Melisandre era raggomitolata vicino a uno dei banchi dei rematori. La sua figura quasi scompariva nelle pieghe della cappa rosso scuro che l’avvolgeva dalla testa ai piedi. Il suo viso era una chiazza livida sotto il cappuccio. Davos amava il mare. Dormiva sempre benissimo su una tolda ondeggiante. E il sibilare del vento nel sartiame era per lui un canto molto più dolce di qualsiasi arpeggio. Ma, questa notte, il mare non gli portava alcun conforto.
«Sento l’odore della tua paura, cavaliere» disse la donna rossa, in un sussurro.
«Tempo fa, qualcuno mi disse che la notte è oscura e piena di terrori» replicò Davos. «Questa notte, non sono un cavaliere. Questa notte, sono tornato a essere Davos il contrabbandiere. E come vorrei che tu fossi una cipolla.»
«È di me che hai paura?» rise Melisandre. «O di quello che stiamo facendo?»
«Di quello che tu stai facendo. Io non vi ho alcuna parte.»
«La tua mano ha rizzato le vele. La tua mano governa il timone.»
Davos mantenne la rotta, senza rispondere. La spiaggia era un cumulo di rocce, quindi stava incrociando attraverso il golfo. Avrebbe aspettato il montare della marea prima di avvicinarsi. Capo Tempesta si allontanò dietro di loro, ma la donna rossa non parve preoccuparsene.
«Sei un uomo buono, Davos Seaworth?»
“Quale uomo buono farebbe questo?” «Solo un uomo» rispose. «Sono gentile con mia moglie, ma ho conosciuto anche altre donne. Ho tentato di essere un padre con i miei figli, aiutandoli ad andare avanti nel mondo. Eh sì, ho infranto leggi, ma non mi sono mai sentito malvagio. Fino a questa notte. Direi che in me c’è una mescolanza, milady. Buono e cattivo.»
«Un uomo grigio» disse la donna rossa. «Né bianco né nero, ma un po’ di entrambi. È questo che sei, Davos?»
«Se anche fosse? Mi sembra che la maggior parte degli uomini siano grigi.»
«Se metà di una cipolla è nera in quanto marcia, allora è una cipolla marcia. Un uomo o è buono o è cattivo.»
I fuochi dell’esercito dietro di loro si erano tramutati in un vago chiarore rossastro contro il cielo notturno. La terra era quasi fuori vista. Era ormai tempo.
«Attenta alla testa, mia signora.»
Davos diede un colpo secco alla barra del timone. Nella virata, labarca sollevò un lembo di acque nere. Melisandre, con una mano sul bordo della murata, calma come sempre, si abbassò sotto il boma in rotazione. Il fasciame scricchiolò, le vele schioccarono, l’acqua si levò alta. Parvero rumori assordanti, da svegliare l’intera fortezza. Davos però sapeva ciò che stava facendo. L’incessante rombo delle onde contro le rocce era l’unico suono in grado di penetrare le mastodontiche mura esterne di Capo Tempesta. E perfino quel suono non era altro che un vago mormorio. Tornarono verso la costa, mentre una scia ribollente si allungava a poppa.
«Tu parli di uomini e di cipolle» disse Davos a Melisandre. «Ma che cosa mi dici delle donne? Non è lo stesso anche per loro? Tu, mia signora, sei buona o cattiva?»
La domanda la fece ridacchiare: «Oh, buona, naturalmente. Sono anch’io una specie di cavaliere, mio dolce ser. Un araldo della luce e della vita».
«Tu intendi uccidere un uomo, questa notte. Così come hai ucciso maestro Cressen.»
«Maestro Cressen si è avvelenato da solo. Era me che intendeva avvelenare, solo che io ero protetta da un potere ben più grande, lui invece no.»
«E Renly Baratheon? Lui chi lo ha ucciso?»
Melisandre si voltò verso di lui. Sotto il cappuccio, i suoi occhi ardevano come candele rosso sangue: «Non io».
«Tu menti.» Davos adesso ne era certo.
Melisandre rise di nuovo: «E tu sei smarrito nelle tenebre della tua confusione, ser Davos».
