzarono in formazione a cuneo. Il re continuava a far girare il cavallo in un cerchio di sussulti. Da dietro la barcollante linea delle cappe dorate, decine, centinaia di mani luride cercavano di ghermirlo. Una riuscì ad afferrarlo per una gamba, ma fu solo un istante. La lama di ser Mandon Moore calò sibilando. La mano venne staccata dal polso in un fiotto rosso.
«Via!» urlò Tyrion al nipote. «Al galoppo!» Assestò al cavallo del re un duro colpo sul didietro. Lo stallone nitrì, s’inalberò, partì come un ariete. La folla si divise davanti all’animale che caricava.
Tyrion volò a infilarsi nel varco aperto dal destriero del re. Bronn gli tenne dietro, con la spada in pugno. Un sasso frastagliato sibilò a un palmo dall’orecchio del Folletto. Un cavolo marcio andò a disintegrarsi contro lo scudo di ser Mandon. Alla loro sinistra, tre cappe dorate crollarono a terra sotto l’impeto della folla. Tutti e tre vennero calpestati a morte. Del Mastino, nessuna traccia. Il suo cavallo privo di cavaliere galoppò assieme agli altri. Tyrion vide Aron Santagar che veniva tirato giù di sella, il vessillo nero e oro dei Baratheon strappato via chissà dove. Ser Balon Swann abbandonò il leone dei Lannister per sguainare la spada lunga. I suoi fendenti si abbatterono a destra e a sinistra. La folla s’impossessò dello stendardo e lo fece a brandelli. Mille stracci purpurei volarono via nel nulla, come foglie secche prese in un mulinello di vento. In un momento, svanirono, inghiottiti dalla furia. Qualcuno barcollò davanti al cavallo del re. Un urlo, un tonfo distorto, uno schianto di ossa macellate. Joffrey non si fermò. Uomo? Donna? Bambino? Tyrion non fu in grado di dirlo. Joffrey continuò a cavalcare, terreo in viso, con ser Mandon Moore come uno spettro bianco dietro di lui.
E poi la follia svanì, come cancellata dall’universo. Si ritrovarono sull’acciottolato della piazza davanti alla Fortezza Rossa. Una linea di picchieri era schierata al portale. Ser Jacelyn fece voltare i suoi lancieri a cavallo, preparandosi a un’altra carica. Le lance si separarono, permettendo al gruppo del re di superare la grata d’acciaio nero. E, adesso, pallide mura rossastre si innalzavano da tutti i lati, invalicabili, rassicuranti e protette da dozzine di balestrieri pronti a scaricare una letale nube di dardi.
Tyrion non ricordò come scese da cavallo. Ser Mandon stava aiutando lo scosso sovrano a scivolare giù dalla sella quando Cersei, Tommen e Lancel guadagnarono a loro volta il castello, scortati da ser Meryn e ser Boros. La lama di Boros gocciolava sangue, la cappa bianca di Meryn era ridotta a uno straccio lacero. Arrivò ser Balon Swann, senza elmo. Il suo cavallo, coperto di schiuma acre, perdeva sangue dalla bocca. Arrivò ser Horas Redwyne, quasi trascinandosi dietro lady Tanda, come impazzita dalla disperazione perché, dopo essere stata disarcionata, sua figlia Lollys era rimasta indietro. Arrivò lord Gyles Rosby, tetro in viso come una pietra tombale. Raccontò una storia sinistra dell’Alto Sacerdote strappato dalla sua carrozza, che berciava preghiere mentre la folla gli passava sopra come un’onda di marea. Arrivò anche Jalabhar Xho. Disse di aver visto ser Preston Greenfield della Guardia reale che tornava verso la carrozza rovesciata dell’Alto Sacerdote, ma non poteva esserne certo.