«Questo è un bene» Davos accennò alle luci remote che ammiccavano sulle mura di Capo Tempesta. «Lo senti quanto è freddo il vento? Le guardie staranno vicino alle torce. Un po’ di calore, un po’ di luce… sono di conforto in una notte come questa. Ma quella luce li accecherà. Non ci vedranno passare.» “Almeno spero…” «Il dio delle tenebre ci protegge, mia signora. Perfino te.»
A queste parole le fiamme negli occhi di lei parvero bruciare ancora più intensamente. «Non pronunciare quel nome, cavaliere. Non vogliamo che il suo occhio oscuro si rivolga verso di noi. Egli non protegge nessuno, te lo garantisco. È nemico di tutto ciò che vive. Sono le torce a celare la nostra presenza, tu stesso lo hai detto. Il fuoco. Lo splendente dono del Signore della Luce.»
«Come ti pare.»
«No, come pare al Signore della Luce.»
Il vento stava cambiando direzione. Davos poteva sentirlo, poteva vederlo nel modo in cui il tessuto nero della vela si era messo a sbattere. Le sue mani afferrarono le scotte.
«Aiutami a raccogliere la vela» disse alla donna rossa. «Per l’ultimo tratto andremo a remi.»
Insieme, legarono la vela all’albero, mentre lo scafo oscillava a ogni loro movimento. Davos sistemò i remi e li affondò nelle inquiete acque nere. «Chi ti ha portato a remi fino da Renly?»
«Non è stato necessario farlo. Renly era privo di protezione. Ma questo…» lo sguardo rosso di Melisandre si spostò su Capo Tempesta «questo è un luogo antico. Gli incantesimi sono impressi nelle sue pietre. Mura tenebrose attraverso le quali nessun’ombra è in grado di passare… Cose ancestrali, dimenticate, ma ancora presenti.»
«Ombra…» Davos sentì la pelle d’oca. «Un’ombra è un’entità delle tenebre.»
«Sei più ignorante di un bambino, messer cavaliere. Non esistono ombre nelle tenebre. Le ombre sono serve della luce, sono figlie del fuoco. Ed è la fiamma più vivida a proiettare le ombre più oscure.»
Con la fronte corrugata, Davos le impose di tacere con un gesto. Stavano nuovamente avvicinandosi alla riva, le loro voci potevano essere udite a grande distanza. Continuò a remare in silenzio, il ritmo dei remi perduto nel suono delle onde. Il lato di Capo Tempesta rivolto al mare incombeva su un’alta scogliera livida, la pietra colore del gesso si elevava fino a quasi metà dell’immane muro perimetrale. C’era un’imboccatura nella scogliera e Davos puntò nella sua direzione. La stessa imboccatura verso la quale si era diretto sedici anni prima. Il tunnel conduceva in una caverna sotto il castello, dove i lord della tempesta dei tempi antichi avevano collocato il loro approdo.
Il passaggio era navigabile solamente con l’alta marea, ed era comunque insidioso. Davos Seaworth, però, conservava ancora intatto il suo istinto di contrabbandiere; trovò abilmente la strada tra le frastagliate rocce affioranti e le insidiose stalattiti della volta rocciosa, e lasciò che fossero le onde a portarli dentro. L’oceano sballottò lo scafo da una parte all’altra, infradiciando lui e Melisandre fino al midollo delle ossa. Un artiglio di roccia emerse come dal nulla in un vortice di spuma, pronto a ghermirli. Davos riuscì a evitare l’urto all’ultimo istante, puntellando un remo contro il fondale.
Poi furono oltre la zona del pericolo, avvolti dalle tenebre, mentre le acque si calmavano. La piccola imbarcazione rallentò, roteando su se stessa, e il suono dei loro respiri echeggiò contro la roccia, quasi avvolgendoli. Davos non si era aspettato una simile oscurità. Sedici anni prima, c’erano state torce accese per tutta la lunghezza del tunnel. Occhi di uomini stremati dalla fame scrutavano in basso dalle feritoie nel soffitto di pietra. La grata d’acciaio era da qualche parte davanti a loro, Davos questo lo sapeva. Lavorò di remi, rallentando ancora; la prua urtò quasi dolcemente contro le sbarre metalliche.